La nostra recensione di Bad Boys: Ride or Die, quarto capitolo della saga action comedy con Will Smith e Martin Lawrence: a quasi 30 anni dal capostipite non si avverte stanchezza, grazie alla regia plastica e ipercinetica di Adil & Bilall e al duo protagonista
I cattivi ragazzi sono tornati. Bad Boys: Ride or Die prosegue sulla scia un po’ più modernista e contemporanea di Bad Boys for Life, instillando nella saga quell’ipercinetismo visivo e quella plasticità tipiche dell’era Bay ma con un occhio maggiore all’interiorità dei suoi protagonisti, e perfino alla loro mortalità. Come avveniva già nel terzo capitolo anche qui Will Smith e Martin Lawrence abbracciano maggiormente i propri personaggi, mantengono quello spirito smargiasso e poco politicamente corretto (sebbene con una corrosività minore che in passato) e menano le mani, grazie anche alla regia iperdinamica e fluida del duo registico belga Adil & Bilall che garantisce spettacolo e un po’ di sana “ignoranza”.
Soli contro tutti
Gli agenti Mike Lowrey (Will Smith)e Marcus Burnett (Martin Lawrence) si ritrovano fra le mani un caso di corruzione che coinvolge nientepopodimeno che la polizia di Miami, e in particolare il loro amato e defunto capo Conrad Howard (Joe Pantoliano) che viene accusato di aver lavorato con i cartelli della droga. Quando però anche i due cattivi ragazzi vengono incastrati dal pericoloso McGrath (Eric Dane), tutta la polizia di Miami si mette sulle loro tracce, inclusa il capitano Rita Secada (Paola Núñez). Ora Lowrey e Burnett devono scappare per non farsi catturare e per poter risolvere il caso, lavorando al di fuori della legge. Tra imprese maldestre, fughe estreme e esplosioni, i due agenti affrontano una missione senza precedenti.
Squadra che vince non si cambia
Ritorna sovente il celebre motivetto che da quasi trent’anni accompagna le indagini/missioni/scorribande dei due cattivi ragazzi più famosi del cinema. Canticchiato, appena accennato con poche note, persino storpiato diventa quindi uno statement di autoconsapevolezza, come se i personaggi di Mike e Marcus fossero consapevoli della propria portata anche al di fuori dello schermo che li ospita e che cerca di contenerli. D’altronde sono passati ormai quasi 30 anni dal primo capitolo firmato Michael Bay, era il 1995 e il cinema non era ancora lontanamente minacciato dallo streaming e dalle piattaforme, i popcorn movie erano quindi fatti per essere goduti in sala.
Come si fa allora a provare a vincere una concorrenza tanto spietata? Si alza l’asticella, ovvio, cercando però di rimanere aggrappati allo zeitgeist contemporaneo, riducendo al minimo indispensabile la scorrettezza verbale e ideologica (stavolta gay, ispanici e neri sono al sicuro) e puntando sull’elemento da action comedy puro unito ad una maggiora introspezione per quanto riguarda i due protagonisti. Certo, la scrittura di Bad Boys: Ride or Die ha spesso la delicatezza di un machete brandito da un serial killer, ma è interessante notare come gli ultimi due capitoli abbiano avvicinato il duo protagonista alla consapevolezza di una possibile mortalità.
Qui addirittura il discorso si fa onirico, quasi lisergico, in una delle primissime sequenze che vedono protagonista Marcus a cui stavolta tocca l’arduo compito di morire (e tornare in vita). E se il l’ombra della morte si fa un po’ più vicina, probabilmente anche coadiuvata da un tasso di violenza abbastanza elevato, questo quarto capitolo fa di tutto per esorcizzarla, grazie ad una componente comedy forse mai così satura e che spezza la tensione tra una scena d’azione e l’altra. Il merito principale, oltre al discreto equilibrio di toni raggiunto dallo script di Chris Bremner e Will Beal, va ovviamente alla chimica tra Will Smith e Martin Lawrence, sempre esplosiva dopo tre decadi.
Che lo spettacolo abbia inizio
Il duo registico belga composto dai giovani Adil El Arbi e Bilall Fallah sembra aver imparato da alcune incertezze del film precedente, perché in Bad Boys: Ride or Die ritmo e pacing narrativi rimangono intensi e dinamici fino alla fine. Tolta una breve introduzione di raccordo rispetto agli eventi del capitolo precedente, la pellicola accelera progressivamente e non si ferma fino al grande climax finale, buttando nel calderone inseguimenti, esplosioni, scazzottate, sparatorie e ovviamente un discreto numero di cadaveri ammassati lungo il percorso. Il tutto per arrivare ad un terzo atto costruito all’interno di un parco di divertimenti in disuso, abitato però da un gigantesco alligatore bianco.
E, come per il celeberrimo principio narrativo di Cechov, se c’è un alligatore è probabile che qualcuno farà una brutta fine. Adil & Bilall si divertono a sovvertire alcune delle aspettative per quanto riguarda la costruzione dell’azione, mentre sul fronte narrativo le sorprese sono ovviamente ben poche compreso un twist su un personaggio minore visibile a chilometri di distanza. Importa poco però, perché l’anima di un film come Bad Boys: Ride or Die sta tutta nel suo titolo, cioè corri o muori.
Tra soggettive di pistole che sparano e che rimandano al mondo videoludico, una sequenza d’azione clamorosa all’interno di un aereo cargo che sta per schiantarsi a terra e un terzo atto in cui qualsiasi elemento di scena potrebbe deflagrare da un momento all’altro, la quarta missione dei cattivi ragazzi abbraccia completamente la propria natura tamarra, rocambolesca e folle, rallenta solo raramente per concedere un po’ di respiro ai propri personaggi e allo spettatore e poi si chiude nella maniera più americana possibile: davanti ad un barbecue con la famiglia riunita, come se di colpo Mike e Marcus fossero diventati i nuovi Dominic Toretto e Brian O’Conner. O magari lo sono sempre stati.
TITOLO | Bad Boys: Ride or Die |
REGIA | Adil & Bilall |
ATTORI | Will Smith, Martin Lawrence, Vanessa Hudgens, Alexander Ludwig, Paola Núñez, Eric Dane, Ioan Gruffudd, Rhea Seehorn, Jacob Scipio, Joe Pantoliano, Tasha Smith |
USCITA | 13 giugno 2024 |
DISTRIBUZIONE | Eagle Pictures |
Tre stelle e mezza