La nostra recensione di Come pecore in mezzo ai lupi, l’esordio alla regia di Lyda Patitucci in un noir rarefatto e attaccato ai suoi personaggi con Isabella Ragonese e Andrea Arcangeli sospesi tra buio e luce
Che questo 2023 sia l’anno della rinascita del noir italiano? Pochi mesi dopo L’ultima notte d’Amore con un gigantesco Favino, arriva in sala Come pecore in mezzo ai lupi, esordio registico della talentuosa Lyda Patitucci con Isabella Ragonese, Andrea Arcangeli e Tommaso Ragno tra gli interpreti. Un thriller poliziesco dalle tinte foschissime e dal ritmo sincopato che riesce a costruire una protagonista interessante e un mondo narrativo credibile, nonostante una sceneggiatura ad opera di Filippo Gravino non completamente a fuoco.
L’occasione della vita
Vera (Isabella Ragonese) è un’agente sotto copertura della Polizia. Ha un carattere duro e in apparenza impenetrabile, temprato dai rischi della sua professione e segnato da un passato familiare doloroso. Viene incaricata di infiltrarsi in una banda internazionale di rapinatori guidata dallo spietato Dragan (Alan Katic), e scopre che uno di loro è suo fratello minore Bruno (Andrea Arcangeli), con cui ha rotto i rapporti da tempo. Bruno è appena uscito di prigione, non ha un soldo e vuole partecipare al colpo per ricominciare tutto insieme a sua figlia Marta (Carolina Michelangeli). Dopo anni lontani, Vera e Bruno si ritrovano improvvisamente uno di fronte all’altra, in ruoli opposti e obbligati a mantenere il segreto che li lega: vecchie ferite riemergono, e i due saranno costretti a fare delle scelte che metteranno a dura prova il raggiungimento dei reciproci obiettivi.
Odore di morte
C’è un fetore continuo di morte che si respira nel corso di Come pecore in mezzo i lupi, un odore lancinante che si spande tra i personaggi quasi ad avvolgerli perché la morte nel debutto alla regia di Lyda Patitucci è onnipresente. Come ogni noir che si rispetti anche questo sprofonda nel’oscurità dell’animo umano abbastanza in fretta, è freddo e cupo nei colori e nelle relazioni nonostante l’inserimento di una figura salvifica come quella della piccola Marta, non lascia scampo, non dà tanto spazio alla speranza o alla possibilità di redenzione. Quello che succede è che c’è un gruppo di criminali serbi pericolosissimi che non si fanno scrupoli ad uccidere chiunque li intralci, e il percorso di Vera e Bruno passa proprio attraverso di loro in una lenta e inesorabile discesa verso l’inferno. La Patitucci è brava quindi a giocare con le espressioni, con il linguaggio dei corpi e con i gesti, prima ancora che con le parole, per restituire un costante senso di minaccia, di oppressione e di morte per l’appunto, servendosi di primi piani alternati a campi lunghi che raccontano una Roma lontana, inedita, quasi aliena.
Legami di sangue
Il modo in cui si incrociano gli archi narrativi di Vera e Bruno costituisce l’ossatura diegetica di Come pecore in mezzo ai lupi, ma è la loro relazione il fulcro tematico. Il loro è un legame molto più sottile di quanto si creda all’inizio e, senza entrare nel campo peccaminoso dello spoiler, si può tranquillamente affermare come sia il fil rouge che dà ritmo e tensione drammatica alla vicenda. È man mano che scopriamo le loro storie che entriamo nelle loro psicologie inverse, perché se entrambi partono come prede è pur vero che solo uno dei due può trasformarsi alla fine in predatore. Sia la Ragonese che Arcangeli lavorano perciò in sottrazione, senza esplodere ma al contrario implodendo, dimostrando perciò una maturità artistica notevole e una capacità di convogliare emozioni anche contrastanti con pochi ma mirati tocchi. E se è vero che gli antagonisti serbi sono in gran parte stereotipati e poco interessanti, tra loro spicca il Dragan di un magnetico Alan Katic, qui a metà tra umano senz’anima e demiurgo del caos.
Sulle orme della Bigelow
Guardando però Come pecore in mezzo ai lupi ci si accorge di come Lyda Patitucci, pur mostrando già una decisa personalità registica, sia comunque un po’ debitrice del cinema di Kathryn Bigelow e del modo in cui quest’ultima scava nella psiche femminile della sua protagonista. La Maya di Zero Dark Thirty e la Vera di questa pellicola sono costruite con forti assonanze non solo di scrittura ma anche registiche, e in generale tono e registro del film rimandano ai mondi sporchi e rarefatti della regista californiana. Questa sua opera prima è la dimostrazione di come anche in Italia sia possibile ragionare con altre forme e altri generi migliorando il processo di sceneggiatura, magari mettendola più a fuoco in certi aspetti e rendendola meno scontata nell’evoluzione. Perché il mondo che ci viene raccontato è un mondo che ha una sua tragica urgenza e anche una sua freschezza, un mondo di anaffettivi e di sadici ma anche di persone che riscoprono quell’umanità da loro soppressa con un gesto banale; un lenzuolo che copre il cadavere di un povero cane, tanto per iniziare.
Come pecore in mezzo ai lupi. Regia di Lyda Patitucci con Isabella Ragonese, Andrea Arcangeli, Alan Katic, Carolina Michelangeli e Tommaso Ragno, da domani 13 luglio al cinema distribuito da Fandango.
Tre stelle