La recensione di Benedetta, il nuovo film del maestro olandese Paul Verhoeven presentato al Festival di Cannes 2021, dove il racconto della storia di Benedetta Carlini ha causato parecchio scompiglio
A ben due anni di distanza dalla presentazione al Festival di Cannes arriva in sala l’ultimissimo film del maestro olandese Paul Verhoeven, Benedetta. Questa volta uno dei registi più provocatori e coraggiosi della sua generazione porta in sala la storia di Benedetta Carlini, monaca del 1600 dichiaratamente omosessuale le cui visioni mistiche suscitarono scandalo e sconcerto nella Chiesa dell’epoca tanto quanto la sua relazione con un’altra giovane monaca. Verhoeven dipinge un film violento, dissacrante, torbido e senza alcuna paura di toccare i nervi dello spettatore per parlarci di conflitto tra fede e potere temporale, desiderio e sacrificio, manipolazione e verità.
Una donna scomoda
Siamo nella Toscana di inizio ‘600. La giovane Benedetta Carlini (Virginie Efira), entrata in un convento di suore benedettine fin da bambina, salva dall’aggressione da parte del padre Bartolomea (Daphne Patakia), convincendo i propri genitori a versare al monastero la dote pur di farla entrare nonostante le resistenze della badessa (Charlotte Rampling). Benedetta inizia a provare un’attrazione fortissima nei confronti di Bartolomea, la quale la convince una notte ad avere un rapporto orale provocandole il suo primo orgasmo. Nel frattempo Benedetta è perseguitata da una serie di visioni mistiche in cui un uomo dall’aspetto di Gesù la salva continuamente da diversi pericoli, e quando le sue visioni giungono all’attenzione del vescovo Alfonso Cecchi (Olivier Rabourdin) e del nunzio apostolico (Lambert Wilson) la credibilità e la vita stessa di Benedetta cominceranno ad essere in grave pericolo.
A cavallo tra i generi
Per raccontare una storia così carica di simbolismi, immersa in un contesto storico complesso e affascinante come quello dell’Italia post-controriforma Verhoeven sceglie di non limitarsi al racconto storico in chiave drammatica, ma piuttosto di giocare con i generi e le suggestioni sia visive che tematiche. Aiutato da una splendida fotografia di Jeanne Lapoirie, cupa e mistica allo stesso tempo che gioca con le ombre e i toni del rosso, il regista olandese dà adito a tutta la sua potenza espressiva nelle scene delle visioni di Benedetta ma è abilissimo a giocare sull’eterno contrasto tra realtà e immaginazione. E così in Benedetta i generi si accavallano e si contaminano a vicenda, dagli echi di un horror demoniaco al thriller erotico, dal dramma storico al film biografico portando in scena quella che solo all’apparenza può sembrare una storia d’amore o di ossessione, ma che invece è un inno di libertà e di emancipazione, tanto sessuale quanto spirituale.
Il valore dell’ambiguità
Nel corso della sua lunga carriera Verhoeven ha sempre fatto dell’ambiguità dei propri personaggi, soprattutto femminili, un segno distintivo del suo cinema. Le donne di Verhoeven sono astute, molto più predatrici che prede, intelligenti, raffinate e manipolatorie, ma lo sono perché devono sopravvivere ad un mondo che altrimenti le schiaccerebbe. Anche in Benedetta sono i personaggi femminili a manovrare i fili del racconto, e anche qui tutto ciò che circonda la protagonista è avvolto nella più totale ambiguità. Sono vere le sue visioni o è tutto un inganno? È amore quello che prova per Bartolomea o solo puro desiderio sessuale? È chiaro come a Verhoeven non importi nulla delle risposte a queste domande, perché il suo scopo è quello di giocare con lo scabroso, con il proibito, di scandalizzare, di irretire i sensi, di costringere lo spettatore a guardare. Ed è proprio nell’ambiguità dello sguardo che il film trova la chiave vincente,in un cortocircuito che si alimenta tramite l’ossessione e la passione, eros e thanatos, la purezza di Dio e l’imperfezione laida dell’Uomo. Tutte assieme, tutte nello stesso film.
Il potere nelle sue varie forme
Più di ogni altra cosa però Benedetta è la rappresentazione di come l’uomo e il Potere siano destinati sempre e comunque a toccarsi fino a scontrarsi, e di come non sia possibile sfuggire alle tentazioni di quest’ultimo. Non solo attraverso il sesso questa volta ma anche attraverso la fede, la religione, persino Dio stesso. Perché in Benedetta è il cattolicesimo ad essere messo in croce e giudicato attraverso l’istituzione della Chiesa: un organismo che ha sempre approfittato della manipolazione, della mistificazione e della paura per conservarlo quel potere. E allora Benedetta si fa carico di un racconto dolentissimo abitato da personaggi straordinari, portati in scena da interpreti altrettanto straordinari (Virginie Efira e Charlotte Rampling in particolar modo), per ribadire con forza come ci sia bisogno di uomini e donne in grado di sovvertire le regole di tanto in tanto, di far uscire la passione, il desiderio, di porsi e porre domande anche scomode. Di celebrare la bellezza dei propri corpi e delle proprie pulsioni, la bellezza della propria identità. Senza ipocrisie, senza bigottismi. Senza paura.
Benedetta. Regia di Paul Verhoeven con Virginie Efira, Charlotte Rampling, Daphne Patakia, Olivier Rabourdin e Lambert Wilson, in uscita nelle sale il 2 marzo distribuito da Movies Inspired.
Quattro stelle