La recensione di Billy, esordio alla regia della figlia d’arte Emilia Mazzacurati con Carla Signoris, Alessandro Gassmann e Giuseppe Battiston: raccontare la provincia con il codice del road movie unito a quello della favola
Dopo alcuni corti all’attivo e qualche anno di gavetta Emilia Mazzacurati, figlia del mai dimenticato Carlo, esordisce dietro la macchina da presa con questo Billy; una storia nella e sulla provincia italiana, qui indefinita e nebulosa, e sui suoi figli un po’ spaesati e un po’ derelitti con un cast di prim’ordine composto da Carla Signoris, Alessandro Gassmann e Giuseppe Battiston oltre ai giovanissimi Matteo Oscar Giuggioli e Benedetta Gris.
La strana vita di Billy
Billy (Matteo Oscar Giuggioli) ha 19 anni e vive ai confini di una città di provincia del nord, in un quartiere residenziale delimitato dal fiume, con la madre Regina (Carla Signoris), donna instabile ma con un amore sconfinato per il figlio. Il padre se n’è andato quando Billy era molto piccolo, di lui Billy non ricorda quasi nulla e Regina non ha la minima intenzione di aiutarlo a ricordare. Billy è sempre stato un ragazzo sveglio, ma soffre di continui attacchi di panico per i quali sviene ogni volta. Inoltre a Billy piace Lena (Benedetta Gris), la sua vicina di casa che però si innamora sempre dei ragazzi sbagliati. Un giorno nel loro quartiere arriva Zippo (Alessandro Gassmann), un ex rocker che all’apice del successo è scappato nel bel mezzo di un concerto salendo su un autobus e facendo perdere le proprie tracce. Zippo non ha una casa e perciò è il suo amico Massimo (Giuseppe Battiston) ad ospitarlo, ma Zippo e Billy sono destinati ad incontrarsi e a conoscersi, scoprendo di avere in comune molto più di ciò che credevano. Il loro incontro cambierà il destino di Billy e Regina, o forse no.
Provincia meccanica
Un po’ come nella filmografia del padre, Emilia Mazzacurati cerca il racconto della provincia (in questo caso di un nord non troppo definito) come luogo in cui far convergere i sogni infranti, le aspirazioni e le vite non realizzate. I suoi “freaks” sono perciò signore di mezza età con la passione per i western ma un pessimo rapporto con l’economia domestica, rocker che hanno solo assaporato il successo per poi tornare nell’aurea mediocritas, cinquantenni disillusi e stanchi che si limitano a gravitare attorno alla vita aspettando che l’ora scocchi. Quella di Billy però non è un’arena deprimente o triste, nonostante le premesse, perché Emilia Mazzacurati lavora sulla malinconia e sull’attesa. Il suo esordio è un film che unisce il road movie (senza però l’elemento del viaggio fisico) ad una sorta di racconto di formazione, in cui due diciannovenni si ritrovano a dover decidere cosa fare delle proprie vite in un mondo dove nemmeno gli adulti sembrano essere in grado di guidarli. Rimangono perciò sospesi, in una sorta di attesa perenne o di stasi senza fine che ricorda alcuni lavori di Linklater, ma molto più sommessi.
La capacità di guardare
Se il punto debole di Billy è nella scrittura, troppo eterea, fumosa e in alcuni tratti senza davvero una direzione in cui portare storia, personaggi o tema, è nella capacità della Mazzacurati di saper guardare al cuore del racconto e di saper raccontare un mondo narrativo con pochi tocchi il motivo d’interesse principale di questa opera prima. Billy rimane negli occhi, e in parte nel cuore, per la sua abilità nel saper entrare in punta di piedi, senza strafare e senza urlare, come tanto cinema italiano non è stato capace di fare. Emilia Mazzacurati riprende perciò totalmente la lezione cinematografica del padre, ma l’ammanta di una sensibilità tutta contemporanea che lavora sui silenzi come espressione di un disagio e di uno smarrimento generazionali e, dall’altra parte, di un profondo rammarico per delle vite che non sono andate nel modo in cui le si avrebbe volute. Billy si carica perciò della calma delle stelle, dei riti come la celebrazione del Natale, delle tradizioni e dei luoghi simbolo di una comunità come il chiosco dei panini, accanto alla ferrovia, per cristallizzare un microcosmo e renderlo vivo, sincero, puro.
Un futuro incerto
In Billy coincidono quindi tanti tratti di un certo cinema americano, quello che parte da Linklater passando per Wes Anderson, passando per The Way Way Back e Paper Towns ma anche degli elementi squisitamente nostri come l’uso di una cadenzata parlata a metà tra veneto e romagnolo. La parabola del protagonista omonimo è scandita dal ciclo lunare perché la sua vita è un po’ come se fosse una vera e propria marea, si alza e si abbassa di continuo senza trovare un equilibrio o uno stallo di normalità. Billy non sa ancora cosa fare della propria vita, ma anche se è giovane comincia ad aver paura che il tempo possa sfuggirgli via dalle mani; in questa corsa, che corsa poi non è, sono gli attori a fare la differenza. Tutti perfettamente calibrati, in grado di giocare con le sfumature e i non detti, ma è una meravigliosa Carla Signoris a meritare una menzione d’onore. La sua Regina è il personaggio chiave del film, il cui senso profondo è forse racchiuso nell’esortazione per cui alla fine non importa se si vive al di sopra delle nostre possibilità, l’importante è vivere. E di vita, un film come Billy, ha fame da vendere.
Billy. Regia di Emilia Mazzacurati con Matteo Oscar Giuggioli, Benedetta Gris, Carla Signoris, Alessandro Gassmann e Giuseppe Battiston, in uscita oggi nelle sale distribuito da Parthénos.
Tre stelle