Beate: recensione della brillante commedia tra sacro e profano

Donatella Finocchiaro in una scena

Beate, opera prima del regista Samad Zarmandili, è un piccolo gioiello di originalità, con un cast formidabile che unisce momenti di esilarante comicità e leggera freschezza a temi importanti e di grande attualità

L’unione fa la forza

Beate, primo lungometraggio del regista Samad Zarmandili, narra le vicende di un gruppo di operaie di una fabbrica di lingerie del Nordest che lotta contro la chiusura della ditta e di un pugno di suore, abili nell’arte del ricamo e devote alla Beata Armida, che rischia di essere allontanate dall’amato convento. Per opporsi a un destino già segnato, operaie e suore decidono di far fronte comune alle difficoltà, unendo le loro forze e creando una linea di lingerie di lusso, ma per salvare corpi, anime e futuro di tutte serve un miracolo.

Finché c’è crisi c’è speranza

Zamardili con questa deliziosa commedia a metà tra la favola moderna e il dramma popolare, ci offre uno scorcio di una Italia di provincia che ricorda molto le tipiche ambientazioni Wertmulleriane, senza però prenderne in prestito la diatriba politico classista. Sembra quasi un film di denuncia contro un’élite imprenditoriale che si prende gioco dei suoi onesti e operosi lavoratori, un film che si permette persino di ammonire la condotta scorretta, e a tratti amorale, del mondo ecclesiastico, ma lo fa sempre con toni morbidi e garbati, senza mai uscire dal seminato della commedia leggera italiana. La parola chiave di Beate è crisi: la crisi paventata dalla titolare della fabbrica che suggerisce alle operaie di essere comunque speranzose, la crisi spirituale del giovane prete che trama alle spalle delle stesse suore che tranquillizza e che invita a pregare, e la crisi di sentimenti nella relazione tra la protagonista Armida e il playboy Loris.

Una scena del film
Una scena del film

Comicità tra sacro e profano

Quella di Beate è una storia che si snoda tra sacro e profano, partendo dalla vita di uno strampalato convento che fa un po’il verso a quello del famigerato Sister Act con Whoopi Goldberg, fino ad arrivare alla vita delle operaie che si battono per i loro diritti, e si inventano un business contando sulle le loro capacità e sulla loro forza di reagire alle avversità, plot che ricorda molto le british comedy come We Want Sex e Calendar Girls. Ma la vera efficacia di questo film è l’originalità della trama e l’intelligente leggerezza con cui vengono affrontati temi importanti, quali la precarietà e la capacità femminile di rimettersi in piedi e lottare con le unghie e con i denti per il proprio futuro, per terminare col il più classico degli espedienti della commedia italiana, il miracolo.

Un piccolo gioiello impreziosito da un cast formidabile

Forse l’unica pecca di questa gradevolissima commedia è di arrivare nelle sale proprio quando tutta l’attenzione mediatica è focalizzata sulla 75° Mostra del Cinema di Venezia, o sull’uscita di titoli di grande richiamo come Mission Impossible – Fallout. Probabilmente questo piccolo gioiello del panorama cinematografico italiano rischia di passare inosservato al grande pubblico, nonostante l’originalità e il formidabile cast con una bravissima e convincente Donatella Finocchiaro al timone e un ottimo Paolo Pierobon, eccellente attore teatrale. La punta di diamante è sicuramente Lucia Sardo, che con la spumeggiante comicità di suor Restituita rende quest’opera godibilissima e arguta, da menzionare anche l’interpretazione della giovane Maria Roveran che con la sua naturale spontaneità dona freschezza al personaggio di suor Caterina.

Beate diretto da Samad Zarmandili, con Donatella Finocchiaro, Paolo Pierobon, Lucia Sardo e Maria Roveran è nelle sale dal 30 agosto, distribuito da No.Mad Entertainment. 

VOTO:

 

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