Dalla Festa del Cinema di Roma la nostra recensione di Cento domeniche: il quinto film da regista di Antonio Albanese questa volta guarda all’attualità, raccontando la tragedia dei piccoli risparmiatori che hanno perso tutto per colpa delle banche
Quello delle banche che falliscono trascinando con sé anche migliaia di piccoli risparmiatori, colpevoli soltanto di essersi affidati ad istituti che avrebbero dovuto tutelarli, è un argomento estremamente spinoso. Alla sua quinta regia Antonio Albanese decide di rischiare un po’ il tutto per tutto, raccontando la parabola di lenta disperazione di un uomo qualunque che si ritrova – da un giorno all’altro – a vedere i risparmi di una vita polverizzati. Presentato nella sezione Grand Public alla diciottesima Festa del Cinema di Roma Cento domeniche è quello che gli inglesi chiamerebbero uno slow – building drama, cioè un film che accumula lentamente per poi esplodere nel finale. Forse troppo.
Qualcosa di grave
Antonio (Antonio Albanese), ex operaio di un cantiere nautico, conduce una vita mite e tranquilla: gioca a bocce con gli amici, si prende cura della madre anziana, ha una ex moglie con cui è in buoni rapporti ed Emilia (Liliana Bottone), la sua unica e amatissima figlia. Quando Emilia un giorno gli annuncia che ha deciso di sposarsi, Antonio è colmo di gioia e può finalmente coronare il suo sogno regalandole il ricevimento che insieme hanno sempre sognato, potendo contare sui risparmi di una vita. La banca di cui è da sempre cliente sembra però nascondere qualcosa, i dipendenti sono all’improvviso sfuggenti e il direttore cambia inspiegabilmente di continuo. Qualcosa di molto grave è appena successo.
Il fattore umano
È la ricca e operosa Italia del nord-ovest, quella dei grandi laghi e dei piccoli paesini sulle vallate, degli spritz e delle bocciofile, l’arena in cui Antonio Albanese sceglie di ambientare il suo Cento domeniche, ma avrebbe potuto benissimo ambientarlo anche nel tavoliere delle Puglie o in piena Costa Smeralda perché qui il fattore non è geografico, ma umano. Ciò che all’attore e regista milanese interessa raccontare è una storia di persone comuni che vengono tradite da un Sistema più grande di loro, un Sistema che aveva promesso di proteggerle e di prendersi cura del frutto del loro lavoro ma che invece le ha divorate senza nessuno scrupolo, lasciandole con nient’altro che dolore e rimorsi.
Ed è il lento esacerbarsi di questo dolore generato dal tradimento a fornire la benzina diegetica e tematica del quinto film di Albanese, una progressiva discesa nell’abisso della disperazione del suo Antonio, un uomo mite che “vuole solo recuperare i propri soldi” e con essi la propria dignità, il senso di un’intera vita di lavoro e sacrificio. Va detto che Cento domeniche parte con il giusto movimento drammaturgico e tutte quelle illusioni di felicità destinate a sgretolarsi una ad una: il matrimonio della figlia adorata Emilia, per il quale Antonio non vede l’ora di sganciare un bel gruzzoletto, la prospettiva della pensione , il sesso occasionale e senza impegno con una donna sposata come “atto di ribellione”.
Punto di rottura
E però ad un certo punto qualcosa si spezza in questo idillio apparente, sotto forma di un contratto che Antonio firma con la promessa di un futuro ancora più radioso; un contratto che, incautamente, non legge affatto e che rappresenta il primo passo verso l’avvicinamento al baratro. Ed è qui che Albanese compie la prima di una serie di scelte che poi si riveleranno molto più radicali di quanto pensassimo, dato che Cento domeniche abbandona progressivamente il tono incantato del primo atto per assumere una cupezza sempre più accentuata, contrapponendo ad essa però l’immagine di un’umanità affatto perduta e ancora disposta ad aiutare il prossimo.
L’intreccio arriva così al punto di rottura di Antonio, ma lo fa con una fretta eccessiva e soprattutto senza il giusto controllo del materiale drammaturgico: il terzo atto fa deflagrare tutta l’energia accumulatasi fin lì in un’esplosione di risentimento, di rabbia genuina e di frustrazione ma non riesce a rendere credibile mai questo cambiamento perché il lavoro sull’arco di trasformazione di Antonio non è sufficientemente calibrato. Si ha insomma l’impressione che la svolta che il personaggio subisce sia troppo repentina e poco in linea con il personaggio stesso, fin lì sin troppo passivo rispetto alle vicende che gli accadono, appiattendo la tensione emotiva e la coerenza interna narrativa.
Il troppo stroppia
L’altro rischio che Cento domeniche corre è quello dello sfociare nel più banale populismo, rischio che peraltro fino ad un certo punto la scrittura era riuscita ad evitare nel momento in cui il punto di vista rimaneva privato e non cercava di allargare lo sguardo ad un’intera società. Finché assistiamo all’inferno personale di Antonio, infatti, la pellicola acquista forse meno respiro ma più onestà e scioltezza di racconto, ma quando l’inferno si collettivo e quindi pubblico si capisce come Albanese non disponga degli strumenti e neanche forse della volontà di affrontare un discorso di tale complessità senza scivolare nel populismo.
Certo, la parabola di Antonio regista/personaggio rimane urgente e più che mai attuale e il coraggio nel prendere di petto un argomento (quello del sistema bancario) e un tema (quello del tradimento della fiducia) così spinosi non è da tutti. Il suo Cento domeniche è cinema d’impegno civile, cinema di protesta che vorrebbe farsi voce degli ultimi e degli oppressi e che per questo forse contribuirà a smuovere qualche coscienza, e a rendere il pubblico più partecipativo (missione compiuta a giudicare dagli applausi durante la proiezione). Di fronte a questo possiamo anche un po’ soprassedere su un po’ di retorica, visto l’amore nei confronti di questi uomini onesti la cui unica colpa è l’ingenuità.
TITOLO | Cento domeniche |
REGIA | Antonio Albanese |
ATTORI | Antonio Albanese, Liliana Bottone, Donatella Bartoli, Sandra Ceccarelli, Bebo Storti, Giulia Lazzarini |
USCITA | 23 novembre 2023 |
DISTRIBUZIONE | Vision Distribution |
Tre stelle