La nostra recensione di Elvis, strabordante biopic di un Baz Luhrmann frenetico sul leggendario Re del rock ‘n roll, interpretato da un Austin Butler esplosivo, affiancato da un Tom Hanks inquietante, presentato Cannes 2022
Enorme. Esorbitante. Esplosivo. Un caleidoscopio infervorato frantuma un’icona mastodontica in una miriade di schegge acuminate. Brandelli sfavillanti di una leggenda si assemblano a formare un mosaico abbagliante che restituisce tutte le sfumature di un uomo che divenne un Re. Baz Luhrmann, a nove anni da Il grande Gatsby, dà libero sfogo alla sua vena più eccentrica e crea un biopic capace di far esplodere i crismi del genere e insieme celebrare uno dei più grandi musicisti della storia. Elvis, presentato al Festival di Cannes 2022, è un orgasmo cinematografico che non può lasciare indifferenti.
L’imbonitore e l’attrazione
Un uomo in fin di vita racconta una storia di successi clamorosi e ingenui passi falsi, di riflettori e paillettes splendenti che celano mostri deformi. Quella storia è, in parte, la sua storia. Il mito di una gazza ladra machiavellica che sgraffigna la più preziosa delle perle. La leggenda di un imbonitore famelico che trova la sua attrazione di punta in un ragazzetto dallo sguardo sognante e dalla voce potente, capace di scatenare il delirio del pubblico solo ancheggiando. Ed ecco il primo grande azzardo di Elvis: far narrare la storia del suo protagonista al villain. Quel Colonnello Tom Parker, manager di Presley, che ha inesorabilmente segnato, nel bene e nel male, la carriera del cantante. Una sanguisuga manipolatrice, un opportunista di professione dal passato oscuro, cui Tom Hanks (sotto strati e strati di trucco prostetico) dona un fascino viscido e mellifluo. Succede, però, che la storia sfugge dalle mani del Colonnello e le sue allocuzioni al pubblico si trasformano in un pietoso arrampicarsi su specchi crepati che riflettono una luce abbagliante.
La gabbia dorata del Re
Con un iconico movimento di bacino Elvis infrange le catene dorate che lo hanno avvinto per buona parte della sua parabola e si cinge il capo con la corona che gli spetta. E quando sul palco (sullo schermo) si scatena il Re del rock ‘n roll, non ce n’è per nessuno. Lo sanno bene gli abbozzati personaggi secondari di questo film, ma questa non è la loro storia. Perchè in Elvis i riflettori sono puntati sulle gesta di un bambino che voleva volare come il suo supereroe preferito. Un artista che ha trasformato il suo stile sopra le righe e la sua voce forgiata tra il country dei bianchi e il ritmo blues dei neri nelle ali dorate che lo hanno condotto nell’olimpo della musica. Elvis non si esime dal fotografare i momenti più bui di questa ascesa: dalle accuse di oscenità legate al suo stile sopra le righe, alla dipendenza da sostanze stupefacenti che ha compromesso il rapporto con la moglie fino alla “reclusione forzata” (ad opera del Colonnello) nella gabbia dorata dell’hotel international di Las Vegas.
Elvis Aaron Presley, per gli amici E.P.
Con un ritmo frenetico e piccole omissioni che potrebbero far storcere il naso a i fan più accaniti, Elvis riesce a restituire un’immagine tridimensionale e sfaccettata del suo protagonista. Il film non dimentica mai il profondo legame di Presley con la comunità nera, più volte richiamato nei momenti chiave della pellicola, e riesce ad anche ad intrecciare la parabola biografica con la storia politica americana di quegli anni. La sceneggiatura così si stratifica a livello tematico proponendo interessanti riflessioni su razzismo e perbenismo che si intrecciano con il motivo (tipico di un biopic musicale) che sta alla base di tutto il racconto: l’amore viscerale e travolgente di Elvis per la musica. Solo quando è sul palco E.P. è veramente felice. Austin Butler, con un’interpretazione eccezionale, riesce a cogliere i chiaroscuri di un giovane ribelle che muta negli anni in un uomo infelice capace di tornare a sorridere solo quando impugna la sua chitarra e, con i suoi abiti iconici, si scatena a ritmo di rock ‘n roll. Butler non mima, ma fa rivivere Elvis e interpreta con la sua voce i capolavori di Presley trasformando un azzardo in una vittoria a tutto spiano.
Frenesia euforica
Elvis è un film pirotecnico che fa dello squilibrio e della sovrabbondanza la sua arma più forte. Non sarà probabilmente il più raffinato tra i lavori di Luhrmann, ma certamente il più esplosivo e forsennato. Pur essendo onnipresente grazie alle volute barocche della sua macchina da presa, all’uso brillante del famale gaze quando si sofferma sul corpo di Elvis e registra le reazioni euforiche del pubblico (non solo femminile), a un gusto quasi al limite del kitsch nella messa in scena, il regista non entra mai in competizione con il suo protagonista. Non gli ruba mai la scena e non lo adula neppure. Non gli costruisce intorno una gabbia che ne castri l’esuberanza, ma lascia Presley dimenarsi eccitato mentre si scatena in una regia orgasmica. Il tutto a tempo di una colonna sonora trascinante.
Prima di essere un film di Luhrmann, Elvis è un film di (e non su) Elvis. La stravaganza cinematografica follemente adatta a raccontare un tale monumento della musica.
Elvis. Regia di Baz Luhrmann. Con Austin Butler, Tom Hanks, Helen Thomson, Richard Roxburgh, Olivia DeJonge, Luke Bracey, David Wenham, Kelvin Harrison Jr., Xavier Samuel, Kodi Smit-McPhee, Dacre Montgomery, Leon Ford, Kate Mulvany, Jay Chaydon, Charles Grounds e Josh McConville. Al cinema dal 22 giugno, distribuito da Warner Bros. Pictures Italia.
3 stelle e mezza