Nella splendida cornice della Casa del Cinema a Roma abbiamo incontrato Jonathan Ke Quan, il mitico Short Round in Indiana Jones e il tempio maledetto e Data ne , I Goonies, e il co-produttore e co-regista del film Daniel Kwan
Un film all’insegna di Wong Kar-wai
In occasione dell’uscita nelle sale di Everything Everywhere All at once lo scorso 6 ottobre ( di cui trovate qui la nostra recensione), film evento che ha incassato finora oltre 100 milioni di dollari nel mondo e diventato la pellicola più redditizia della casa di produzione A24 (Hereditary, Midsommar) abbiamo avuto la possibilità di scambiare quattro chiacchiere con il protagonista maschile Jonathan Ke Quan, che nel film interpreta Waymond, e uno dei registi Daniel Kwan. L’attore ha subito parlato del parallelismo a livello estetico del film con la poetica delle pellicole di Wong Kar-wai, di cui è stato anche assistente per vari film, affermando “Non ho appena ho letto la sceneggiatura ho capito subito che questo film sarebbe stato un degno erede dello stile di Wong War-kai e mai avrei immaginato che un giorno mi sarei ritrovato davanti alla macchina da presa per poterlo portare sul grande schermo con questi personaggi e questa storia. Ho imparato tantissimo da Wong Kar-wai e a lui devo tanto della mia crescita, sia come essere umano che come persona.”
Un solo Jonathan per tanti Waymond
Nel film Jonathan Ke Quan è chiamato ad interpretare tante diverse versioni di Waymond, ognuna appartenente ad un universo differente: “All’inizio ero molto nervoso all’idea di dover recitare in così tante versioni dello stesso personaggio, ma poi ho avuto la possibilità di lavorare con un acting coach, con un body coach per quanto riguarda i movimenti del corpo e con un vocal couch per l’impostazione della voce. Ho potuto imparare a parlare in maniera diversa, a camminare in maniera diversa così da poter ogni volta saper marcare la distinzione tra una versione e l’altra. Dal punto di vista emotivo invece ho messo tutta la mia vita all’interno di questo personaggio, da quando ero bambino fino ad ora. Tutte le mie lotte per continuare a recitare ad Hollywood, lo spaesamento che ho avvertito da bambino quando mi sono trasferito in America, l’euforia per questa nuova fase della mia carriera. Del mio personaggio non cambierei assolutamente nulla, perché è un personaggio complesso, sfaccettato e profondamente umano”.
22 anni e non sentirli
A questo punto della conversazione il co-regista e co-produttore Daniel Kwan è intervenuto per complimentarsi con Jonathan per il gran lavoro fatto nonostante la sua lunga assenza davanti alla macchina da presa: “La sua performance è stata ancora più impressionante se considerate che per ventidue anni Jonathan aveva smesso di recitare. Immaginate un professionista dello sport a cui viene chiesto di tornare a giocare dopo ventidue anni in tre ruoli diversi, e di farlo ad un livello altissimo. Inoltre ha dovuto affrontare una lunghissima fase di preparazione a livello attoriale, in cui si è dovuto confrontare con tante figure diverse e con tanti lati diversi dei suoi personaggi.”
Il tema del film al mondo d’oggi
Il tema del film, legato appunto al ruolo determinante che la gentilezza e la bontà hanno nell’opporsi al caos, è stato uno spunto di riflessione importante per Daniel Kwan, che ne ha discusso approfonditamente gli aspetti legati al mondo di oggi, tra pandemia non ancora finita e minacce alla sicurezza globale: “L’obiettivo è quello di cercare di parlare e di affrontare la cultura di Internet e le notizie contraddittorie che ci propina di continuo. Diventa difficile capire a chi credere e la risposta a questo dilemma può essere quella della gentilezza. Non un gentilezza di facciata però, quella per cui qualcuno ti saluta con un sorriso e poi di nascosto ti manda a quel paese, ma una gentilezza più profonda, più legata all’empatia, al voler capire le persone, al volerle aiutare, al cercare di entrare davvero in contatto con loro. Non è una cosa facile da fare, ma è estremamente importante farlo per far sì che il caos possa essere magari non sconfitto, ma di sicuro attenuato in questo mondo o in tutti gli altri mondi.”
Il potere del multiverso
Il discorso, infine, non poteva non andare su un argomento particolarmente scottante nel cinema odierno: il multiverso. “Noi ovviamente non volevamo competere con altri universi cinematografici, anche perché non lo abbiamo mai concepito come un film che aprisse a possibili derivazioni future. Volevamo semplicemente raccontare una storia, questa storia, nella maniera migliore possibile e l’aspetto del multiverso si collegava perfettamente con il discorso legato alle molteplici sliding door che una persona si trova ad attraversare nel corso della vita. Volevamo che fosse un film in cui i nostri personaggi, e specialmente quello di Michelle (Yeoh n.b.), si interrogassero sul come fossero andate le loro vite, sui loro rimpianti o rimorsi e che potessero intravedere un pezzetto di quello che sarebbero potuti essere se solo avessero compiuto scelte diverse. In questo senso il nostro uso è stato più legato ai singoli personaggi e non ad una possibile macrostoria che li contenesse tutti.”
Prima di salutarci Jonathan Ke Quan ci ha lasciati con una piccola chicca: il suo doppiatore nel film sarà lo stesso doppiatore che lo doppiò all’epoca di Indiana Jones e il tempio maledetto e de I goonies.