La nostra recensione di A passo d’uomo, il film di Denis Imbert che dirige Jean Dujardin nella trasposizione cinematografica del libro autobiografico di Sylvain Tesson Sentieri neri, un viaggio di rinascita in una Francia inedita
A passo d’uomo è un film che parla di tenacia e resilienza. Il suo protagonista è uno scrittore da sempre dedito alla vita avventurosa che ha fatto della sua passione per le camminate, tra vallate e vette impervie, il soggetto dei suoi libri da milioni di copie. Sotto la maschera di uomo affermato si nasconde però una strisciante inquietudine, che lo porterà a mettere a repentaglio la propria vita, rischiando di perdere ciò che ha di più caro: la libertà. Il premio Oscar Jean Dujardin è in forma smagliante, dimostrando di poter risultare intenso e credibile qualunque sia il genere in cui si cimenta, dalla commedia al dramma, dal cinema muto a quello storico.
Una folle avventura
Dopo essersi a mala pena ripreso da una rovinosa caduta da otto metri di altezza, lo scrittore Pierre (Jean Dujardin) progetta di partire per un’impresa stupefacente: attraversare la Francia dal Mercantour, a sud est, fino a Cotentin, all’estremo nord ovest, a piedi e in solitaria lungo sentieri accidentati. Contro il parere di amici e medici si mette in cammino, coltivando la disperata speranza di ritrovare quel vigore fisico che gli ha permesso negli anni precedenti di essere un viaggiatore instancabile e di poter poi raccontare in un libro la sua nuova avventura. La strada che lo separa dalla meta finale, a ben 1300 chilometri di distanza, lo metterà a dura prova, e non solo fisicamente.
Scomparire nel paesaggio
«Alcuni uomini sperano di passare alla storia, ma alcuni di noi preferiscono scomparire nel paesaggio». Così annota sul proprio taccuino Pierre, in un flusso di coscienza che segue ogni passo del suo cammino: un racconto che non procede solo per immagini, come era prevedibile data l’ambientazione, ma viene costantemente punteggiato dai pensieri del protagonista che dichiara le sue motivazioni, il senso del suo agire e la sua ricerca di libertà. Sequenza dopo sequenza, ricompone il puzzle della propria vita, dall’incontro con una delle sue lettrici, la bella Anna (Joséphine Japy), che diventerà la sua fidanzata, alla notte fatale della caduta dal balcone della stanza del suo editore (Olivier Charasson).
Attraversa villaggi, fa incontri, scambia poche parole, manifestando quel fastidio tipico di chi ha fretta di addentrarsi nella strada che ha deciso di percorrere, in completa solitudine. Sul suo cammino, rifugi di fortuna all’ombra di grandi massi o alberi generosi, a volte isolati monasteri. Per pochi tratti, si alternano dei compagni di viaggio, come il giovane Dylan (Dylan Robert), la sorella Celine (Izïa Higelin), il vecchio compagno Arnaud (Jonathan Zaccaï). Tutti camminano al fianco della sua ossessione senza che nessuno riesca a comprenderla davvero.
Ritrovarsi lontano dalla civiltà
Il rifiuto della frenesia della vita urbana è insito nella totale assenza di cellulari. Per determinare la direzione da seguire, Pierre si affida a una mappa: chi ha il coraggio di “inginocchiarsi” a questo obsoleto strumento, così come suggerisce il protagonista, verrà ricompensato con l’indicazione di percorsi segreti. Paragonandosi a un lupo, Pierre si aggira nella natura selvaggia, in fuga dall’insensatezza della civiltà, con un’unica certezza: stare all’aria aperta è il suo destino.
Un racconto che procede per immagini e pensieri
La sapiente regia di Imbert si allarga su scorci scenografici di una Francia inconsueta e struggente, per poi chiudersi in primi piani ravvicinati, dove rughe e sudore raccontano lo sforzo del protagonista di sopravvivere a se stesso. In altri film del genere road movie la musica la fa da padrone, qui è il dialogo interiore del protagonista che segna il ritmo narrativo del racconto e lo carica di senso.
La fotografia lascia inalterata la luce naturale, permettendo ai colori vibranti della natura di emergere senza forzature. Tratto dal libro autobiografico Sentieri neri di Sylvain Tesson, il film rivela anche un tratto quasi documentaristico nel descrivere percorsi inediti e paesi dell’interno della Francia destinati ad essere abbandonati.
Una storia senza tempo
Lo spettatore ignora quanto tempo sia passato dall’inizio del viaggio e viene avvisato solo della distanza che separa Pierre dalla meta finale: ciò che conta davvero è quanta terra sotto piedi deve ancora macinare per sfuggire al fallimento della sua impresa. Questa indeterminatezza temporale dilata il presente e fa emergere tutta l’umanità del protagonista. Dujardin sa aderire alla perfezione ai lati antitetici del suo personaggio: lo scrittore bello e inafferrabile e l’uomo sopraffatto da un corpo traditore. «La mia salvezza risiedeva nel movimento e il movimento sarebbe stato la mia preghiera» annota sul suo taccuino lungo la strada verso una meta sempre più difficile da raggiungere.
TITOLO |
A passo d’uomo |
REGIA | Denis Imbert |
ATTORI | Jean Dujardin, Joséphine Japy, Izïa Higelin, Dylan Robert, Olivier Charasson, Anny Duperey, Jonathan Zaccaï |
USCITA | 19 ottobre 2023 |
DISTRIBUZIONE | Wanted Cinema |
Quattro stelle