Daniele Silvestri torna con La terra sotto i piedi, il nono disco in 25 anni di carriera. 14 brani intensi dove si piange, si ride, si balla ma soprattutto si riflette sull’amore e sulla degenerazione di questa società. Notevole la varietà di sound.
Daniele Silvestri ritorna con La terra sotto i piedi, nono album in 25 anni di carriera. Il cantautore romano confessa di non voler fuggire più dal mondo come nel precedente lavoro Acrobati ma di voler rimanere ancorato a terra con la speranza che si salvi dalla crisi ambientale in cui è ripiombata. Ben 14 brani ma questa non è una novità, al contrario lo è la varietà di sound, anche all’interno della stessa canzone, che dimostra un lavoro enorme nella ricerca del suono adatto ad accompagnare i suoi testi sempre incisivi e taglienti.
Il disco si apre con Qualcosa cambia in cui Daniele ci invita a non fermarsi alle prime difficoltà, a guardare avanti cercando di superare gli ostacoli, prima rivolgendosi all’amata, poi estendendo il discorso universalmente e invocando «una generazione che davvero corregga la rotta, la fiducia che torna, la speranza risorta, la lingua dei segni insegnata ai bambini, noi due che riusciamo davvero a restare vicini». Argento vivo è il brano presentato al Festival di Sanremo, un pezzo coraggioso che parla della dipendenza tecnologica paragonandola a un carcere con un ragazzo di 16 anni protagonista. La cosa giusta è dominata da batteria incalzante accompagnata dal piano e dal riff di chitarra e parla della fine di una storia d’amore con una riflessione sull’importanza di non trascurare la persona che si ha accanto e di trovare il coraggio di dire basta quando il dolore prende il sopravvento: «Erano tipiche le coincidenze, imprevedibili le conseguenze, non ci si trova se non ci si applica, non ci si ama se non ci si merita».
Complimenti ignoranti è una geniale e sottile invettiva nei confronti dei fan che lo stressano con commenti non richiesti e inopportuni, dal non andare più a Sanremo, a ritornare a fare tormentoni come Salirò e qui Daniele si prende la briga di mandarli senza mezzi termini a quel paese. Tutti matti inizia con una conversazione tra silvestri e la band che ragionano sugli accordi da usare e poi la canzone parte con sintetizzatori in prima linea. In mezzo a una società in cui conta l’apparenza e si ha paura di mostrarci tristi il cantautore afferma che « tu non sei così e nemmeno un popolo vigliacco come questo di cui faccio parte anche io doveva consegnarti un mondo così brutto amore mio e mi vergogno di quest’aria che tu un giorno respirerai». Concime parte con la chitarra e dopo un’intermezzo musicale, subentrano gli strumenti con un crescendo in cui Daniele confessa la priorità di avere una terra sotto i piedi, radici a cui aggrapparsi invece che sentirsi leggeri in aria come funamboli sospesi, di non cercare di fuggire dal mondo mentre va a rotoli ma di contribuire ad evitarne la distruzione.
Scusate se non piango ha un ritornello destinato a entrare in testa al primo ascolto e cambi continui di ritmo. Nel bel mezzo dell’indignazione e delle manifestazioni, nemmeno i fumogeni e gli sgomberi dei centri sociali lo rattristiscono perché si è innamorato, come se la soluzione ad ogni problema sia essere felice con una persona. Prima che è il nuovo singolo estratto dall’album e riflette sui rimpianti di una storia finita e sulla speranza di ritornare al momento prima di commettere sbagli che l’hanno portata alla conclusione, sul farsi divorare dai sensi di colpa mentre prevale la malinconia. Blitz gerontoiatrico è un’altra invettiva, che stavolta ha come destinatari gli esponenti del genere trap e la critica avviene con un rappato che ricorda molto Frankie HNRG:« Sei monotono come il grammofono di mia zia, le rime prevedibili, i concetti discutibili e la fantasia che vola e che galoppa verso cime irraggiungibili di trash e poi mi parli del cash. ti credi il figlio di tupac invece sei un comico di zelig. Puoi fare molto meglio di così se alzi il livello del discorso, non del THC».
La vita splendida del capitano è una commovente dedica a Francesco Totti:« Vogliamo vincere, voliamo alti, sentiamo ancora l’urlo sugli spalti, e invece è proprio dopo una sconfitta che è bello avere questa schiena dritta, guardare in faccia il mondo anche piangendo, in fondo avere l’aria di chi la vinta questa vita splendida». Rame, con un bell’assolo di sax nel finale, parla della caducità del tempo e di quanto ne rivorremo indietro per rimediare agli sbagli o per cambiare delle situazioni, paragonandolo alle monete di rame che snobbiamo ma, che accumulate, potrebbero risultare utili:« E invece pensa se tutto il tempo perso per rinfacciarsi qualche errore e discuterne per errore fosse stato messo via con un po’ di fantasia come spiccioli di rame in un apposito forziere perché poi succederà, anzi a noi è successo già di volere quei minuti, tutti quelli accumulati». Tempi modesti vanta la collaborazione con il giovane Davide Shorty ed è la terza invettiva del disco. La degenerazione della società è messa sul piatto con una base dance, come a testimoniare il fatto che basti dire le cose giuste per addomesticare il popolo della rete sempre pronto ad abboccare, così come basta alzare il volume della musica per dimenticarci i problemi:« Ti consoli pensando che il rischio non c’è e ti diverti insultando chi è meglio di te, chè se va bene a un ministro figurati a me, facciamoci un selfie col morto al mio tre».
Il disco si conclude con due brani intimistici che ricordano lo stile dell’amico Niccolò Fabi, sia per la poetica semplicità dei testi che per l’arrangiamento minimalista con chitarra pizzicata, piano e violino. In entrambi i casi si parla di un amore che dura da tempo e nel tempo. Un amore anche di altri tempi, data la tendenza al cambiamento insita nei rapporti di oggi. L’ultimo desiderio è una richiesta di giuramento nei confronti dell’amata, con la consapevolezza che anche se gli anni passano, ci sarà ancora il desiderio di proseguire insieme nella tortuosa strada della vita. Il principe di fango racconta di un amore che dal primo bacio non si è mai affievolito:« Da allora il mio orologio sei tu, il vento sulla strada, una casa fatta in pietra, tu, sei tu» e che nemmeno il passare del tempo contribuirà a renderlo meno intenso:« La storia dei tuoi anni l’hai scritta nei capelli, col buco che hai nel petto che cerchi di coprire un giorno ti prometto mi ci lascerò cadere e troverò là dentro, se un poco ti conosco, un principe di fango e un vecchio commosso per te».
Daniele Silvestri confeziona un disco in cui si piange, si ride, si balla ma soprattutto si riflette sull’amore e sulla degenerazione sociale. Il cantautore romano conferma una notevole abilità nell’usare le parole che come proiettili colpiscono l’interlocutore suscitando emozioni diverse ma ugualmente forti. La ricerca accurata del suono adatto ad accompagnare le parole dimostrano il duro lavoro preparatorio e quanto Daniele non solo sia solo un autore di testi come pochi ce ne sono in Italia ma anche un ottimo musicista.