Chiamatemi Mimì arriva alla alla Galleria Sciarra (Teatro Quirino): l’omaggio alla grande Mia Martini nel monologo musicale di Paolo Logli con Claudia Campagnola e Marco Morandi
Un percorso, intimo, privato, sussurrato sul filo dei ricordi d’infanzia e dei batticuore e delle pazzie della giovinezza. Ma anche a tratti, l’urlo lacerante del dolore di una donna che ha saputo donarci alcune delle interpretazioni più intense degli ultimi decenni. Mia Martini, prima ancora che una delle più grandi artiste italiane, è una icona di donna. Una pantera sul palco, nel modo di azzannare la vita, nella sfrontatezza orgogliosa con cui ha ostentato la sua libertà umana ed anche sessuale, ma insieme capro sacrificale, vittima designata. Vittima dell’amore, degli uomini. Di incontri sbagliati, tanto sbagliati che ogni tanto viene la voglia di chiedersi se non sia lei, quella sbagliata. Vittima di un dolore antico, che affonda le radici nell’ infanzia, e lascia cadere le sue ombre sulla sua maturità, e sulla sua fine. Chiamatemi Mimì è il racconto di quelle canzoni immortali che stanno nel cuore di tutti noi, da Piccolo Uomo a Minuetto, da La costruzione di un amore ad Almeno tu nell’universo, viste come tappe di una vicenda umana prima ancora che di una carriera canora.
Mimì donna ferita, Mimì donna orgogliosa, Mimì vittima di indecenti maldicenze, additata come porta jella, uccisa professionalmente dalle male lingue. Mimì che si ribella sul palco di Sanremo, cantando tutto il suo dolore e la sua rabbia, e neppure quella volta vince. Mimì e i suoi ricordi d’infanzia, le feste di piazza in Calabria, il primo provino a Milano, gli anni hippy di gioia e di amore libero, a fianco di Renato Zero e sua sorella Loredana. Mimì come angolino del cuore di ognuno di noi, sulle note di canzoni che nel cuore ci abitano, e non se ne vanno più. L’intensa recitazione di Claudia Campagnola, capace di cogliere e far vibrare le disparate corde dell’animo di Mia Martini, e la affascinante scelta di affidare le note delle canzoni e il canto stesso ad una voce maschile, quella di Marco Morandi. Un viaggio nell’anima di una signora della canzone, e nei fragili sentimenti di una donna troppo innamorata dell’amore.
Chiamatemi Mimì va in scena il 19 settembre alla Galleria Sciarra di Roma (Teatro Quirino).
NOTE DELL’AUTORE
“Sono anni che ho in mente di realizzare questo lavoro, anche se non sono il primo a scrivere di Mimì. Ma ho sempre pensato che quello strano mix tra dolcezza e rabbia, tra grinta ed insicurezza, che ho conosciuto in Mia Martini dovesse essere raccontato. Ho conosciuto Mimì a Sanremo, l’anno di “Almeno tu nell’universo”, era il 1992. L’ho conosciuta, per così dire, su un crinale della sua vita, in equilibrio tra un periodo molto buio, figlio della meschinità della gente e di alcuni colleghi, e la sua voglia di ripartire, di gridare, di riprendersi quello che era suo di diritto. Ai tempi lavoravo ad Uno Mattina, e curavo la pagina musicale. Era il periodo dei primi videoclip italiani, e decidemmo di realizzarne uno ad hoc per la trasmissione, anche perché Mimì non ne aveva uno. Girammo a Roma, tra Caffè Greco, Via dei Condotti, Circo Massimo, ed ebbi il privilegio di passare qualche giornata insieme a lei. Sul set capitano i momenti di attesa, e riuscimmo a scambiare qualche parola e qualche piccolo racconto. Mi colpì la sua malinconia sotterranea, e quella sua risata che scoppiava improvvisa, senza preavviso. Tutto questo è finito nel testo.
Non posso dire di averla conosciuta approfonditamente, ma di certo di quei giorni ricordo alcune frasi, alcune espressioni degli occhi, che ho conservato: i suoi erano gli occhi di una pantera ferita. Mimì era una donna con una grinta d’acciaio, attraverso la quale trapelava un grande dolore. In parte antico, starei per dire genetico. In parte, di certo, nato nei suoi rapporti travagliati con gli uomini della sua vita. È come se ci fosse una somma di ferite, che messe insieme non fanno mai una ferita grossa. Quella grossa sta probabilmente nel cuore, è segreta, e possiamo solo intuirla. E in superficie, alla vista di tutti, c’è quella immonda campagna denigratoria che alcuni, che hanno nomi e cognomi, hanno imbastito contro di lei. Non sono nuovo al monologo ed in particolare a quello musicale, ma questo ha per me un motivo di emozione in più: Chiamatemi Mimì, infatti, è un percorso intimo, privato, che va dal sussurro del ricordo condiviso con pudore, al grido, alla rabbia, alla voglia di riscatto… e alla rassegnazione, anche, in alcuni momenti. Ed è il mio personale atto di amore per la più grande interprete italiana di tutti i tempi. Infine voglio dire che è bello lavorare con Claudia e Marco.
Ci abbiamo provato già altre volte: con Claudia abbiamo messo in scena Un attimo prima lo scorso anno, e comincio a conoscere davvero bene le sue corde e le sue possibilità, che sono tante. È come suonare una bella chitarra, dalle corde morbi- de e sonore: un piacere. Con Marco ce la facciamo finalmente, dopo molti tentativi. Lasciatemi dire che ha un grande coraggio e una bella sicurezza dei suoi mezzi di grande artista: ha osato là dove molte sue colleghe hanno avuto paura, e lo ha fatto mettendo in campo tutto il suo spirito delicato e la sua sapienza armonica. Sarà di certo una bella sorpresa emozionante per tutti. Anche perché sono convinto che sia bello sentire come quei brani storici, quelle canzoni di Mimì vengano cantate da un uomo”.
Paolo Logli