Black Mirror – Arkangel indaga le angosce genitoriali immaginando un dispositivo che permette il totale controllo sui figli, anche tramite l’eliminazione della violenza dalle loro esperienze. Nonostante l’efficace idea base, l’episodio sa di occasione sprecata.
Angoscia genitoriale e tecnologia
Il secondo episodio della quarta stagione di Black Mirror, Arkangel, indaga un tema attualissimo, quello dell’angoscia che spesso accompagna l’esser genitori. Paura dei possibili pericoli, ma anche ansia di non fare abbastanza o di perdere il controllo: queste sono le emozioni che si trova a vivere Marie (Rosemarie DeWitt) dopo che un giorno al parco perde di vista sua figlia Sara (Brenna Harding). Scatta una vera e propria ossessione nella donna, che la porta a rivolgersi ad un’azienda che impianta sistemi di controllo nel cervello dei bambini, allo scopo di migliorare e render più serena l’esperienza genitoriale. Da questo momento in poi, Sara diventa un esperimento materno, una sorta di burattino a comando nelle mani dell’apprensiva signora Sambrell che, tramite il dispositivo, riesce a sedare la propria psicosi nel peggiore dei modi: dirigendo e censurando abilmente percezioni ed esperienze della bimba.
L’angelo custode
Arkangel trasporta il concetto di angelo custode nell’era digitale, dove ad una benefica presenza si sostituisce un sistema in grado non solo di controllare costantemente la posizione nello spazio, ma addirittura di mutare alla base le percezioni dell’essere umano. Il nuovo angelo custode dell’universo Black Mirror rivela così la sua faccia angosciante e paranoica, una faccia che corrisponde al volto dell’apprensiva madre riflesso sullo schermo del dispositivo che usa per gestire la figlia. L’angelo diventa allora demone, una diabolica presenza costante nella vita di Sara, che cresce sotto un’ala che la tutela ma allo stesso tempo la reprime e mutila, spogliandola del diritto all’autodeterminazione e, ormai grande, alla privacy. Ciò che colpisce è la quasi assenza di dialogo tra madre e figlia, ma il vuoto comunicativo viene colmato dal surplus di informazioni acquisite da Marie, che la portano infine ad un vero e proprio atto d’abuso sulla figlia, decidendo al posto suo per un’eventuale gravidanza.
Controllo e autonomia
Quando la tutela diventa abuso sull’altro? Dov’è il limite tra protezione e controllo? Dov’è lecito spingersi e quando è giusto fermarsi? Sono tutti quesiti posti da Arkangel che, in pieno stile Black Mirror, ci mostra un’estremizzazione futuristica di problematiche che già esistono, che già configurano la nostra società. Quella del rapporto genitori-figli non è certo una tematica nuova, tanto meno quella del controllo tramite meccanismi digitali. Quel che è nuovo è il modo di narrare il dramma, portandolo alle estreme conseguenze e giocando su ansie e desideri che ruotano attorno alle attuali tecnologie e alle loro possibili applicazioni e la loro dubbia eticità. Controllare in ogni momento i propri figli sarebbe il sogno di ogni genitore, probabilmente. Quanti problemi risolverebbe? Ma la vera domanda resta quella: a che prezzo? Riusciremmo a fermarci lì dove è dovuto? Il dramma della nostra società, in cui la privacy sembra scomparire dinnanzi a inquietanti apparecchi che hanno sviluppato occhi e orecchie per spiarci, viene riportato alla sua versione più arcaica e ancestrale: quella del rapporto genitore-figlio, tra desiderio di controllo – che spesso straborda – da parte dei primi, e volontà di conquistare autonomia da parte dei secondi.
Il posto della violenza
Altro tema dell’episodio è quello della violenza e, paradossalmente, della sua necessità. Vediamo Sara crescere e affrontare la vita viziata dal filtro alle sue percezioni, a causa del quale sviluppa col tempo una vera e propria attrazione nei confronti della violenza e di tutto ciò che potrebbe sconvolgerla. La censura a cui la sottopone la madre è invasiva e impedisce alla figlia di fare esperienza reale del mondo che la circonda. Nel tentativo di consegnare a Sara una vita libera da traumi, Marie finisce invece per generarli e se ne accorge quando trova la ragazzina in camera in preda ad una crisi autolesionistica. Allora si apre un quesito fondamentale sulla violenza come esperienza umana tra le tante e sulle conseguenze di un bisogno di censura sempre più ipocrita. L’episodio mostra cosa accadrebbe se l’essere umano non conoscesse il turbamento emotivo e tutte le sensazioni che ad esso si accompagnano. L’Arcangelo vorrebbe preservarci nel Paradiso, lontani da ogni sconvolgimento, ma anche inconsapevoli di quello che è Bene o Male, incapaci persino di distinguere le emozioni sul nostro stesso volto e su quello degli altri.
Quello che ha funzionato in quest’episodio di Black Mirror
Arkangel propone un tema attuale e nonostante questo antico come il mondo, capace di condensare, come abbiamo visto, varie suggestioni, ansie moderne e riflessioni che si proiettano al futuro, sugli esiti eventuali dell’ipertecnologizzazione della nostra società. La serie di Charlie Brooker continua a riflettere su isterie e psicosi dell’era ultradigitale, in cui lo specchio nero altro non è che lo schermo dei nostri dispositivi quando non li usiamo, quel pozzo nero in cui la nostra immagine ci viene restituita banalmente umana. Perché il problema siamo noi, sempre e solo noi, e il nostro modo di stare al mondo e costruire rapporti gli uni con gli altri, nonostante l’hobby contemporaneo sia quello di dar la colpa a quelli che, in fondo, altro non sono che mezzi. Questa è la forza di Black Mirror, presente in parte anche nel secondo episodio della sua quarta stagione.
…e quello che manca
Nonostante l’idea di partenza sia molto buona, Arkangel ci pare un’occasione sprecata. L’episodio manca di quella potenza narrativa e profondità per cui Black Mirror è diventata una serie acclamata e seguita, in grado di scandagliare ansie esistenziali dell’uomo contemporaneo, lasciando gli spettatori spogliati e senza difese davanti il triste spettacolo dell’esistenza umana e del suo cosiddetto progresso. Si poteva sviluppare meglio la narrazione, magari proponendo una riflessione più approfondita sulla violenza nella nostra società e nei rapporti umani, o analizzando più da vicino il rapporto madre-figlia. La “resa dei conti” arriva velocissima e ha le sembianze di una crisi, un’improvvisa esplosione della psiche di Sara che, in un unico e liberatorio istante di autodeterminazione, quasi uccide la madre a colpi di tablet, in uno sfogo che sembra assommare tutta la violenza repressa e scansata per tutta la sua vita…il che piace e funziona. Ma le ultime scene, con la madre che disperata urla per strada e Sara che scappa per sempre con l’autostop, hanno poca potenza e il tutto sembra una chiusura diluita e frettolosa dell’episodio. Insomma: si poteva far di più.
L’episodio è scritto da Charlie Brooker e diretto da Jodie Foster. Con Rosemarie Dewitt, Brenna Harding, Owen Teague e Nicholas Campbell. Qui troverete tutti gli aggiornamenti e le recensioni per episodio della quarta stagione di Black Mirror, disponibile ovviamente su Netflix.