La nostra recensione di Aquaman e il regno perduto di James Wan con Jason Momoa, Patrick Wilson, Yahya Abdul-Mateen II e Nicole Kidman: non un sequel disastroso come si temeva ma troppo pigro e formulaico, con un occhio rivolto all’ambiente e uno al box-office
L’universo cinematografico della DC è ormai in fase di chiusura, in attesa del Batman Legacy di Matt Reeves previsto per il 2025, che dovrebbe far partire una nuova saga, e in seguito al non entusiasmante The Flash di Muschietti; per questo Aquaman e il regno perduto, nonostante il ritorno di James Wan dietro la macchina da presa, non si portava dietro grosse aspettative ma piuttosto una cupa foschia. Pur non essendo stato il disastro annunciato, presenta comunque dei problemi – in primis di scrittura – perché imbastisce un canovaccio troppo pigro e formulaico senza nessuna velleità ambiziosa.
Il Tridente Nero
Non essendo riuscito a sconfiggere Aquaman (Jason Momoa) la prima volta Black Manta (Yahya Abdul-Mateen II), ancora spinto dal bisogno di vendicare la morte paterna, non si fermerà davanti a nulla pur di sconfiggerlo una volta per tutte. Questa volta Black Manta è più formidabile che mai poiché brandisce il potere del mitico Tridente Nero, che scatena una forza antica e malvagia. Per sconfiggerlo Aquaman si rivolgerà al fratello Orm (Patrick Wilson), l’ex re di Atlantide ora imprigionato, per stringere un’improbabile alleanza. Insieme dovranno mettere da parte le loro differenze, per proteggere il loro regno e salvare la famiglia di Aquaman e il mondo dalla distruzione irreversibile.
La questione ambientale
Mettiamo subito le cose in chiaro, semmai ce ne fosse bisogno: Aquaman e il regno perduto non è la riproposizione muscolare e ultra-pompata di Una scomoda verità di Al Gore, non ha niente di davvero interessante da dire sull’argomento della tutela ambientale ed ecoterrestre e sicuramente, anche lo avesse avuto, il taglio dell’operazione avrebbe fagocitato ogni possibile pretesa autoriale in tal senso. Quello che però è più interessante è il modo, forse fin troppo diretto, con cui la storia piega la questione ambientale alle esigenze diegetiche, rendendola parte integrante della narrazione e non un semplice contorno.
Aquaman, infatti, non si batte semplicemente per salvare la terra solo dal cattivo di turno (che peraltro agisce per una scontata ritorsione in seguito agli eventi del primo film), ma anche per certi versi da sé stessa. Perché è vero che il male scatenante è un antico e infido potere in grado di esacerbare il riscaldamento climatico, contenuto nel Tridente Nero che è un po’ il MacGuffin di questo sequel, ma lo scopo ultimo del re dei mari è quello di portare ad un unione tra mare e terra, tra due popoli e due ecosistemi antitetici, quindi tra due visioni della vita che devono imparare a collaborare, a funzionare l’una in virtù dell’altra affinché l’intero ingranaggio naturale continui a girare.
Tutto di più
Aquaman e il regno perduto è il canto del cigno ufficiale del DC Extended Universe, un progetto che non è mai davvero decollato del tutto perché segnato da troppi passi falsi, troppe indecisioni, troppi what if produttivi, creativi e commerciali. Forse è per questo che James Wan ha spinto così tanto sull’acceleratore come non mai, buttandola letteralmente in caciara, esasperando persino un suo stile visivo già ampiamente ipercinetico e iperdinamico. Questa seconda uscita del supereroe di un compassato Jason Momoa (reduce da una prova ben più convincente in Fast X) è persino più delirante del primo capitolo, tra citazionismo estremo e uno sprezzo del ridicolo raro di questi tempi così seriosi.
Wan e il suo sceneggiatore David Leslie Johnson-McGoldrick prendono a piene mani dal calderone di fantasy, fantascienza, cinecomics e persino peplum degli ultimi cinquant’anni almeno, tanto che l’arena di tutto il terzo atto sembra una copia carbone della Mordor del Signore degli Anelli con tanto di enorme cancello nero e spiriti posseduti dal Male più puro. In tutto questo mix non manca una dosa abbondante di ironia a stemperare le (poche) scene cariche di pathos drammatico, come se Aquaman e il regno perduto avesse voluto salutarci con una chiara dichiarazione d’intenti a rinnegare ciò che è stato prima di esso. Un film la cui fruizione rimane godibile quindi, ma che non rischia davvero mai granché.
Un po’ di pigrizia di troppo
Ed è forse questo il vero limite di Aquaman e il regno perduto, oltre ad essere un altro tassello da ciò che lo differenzia dal resto del DCEU (ma forse non dal predecessore): la chiara volontà di adagiarsi su un pattern di scrittura ormai stantio. Perché in quasi due ore la creatura di Wan dimostra troppa pigrizia drammaturgica, un incedere formulaico che non valorizza minimamente la pur discreta messa in scena e che fa velocemente convergere tutti i personaggi in una storyline senza che da quest’ultima possa svilupparsi nient’altro. Certo, probabilmente ciò è anche dovuto a necessità produttive di chiusura totale del sospeso, ma la sensazione amara in bocca resta.
Così come resta un film che unisce buddy movie e avventura con una leggera spruzzata horror, che parla ancora una volta di legami famigliari inscalfibili e del prezzo di un potere indesiderato (perché Arthur/Aquaman tutto vorrebbe tranne che fare il re), ma anche e soprattutto di responsabilità come re, come marito e come genitore. Di lasciti, di eredità. Seguendo perciò un filo conduttore che da vent’anni a questa parte lega un po’ tutti i cinecomic, ma che forse mai come in questo caso grida fortemente anni ’90 nell’estetica e nella metafisica, nel tono e nelle intenzioni. Chi non vorrebbe dopotutto cazzeggiare in fondo al mare con uno come Momoa, magari dopo aver salvato il mondo ancora una volta?
TITOLO | Aquaman e il regno perduto |
REGIA | James Wan |
ATTORI | Jason Momoa, Yahya Abdul-Mateen II, Patrick Wilson, Nicole Kidman, Amber Heard, Temuera Morrison, Randall Park, Dolph Lundgren |
USCITA | 20 dicembre 2023 |
DISTRIBUZIONE | Warner Bros Pictures Italia |
Due stelle e mezza