Balto e Togo: La leggenda racconta la storia di un uomo che, insieme alla sua slitta trainata da cani lupo, cerca di salvare i bambini del suo villaggio da una terribile epidemia; la recensione di un film tratto da una storia vera, grazioso ma che punta un po’ troppo sulla facile commozione
Un’epidemia da scongiurare
Leonhard Seppala (Brian Presley) è un pescatore norvegese trasferitosi a Nome – in Alaska – per diventare un minatore d’oro che lì diventa un musher (ovvero un uomo che guidano le caratteristiche slitte trainate da cani). Dopo aver tragicamente perso sua moglie Kiana (interpretata da Talliah Agdeppa) decide di vivere in disparte dalla comunità locale e di occuparsi solamente della figlia Sigrid (Emma Presley). Nell’inverno del 1925, però, un focolaio di difterite colpisce la città nel bel mezzo di una bufera di neve. L’ospedale si ritrova senza medicine e moltissime vite vengono messe in pericolo. Seppala, insieme ad altri musher coraggiosi, si offre volontario per sfidare la tempesta insieme ai cani e percorrere 674 miglia fino a Nenana, dove si trova il siero antitossico. Si lancia così in questa sfida disperata, lasciando sua figlia con Constance (Brea Bee), figlia del dottor Welch (Treat Williams), e parte con Togo e il resto della sua squadra. Non c’è possibilità d’errore: Seppala e Togo sono gli unici a poter salvare gli abitanti di Nome, tornando a casa come eroi.
Un’incredibile storia vera
Balto e Togo: La leggenda è tratto da una storia vera. È davvero esistito un Leonhard Seppala che, insieme al suo cane Togo, nel 1925 ha salvato la piccola città di Nome da una mortale epidemia di difterite. La vicenda era già stata raccontata dal film d’animazione del 1995 Balto, ma stavolta il punto di vista è quello “umano” di Seppala. Brian Presley, protagonista ma anche regista e sceneggiatore, ha voluto rievocare un episodio passato alla storia e che lo aveva sempre fortemente coinvolto a livello emotivo. Così, ha abbracciato una sfida impegnativa: quella di realizzare un film d’epoca con i mezzi di un film indipendente.
Riprodurre la tundra innevata dell’Alaska
La sfida appare vinta sotto questo punto di vista. La qualità delle scene è buona, come colpisce la bellezza di molte scenografie (merito anche del buon lavoro di Mark David, al tempo stesso direttore della fotografia e produttore). Ambientata in Alaska, la pellicola ha cambiato diverse location, tutte in Colorado, pur di ottenere la giusta verosimiglianza con la tundra innevata della storia originale. Stupendi, poi, gli animali. Va meno bene, tuttavia, per quanto riguarda i personaggi. L’eccessivo buonismo generale fa inevitabilmente perdere punti ad una pellicola che scorre in modo piacevole ma senza colpire troppo l’attenzione. È tutto molto lineare, sono tutti troppi perfetti e “poco umani”.
(Troppo) facile commozione
Lo stesso discorso vale anche per la sceneggiatura. Priva di guizzi o di passaggi particolarmente brillanti, Balto e Togo: La leggenda sembra puntare un po’ troppo sulla facile commozione. Dalla sofferenza per la morte della moglie alla tenerezza della piccola Sigrid orfana di madre, passando per Seppala che nella bufera sente “le voci” della moglie e della figlia. Incantevole il legame dei muscher con i cani, vero simbolo di amicizia e lealtà (valori che il film tiene molto a sottolineare). Eppure in anche in questo caso si spinge tanto sulla lacrimuccia e meno sull’empatia.
Balto e Togo: La leggenda, presentato al Giffoni Film Festival 2020, è distribuito nelle sale italiane dal 3 settembre 2020 grazie a Notorious Pictures.