Arriva al cinema solo il 23 e 24 gennaio distribuito da Nexo Digital Fabrizio De André. Principe Libero, il biopic di Luca Facchini con Luca Marinelli dedicato al grande cantautore genovese, che sarà poi trasmesso su Rai1 in due puntate il 13 e 14 febbraio.
Questa di Marinelli (non) è la storia vera
Diciamolo subito, “Fabrizio De André. Principe Libero” non è un documentario, è una fiction, (una coproduzione di Rai Fiction e Bibi Film TV, prodotta da Angelo Barbagallo, lo stesso team de “La meglio gioventù”), come dichiara Luca Facchini nelle note di regia “questa serie non sarebbe la stessa, o addirittura non esisterebbe, senza la presenza di Luca Marinelli, che ci ha regalato un’interpretazione sorprendente, costruita sulla misura, lontana dall’emulazione. Luca non interpreta Fabrizio, lo rappresenta”, e ci riesce benissimo, senza nemmeno tentare di parlare come lui, senza la cadenza genovese, ma nemmeno con il forte accento romanesco che avevano altri suoi personaggi dei film che lo hanno reso celebre come “Non essere cattivo” o “Lo chiamavano Jeeg Robot”. Niente paura quindi, non sentirete “Er pescatore” o “Non è la rosa, non è er tulipano, c’hai messo l’acqua e nun te pagamo” (come fanno credere tante battute circolate in rete dopo il trailer, senza aver visto il film). Semplicemente Marinelli parla in italiano con la sua voce, così come De André parlava in italiano, anche se si sentiva che era genovese. Come si legge nelle note degli sceneggiatori Giordano Meacci e Francesca Serafini si tratta di “tradimento voluto” (come le traduzioni di Faber da Dylan e Cohen), per dirla con Attilio Bertolucci “un racconto inventato dal vero” e trasformato in “un universo fittizio in cui Fabrizio ha la voce di Luca Marinelli”, per segnare “una distanza necessaria da una realtà nota a tutti e in ogni caso irraggiungibile” senza ridurla ad un’imitazione che rischiava di diventare caricaturale, provando piuttosto a rielabolarla in qualcosa di dichiaratamente altro, e ci riesce.
Gli esordi a Genova con Luigi Tenco e Paolo Villaggio
Il film inizia in Sardegna, nella tenuta dell’Agnata in Gallura, dove sono ambientate le prime scene, fino al momento del sequestro di cui saranno vittime De André e la compagna Dori Ghezzi (interpretata dalla brava Valentina Bellè) nel 1979, dopo di che con un flash back si torna indietro all’infanzia genovese. Faber (questo il soprannome che gli aveva dato l’amico Paolo Villaggio) era nato a Genova il 18 febbraio 1940 e qui trascorre tutta la sua giovinezza. Di estrazione borghese, il padre Giuseppe (Ennio Fantastichini) era stato vicesindaco di Genova, amministratore delegato e presidente di Eridania, la madre Luisa (Laura Mazzi) era figlia di produttori vinicoli e sarà lei nella realtà a regalare al figlio la prima chitarra (nel film è il padre), mentre il fratello maggiore Mauro (Davide Iacopini) era un noto avvocato, professione che secondo il volere del padre avrebbe dovuto intraprendere anche lo stesso Fabrizio. Il film si sofferma soprattutto sulle frequentazioni di Faber con le prostitute dei caruggi genovesi, le graziose di “Via del Campo”, il tormentato rapporto con la scuola (il liceo classico e poi l’università), e i legami con gli amici storici Luigi Tenco (Matteo Martari) e Paolo Villaggio (il bravissimo Gianluca Gobbi), con cui faceva i primi spettacoli nei teatri e scrisse le prime canzoni, come “Il fannullone” o “Carlo Martello”, ben interpretate dallo stesso Marinelli. Di Tenco in particolare si ricorda che Faber andava in giro a raccontare che “Quando” l’aveva scritta lui, per far colpo sulle ragazze.
Faber, il Principe dell’isola di Mussica
Le donne sono un’altra costante del film, insieme al fumo e all’alcol. Faber viene soprannominato “il Principe dell’isola di Mussica”, neologismo che unisce il termine dialettale genovese “mussa” (l’organo femminile) e “musica”. Il titolo del film deriva invece dalla citazione del pirata britannico Samuel Bellamy riportata sul disco “Le Nuvole”: «Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di fare guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare». La “signora Libertà” e la “signorina Anarchia” (a un certo punto viene citato anche Max Stirner) come cantava Faber in “Se ti tagliassero a pezzetti” sono state le sue compagne ideali per tutta la vita. Alle donne borghesi della Genova bene preferiva le graziose dei Carrugi però poi finirà per sposare Enrica “Puny” Rignon (nel film l’elegante Elena Radonicich) considerata “la donna più bella di Genova”, che apparteneva a una delle famiglie più ricche della città, da cui ebbe il figlio Cristiano nel 1962. La figura di Cristiano è messa un po’ in ombra nella fiction, il nome dei vari attori che lo interpretano negli anni non è nemmeno citato nel cast artistico del pressbook e non fatichiamo a capire il motivo per cui il film non gli sia piaciuto particolarmente: solo lui probabilmente avrebbe potuto interpretare il padre meglio di quanto abbia fatto Marinelli, ma allo stesso tempo non avrebbe mai accettato di recitare questo ruolo, essendo già impegnato a cantare (benissimo) le sue canzoni nella vita reale, sarebbe stato davvero troppo. L’altra donna della sua vita è stata ovviamente la seconda moglie Dori Ghezzi (madre della secondogenita Luvi), che ha contribuito personalmente al film sia attraverso la ricostruzione della biografia (a volte dovendo sacrificare la verità storica per esigenze televisive) sia donando agli attori gli abiti originali di Fabrizio e della stessa Dori.
L’inizio della carriera discografica grazie a Mina
Prima dell’incontro con Dori Ghezzi avvenuto nel 1975 (sarà lei a convincerlo a cantare lo stesso anno alla Bussola di Sergio Bernardini, dopo lunghi tentativi andati a vuoto) c’erano stati per Fabrizio i primi successi come autore grazie a Mina che nel 1967 porta in televisione la sua “Canzone di Marinella” (da lui scritta e interpretata nel ’64). In questo periodo uscirono i suoi primi dischi: dall’album di esordio Tutto Fabrizio De André del 1966 (una raccolta di 45 giri), seguito da Volume I (1967), considerato come il suo primo vero lavoro, fino al concept album Tutti morimmo a stento che Faber osserva emozionato esposto in vetrina in un negozio di dischi (in cui il testo del primo brano, Cantico dei drogati, è tratto da “Eroina”, una poesia di Riccardo Mannerini, nel film Tommaso Ragno), Volume III (1968) e Nuvole barocche (1969), la raccolta dei 45 giri del periodo Karim. Seguiranno i suoi dischi più famosi e celebrati come La buona novella (1970), dove canta i vangeli apocrifi, Non al denaro non all’amore né al cielo (1971) ispirato all’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e Storia di un impiegato (1973), passando per Canzoni (1974), Volume VIII (1975, scritto in Sardegna con Francesco De Gregori, che si intravede appena, giovanissimo), mentre nel film non compare Massimo Bubola con cui scrisse i successivi Rimini (1978) e “L’indiano” (1981). Anche altri importanti collaboratori come Nicola Piovani e Ivano Fossati non vengono citati nel film, mentre c’è una scena dove Faber canta “Il pescatore” con la PFM (con cui pubblicò due dischi live nel ’79 e ’80) in cui suonava anche Mauro Pagani, con cui scriverà i fondamentali album in genovese Creuza de ma (1984) e Le nuvole (’90).
I quattro mesi di sequestro in Sardegna
Il film si concentra poi sulla vita da agricoltore in Sardegna fino alle drammatiche pagine del rapimento avvenuto all’Agnata il 27 agosto del 1979 (fino al 22 dicembre, Fabrizio verrà liberato 3 ore dopo Dori, anche se nel film sembra passato un anno) e al successivo ritorno sulle scene con il disco che contiene “Hotel Supramonte” dedicata appunto alla terribile vicenda del sequestro. Il film si sofferma forse troppo su questi quattro mesi, sia per esigenze televisive (è un tema che attira il pubblico) sia forse perché questo periodo di prigionia è quello in cui più di tutti si sente la mancanza del diritto fondamentale, la libertà. “Principe” e “libero” sono due parole che, accostate, raccontano molto bene De André: l’eleganza borghese e il nobile distacco di un principe, che nello stesso tempo è sempre pronto a raccontare e ad appassionarsi alle storie dei diversi, degli ultimi, dei diseredati, e a farne parabola, canzone, preghiera; la ricerca della libertà e il racconto di un viaggio fatto sempre “in direzione ostinata e contraria”, per usare i versi di una sua canzone (l’ultima, splendida, “Smisurata preghiera”), che lo hanno reso il testimone e il cantore dell’uomo e della sua divina imperfezione, promuovendone valori come la tolleranza, il perdono, la comprensione, il rispetto, l’amore. Faber perdonò gli stessi sequestratori ed ebbe parole di pietà per i suoi carcerieri, rinunciando persino a costituirsi parte civile contro gli esecutori materiali, sebbene il padre abbia pagato un ingente riscatto per liberarlo. In Sardegna lo andrà a trovare anche Nanda Pivano, che gli parlerà di Kerouac e della beat generation.
La colonna sonora: le musiche del film
Grande importanza nel film hanno ovviamente le musiche, che si alternano tra i brani originali cantati dallo stesso Fabrizio De André (che sono la maggior parte, 23), le interpretazioni di Luca Marinelli (che oltre a cantare, senza sfigurare affatto, in alcuni brani come “La ballata dell’eroe” suona anche la chitarra classica), Mina (“La canzone di Marinella”), Luigi Tenco (“Ciao amore ciao”), Dori Ghezzi e Wess (“Noi due per sempre”), la London Symphony Orchestra (dal disco “Sogno n.1”), i Faber Per Sempre (Pier Michelatti, Alessandro Cristilli, Anais Drago, Paolo Guercio, Maurizio Verna, Robin Manzini) fino alla rielaborazione di Pasquale Laino de “La domenica delle salme” e alla scena finale con “Bocca di rosa” tratta dall’ultimo dvd “Fabrizio De André in concerto” registrato al teatro Brancaccio di Roma, per un totale di oltre 40 brani.
Conclusioni: pregi e mancanze del film
Il film si conclude improvvisamente con il matrimonio con Dori Ghezzi, avvenuto in Sardegna nel 1989, dopo di che si passa direttamente ai titoli di coda sulle immagini del concerto al Teatro Brancaccio di Roma del febbraio 1998 (che poi in realtà non fu l’ultimo concerto perché Faber tornò in concerto in estate per l’ultima volta, anche a Roma allo stadio dell’Acqua Acetosa). L’ultimo periodo della sua vita però, quasi tutti gli anni ’90, quelli che vanno da “Le nuvole” fino ad “Anime salve” (1996), non viene trattato esplicitamente dal film, probabilmente per esigenze temporali e televisive (dura già oltre 3 ore, che se in televisione possono essere divise in due puntate, al cinema diventano una maratona), limitandosi a inserire alcuni brani dell’ultimo periodo nella colonna sonora, anche su avvenimenti precedenti. Ovviamente agli appassionati di De André non sfuggono diverse imprecisioni e omissioni rispetto alla realtà storica dei fatti, ma se si considera il film di Facchini per quello che è (una fiction per la tv), il lavoro durato nel complesso nove anni (da segnalare la fotografia di Gogò Bianchi) è sicuramente apprezzabile rispetto a tanti altri biopic del genere (pensiamo ad esempio a quello su Rino Gaetano) e ha il pregio di restituire la figura di De André a chi non l’ha mai conosciuto in un modo tutto sommato onesto e coerente con quelli che sono stati i veri ideali e i valori di Fabrizio, al netto di tutte le differenze che per forza di cose rimangono tra il film e la realtà.
Fabrizio De André. Principe Libero, una coproduzione Rai Fiction e Bibi Film, arriva come evento speciale al cinema solo il 23 e 24 gennaio distribuito da Nexo Digital.