La recensione di Elemental, il nuovo attesissimo film Pixar diretto da Peter Sohn e doppiato nella versione italiana da Valentina Romani e Stefano De Martino: l’animazione è sopraffina, ma la magia latita
A pochi mesi da quello che, per struttura, tema e argomenti potrebbe essere considerato un cugino cinematografico, arriva in sala il 62° film Pixar Elemental, diretto dal Peter Sohn de Il viaggio di Arlo. Una storia che parla di pregiudizio di lotta per affermare l’importanza dei propri sogni e di integrazione, raccontata però senza riuscire quasi mai a trovare la magia e il cuore che hanno reso indimenticabili tanti film della casa del topo.
Elementi incompatibili (?)
Ad Element City gli abitanti composti dai quattro elementi Fuoco, Acqua, Aria e Terra convivono più o meno in sintonia e in pace. Ember è una ragazza di fuoco, in tutti i sensi, che vive con i genitori Bernie e Cinder sopra il loro minimarket di Fire Town e che cerca di essere ogni giorno sempre più efficiente e paziente coi clienti per poter rendere orgoglioso il padre e poter ereditare così il negozio. Un giorno, a seguito di un problema idraulico, conosce Wade, uno degli Acquatici. A differenza di Ember Wade è un bambinone timido e iper-emotivo, viene da una famiglia ricca ma è orfano di padre e lavora per il suo capo Gale, un’Ariosa, come ispettore delle tubature. A seguito dell’incidente il negozio dei genitori di Ember rischia di chiudere i battenti per sempre, quindi quest’ultima deve trovare un modo per risolvere il problema delle costanti perdite d’acqua prima che Fire City venga sommersa, e prima che il duro lavoro dei suoi genitori venga spazzato via per sempre. Sarà proprio Wade a darle una mano ma quello che non immaginano è che questa collaborazione porterà a un qualcosa di ancora più profondo: l’amore.
Cuore e magia
Cosa sta succedendo alla Pixar? In seguito al passo falso di Strange World e a una serie di film precedenti non esattamente indimenticabili (LightYear, Encanto), sembra che la crisi creativa della casa di John Lasseter non accenni a finire dopo l’abbandono del suo creatore. Ne è un fulgido esempio questo Elemental, opera seconda del regista americano ma di origini coreane Peter Sohn, che frulla assieme suggestioni letterarie (Romeo e Giulietta, Cime tempestose) e critica sociale in un racconto tanto bello visivamente quanto inerme dal punto di vista emotivo, di certo neanche lontanamente paragonabile a capolavori ora come ora irraggiungibili come Wall-E o Inside Out. La parabola di Wade ed Ember, prima “colleghi” indesiderati e poi amanti che danzano sul filo di un sentimento impossibile, non spinge mai sull’acceleratore, non rischia mai davvero nulla e si accontenta di portare a casa una storia riciclata e scontata, priva del cuore e della magia a cui eravamo stati abituati. Il problema maggiore di Elemental è che sembra scritto per blocchi, per gradini creativi da una macchina incapace di carpire la meraviglia creativa di una suggestione, di un pensiero laterale o più semplicemente di un’idea vera. Tutto nel film di Sohn ha anche una sua precisione, una sua giustezza, ma non sconvolge, non afferra il cuore e la mente (al massimo lo sguardo) e non fa palpitare i nervi; al contrario, è un mondo in cui tutto è bellissimo ma non racconta granché.
L’animazione del futuro
I personaggi di Elemental ardono, si bagnano, diventano evanescenti o sono duri e terreni e il mondo che li avvolge è un po’ la loro rappresentazione in grande. Elemental diventa quindi una vera e propria festa negli occhi quando ricostruisce la sua città degli elementi, sfruttando al massimo le tecnologie digitali e la computer grafica in un tripudio di colori, forme, geometrie e suoni; l’acqua e il fuoco, protagonisti del film e quindi rappresentati in forme chimiche e fisiche diverse, divampano e inondano tra i rossi più accesi e i blu più profondi creando effetti visivamente incredibili come quello del primo tocco tra Ember e Wade. Sembra quasi che tutta la poesia del film, la sua forza immaginifica stia in quelle inquadrature, in quei dipinti in movimento e non altrove, perché anche tutto il resto viene colpevolmente messo da parte. Un esempio lampante è l’assenza di interazioni significative di aria e terra con i due elementi principali, al di là della sequenza della partita di basket o del corteggiatore un po’ petulante di Ember, è un peccato che il film le ignori cosiccome è un peccato che gran parte dell’arena narrativa non venga minimamente esplorata restando sullo sfondo a fare da cornice. Una splendida cornice sia chiaro, ma solo quella.
Integrazione e sogni
Più di tutto colpisce come l’impianto tematico di Elemental sia così poco a fuoco, perché non si riesce mai a capire esattamente di cosa ci voglia parlare. È un film sulla necessità di superare il pregiudizio per favorire l’integrazione tra culture diverse, e quindi la possibilità dell’amore? Oppure è un film sull’auto affermarsi per ciò che si è e si vuole, anche andando contro le aspettative genitoriali o i loro stessi sacrifici? La risposta a queste domande non è univoca, ma c’è la forte impressione che Elemental soffra di una profonda crisi d’identità; la creatura di Peter Sohn aveva sulla carta tutti gli elementi per portare a casa un film di valore assoluto, pur partendo da un concept non esattamente rivoluzionario, ma si è adagiata sui suoi stessi allori senza tentare di percorrere strade laterali sicuramente più rischiose ma più interessanti. E allora se questo 62° film Pixar rimane un piacere per i sensi, non si può dire lo stesso di cuore e stomaco. E quando mancano quelli, non c’è computer grafica che tenga.
Elemental. Regia di Peter Sohn con le voci italiane di Valentina Romani, Stefano De Martino, Sierra Yilmaz e Mr Rain, in uscita mercoledì 21 giugno distribuito da Disney Pictures Italia.
Tre stelle