Approfondimento sul film dei record, Avengers: Infinity War, dal successo al box office ai suoi personaggi, dalla figura di Thanos al concetto di Morte nell’Universo Marvel.
Gli incassi da record
Un debutto mondiale da record – il più grande nella storia del cinema – da 630 milioni di dollari e un miliardo d’incassi nei primi dieci giorni di programmazione. Tutto questo senza considerare il mercato cinese, dove Avengers: Infinity War (leggi la nostra recensione) è uscito solo l’11 maggio ed ha registrato ingressi per 75 milioni di dollari in un solo giorno e 200 milioni nel week-end, per un totale mondiale che supera 1,6 miliardi. Cifre da capogiro, senza alcun dubbio, alle quali si accompagna poi il plauso pressoché unanime della critica. Un risultato che, sebbene in qualche modo prevedibile – del resto chi investirebbe 300 milioni di dollari per la sola produzione di un film (più i 150/200 necessari alla promozione) senza la certezza di un ritorno economico? – non può trovare la sua unica spiegazione nell’ormai affinata perfezione delle strategie di marketing messe in atto dalla Disney.
La chiusura di un ciclo
E sì, senz’altro conta il fatto che con Avengers: Infinity War vada a chiudersi un ciclo narrativo iniziato dieci anni fa con il primo Iron Man e durato la bellezza di diciannove film, ma c’è senz’altro di più in ballo. Perché il film dei fratelli Russo è bello, a tratti addirittura bellissimo. E lo è sotto diversi aspetti, in primis per la sua capacità di portare a casa il risultato senza scontentare nessuno, a partire dai fan più oltranzisti della Marvel, quelli la cui capacità di fare le pulci alla coerenza interna di ogni singolo fotogramma può far tremare i polsi anche ai piani più alti di una multinazionale, oltre che decretare le sorti del film in oggetto.
Il crossover totale
Sorta di crossover supereroistico totale, Avengers: Infinity War mette in fila ventuno protagonisti, ognuno con una dimensione drammaturgica specifica e molto ben strutturata, senza che nessuno appaia come periferico rispetto ad un altro o, anche solo per un attimo, prescindibile nell’economia della storia. Abbiamo quindi l’ego di Tony Stark, il senso dell’onore d’antan di Captain America, il citazionismo pop di Spider-Man e la vena più leggera dei Guardiani della Galassia. Abbiamo anche, e non poteva essere altrimenti, il black power di Black Panther, fenomeno culturale di densità impressionante prima ancora che più recente campione d’incassi di casa Marvel.
La centralità del personaggio di Thanos
Il risultato è un lungo giro su un ottovolante che vorresti non si fermasse mai. Un blockbuster, per una volta, profondamente rispettoso di tutto il range dei suoi possibili fruitori, non solo dei Marvel-addicted di cui sopra. Merito di uno script intelligente che fonde, come meglio non si potrebbe, spettacolarità e pathos e di un villain che, finalmente, non si limita ad essere un cattivo X con generiche mire distruttive ai danni dell’universo, ma è dotato di carisma e profondità inusitata per un prodotto del genere, che hanno spinto una discreta percentuale di critici a tirare in ballo addirittura il Bardo.
Il concetto di Morte nell’Universo Marvel
Questo Thanos, in cui l’estrema complessità fornita dalla performance di Josh Brolin riesce a non essere scalfita neanche da tutto il lavoro di CGI fatto in post-produzione, è indubbiamente uno dei maggiori punti di forza del film. D’altronde un cattivo capace di mettere in così grave crisi un tale dream team di supereroi non poteva limitarsi all’incorporea malvagità priva di motivazioni forti di un Ultron. Thanos, fin dal suo stesso nome, è una (super)personificazione del concetto di Morte (Thànatos) che, nel film, si manifesta attraverso un folle disegno di bilanciamento dell’Universo attraverso la distruzione di buona parte di esso e forse ci aiuta anche a comprendere il senso più profondo del successo senza precedenti di Avengers: Infinity War.
I supereroi possono morire?
Perché, volendo andare proprio al fulcro della faccenda, il reale motivo del successo di critica e pubblico di questo Avengers: Infinity War risiede nel radicale ribaltamento della caratteristica più ovvia che siamo soliti attribuire a qualsiasi supereroe, ovvero l’incapacità di morire. Senza spoilerare troppo a chiunque, magari dando priorità al Berlusconi di Paolo Sorrentino, non abbia ancora visto il film, basti sapere che mai in passato abbiamo dubitato del fatto che Thor o Iron Man, sebbene tra mille difficoltà, avrebbero avuto la meglio sul villain di turno. Ecco, Joe e Anthony Russo, questa certezza, ce la tolgono senza troppi complimenti. Ed è un piccolo trauma cinefilo che, in parte, fa parecchio male. Un po’ come prendere atto della fallibilità dei propri genitori, E che, chissà, forse è lo step necessario per il passaggio di un certo tipo di pubblico all’età adulta.