La nostra recensione di Ariaferma, ispirato prison drama di Leonardo Di Costanzo, con Toni Servillo e Silvio Orlando, guardia e detenuto di un carcere in dismissione di cui si indagano i paradossi, presentato a Venezia 78
La giustizia non è soltanto cieca, è anche graniticamente immobile. Nel carcere di Mortana il vento non spira più, il tempo pare essersi fermato. Una situazione di beckettiana memoria trasformerà un penitenziario in un limbo claustrofobico, ideale sfondo per un chirurgico scandaglio dell’animo umano. È ciò che accade in Ariaferma, terzo lungometraggio di Leonardo Di Costanzo. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2021, il film è un prison drama sospeso che non vuole documentare la situazione delle carceri italiane, ma scrutare i paradossi esistenziali della realtà penitenziaria.
Un limbo claustrofobico
Il carcere di Mortana, isolato tra le montagne di una imprecisata zona d’Italia, è in via di dismissione: i detenuti vengono trasferiti, la direttrice assegnata ad altri penitenziari e le guardie sono pronte ad essere ricollocate. Un contrordine, però, obbliga alcuni agenti di polizia a restare nel carcere al fine di sorvegliare una dozzina di detenuti per i quali non si è trovato spazio in altre strutture. Inizia così un faticoso periodo d’attesa scandito da scioperi della fame, contrasti tra le guardie e diverbi tra i prigionieri.
Indagine dell’animo umano
“È tosta a sta’ in galera, eh?” chiede il boss della mafia Carmine Lagioia (Silvio Orlando), ormai al termine della sua pena, all’irrepresibile ispettore Gaetano Gargiulo (Toni Servillo) che, stranito, ricorda al primo chi si trova effettivamente dietro alle sbarre. Uno scambio di battute che continua a rimbombare per le stanze e i corridoi vuoti del carcere di Mortana per tutta la durata della pellicola. Quanto è differente, in fondo, tra quelle mura fatiscenti, la condizione di Lagioia da quella di Gargiulo? Da un lato c’è la stasi in cui vivono i detenuti, amplificata dal blocco delle attività conseguente alla dismissione del penitenziario; dall’altro lo stallo delle guardie, divise tra chi è intenzionato a seguire gli ordini e mantenere un pugno di ferro e chi è disposto, in una situazione così paradossale, a tentare un approccio più umano, senza per questo venir meno al proprio dovere. È sulla sempre più labile linea di demarcazione tra guardie e detenuti che si gioca l’intreccio di relazioni che innerva Ariaferma.
Estetica chirurgica
A sostenere la complessità umana e le questioni etico-morali messe in campo dalla sceneggiatura è una regia millimetrica, capace di amalgamare un ispirato afflato poetico e un geometrismo intellettualistico mai eminentemente retorico. Il gioco di campi e controcampi tra i volti di guardie e detenuti, le volute ariose sul carcere in rovina, le inquadrature oblique che restituiscono la tensione che anima le celle sono tocchi di una mano decisa e consapevole. Altrettanto fondamentali nella composizione di una chirurgica estetica visiva e sonora, sono una fotografia che lavora su poche fonti di illuminazione, le quali creano un contrasto violento tra luce ed ombra, e una colonna sonora varia ma sempre in grado di accompagnare i moti dell’animo dei personaggi. Perchè restano sempre le esistenze sospese dei protagonisti il centro dell’indagine di Di Costanzo. Particolarmente lodevole è la maniera in cui in un film corale come Ariaferma ogni interprete abbia il tempo necessario per caratterizzare al meglio il suo personaggio. Ciò detto la statura attoriale di due fuoriclasse come Toni Servillo e Silvio Orlando permette ai due interpreti di spiccare, in un scontro tra titani che don ala film una potenza implosiva ancora maggiore.
Ariaferma. Regia di Leonardo Di Costanzo. Con Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco, Pietro Giuliano, Nicola Sechi, Leonardo Capuano, Antonio Buil Pueyo, Giovanni Vastarella e Francesca Ventriglia. Al cinema, distribuzione Vision Distribution.
3 stelle e mezza