Da Venezia la nostra recensione di Felicità, l’esordio registico di Micaela Ramazzotti con Max Tortora, Anna Galiena e Sergio Rubini: ci sono sincerità e potenziale, ma c’è anche una grande necessità di affinare la scrittura; Orizzonti Extra
Ci sono voluti diversi anni affinché il grande sogno di Micaela Ramazzotti di portare sullo schermo la storia di Felicità potesse avverarsi, e ora la sua opera prima si è anche aggiudicata il premio del pubblico nella sezione Orizzonti Extra a Venezia 80. Una pellicola frutto di un’urgenza e di una sincerità nelle intenzioni encomiabili, che però avrebbe beneficiato di maggior finezza nell’esposizione e di qualche cliché narrativo in meno.
Il cuore di Desirè
Desirè (Micaela Ramazzotti) lavora nel cinema come truccatrice ed è sempre stata una donna oculata e responsabile, sin da ragazza. È inoltre una donna di buon cuore e un po’ ingenua, ingenuità che viene spesso sfruttata da suo padre Max (Max Tortora) o dal compagno Bruno (Sergio Rubini), uomini manipolatori e opportunisti. Quando però suo fratello Claudio (Matteo Olivetti) entrerà in depressione a causa di alcuni debiti non saldati sarà Desirè a doversi occupare di lui, allontanandolo da quella stessa famiglia che non ha saputo proteggerlo o aiutarlo.
Questione di sincerità
Non c’è dubbio che Micaela Ramazzotti abbia messo cuore e anima in questa sua opera prima, perché in Felicità c’è tutto il mondo interiore dell’attrice romana e ci sono tutti i personaggi che l’hanno resa così celebre e amata da pubblico e critica. La sua Desirè è un concentrato di ingenuità, ottimismo, voglia di vivere e fragilità che si rifanno alla Anna de La prima cosa bella, alla Donatella de La pazza gioia e alla Sonia di Tutta la vita davanti; questo rimescere in un immaginario così familiare rappresenta un grande punto di forza e un grande limite di questo suo lavoro, perché se da una parte la Ramazzotti viaggia col pilota automatico dall’altra parte assistiamo ad un arco fin troppo prevedibile.
Resta però un film permeato di profonda sincerità e verità, almeno per il mondo che decide di raccontare e per lo sguardo con il quale lo racconta, dato che la Ramazzotti decide di traslare un po’ di se stessa in ognuno dei personaggi principali distillando all’interno di essi paure, paranoie, rimpianti ma anche speranze, gioie, momenti di luce. Felicità lavora così su un microcosmo di periferia abitato da uomini e donne che vanno incontro al sentimento del titolo o se ne allontanano, cercando di stemperare il pathos dei (non troppi) momenti più drammatici con una leggerezza di tono che sfiora la commedia amara.
Legami complessi
Il nucleo familiare di Desirè è tutt’altro che unito, tutt’altro che inossidabile. Lo capiamo praticamente fin dall’entrata in scena del padre Max o del compagno Bruno, perché tutte o quasi tutte le relazioni che lo compongono sono basate su una tossicità di fondo che si esprime tramite la manipolazione, l’inganno o lo scherno. Felicità cerca di entrare a fondo di questi meccanismi psicologici per poi addentrarsi in un territorio ancora più ostile, che è quello della depressione clinica e delle sue manifestazioni. Lungi dall’adottare un tono cupo però, l’esordio dietro la macchina da presa dell’interprete romana cerca di gettare una luce positiva e speranzosa su questa malattia tramite il rapporto tra Desirè e il fratello.
Non rischia granché Micaela, come avevamo già accennato all’inizio, anzi la sua scrittura alle volte si arena nel territorio del già visto o già raccontato o comunque non ha la forza drammaturgica di regalare tutto quel respiro necessario affinché ci sia un’esplosione sullo schermo. Questo accade comunque volutamente, perché Felicità è intimo e raccolto, materno e protettivo come Desirè nei confronti di Claudio, si esprime attraverso una carezza o uno sguardo tenero. È un po’ il manifesto di un cinema che la Ramazzotti ha cavalcato nel corso della propria carriera, di un modo di raccontare i conflitti che vuole staccarsi dalla pomposità di certo cinema autoriale per rincorrere l’autenticità.
Alla ricerca di qualcosa
Presentato nella sezione Orizzonti Extra a Venezia Felicità ha messo d’accordo il pubblico della kermesse che lo ha premiato, ed è evidente come questa sia una storia di grande semplicità che vuole arrivare al cuore e allo stomaco dello spettatore. Per questo il racconto va dritto per la sua strada fino ad un finale liberatorio, accumulando di continuo emozioni contrastanti e squarci di vita quotidiana segnati dalla ricerca costante di quella felicità che diventa manifesto di un songo, di una fuga, di una speranza. Per Desirè, per suo fratello, Claudio, ma anche per Bruno e Max persi nel loro egoismo. Per noi tutti, attraverso il sorriso imbronciato di Micaela Ramazzotti e la sua voce rotta dal dubbio.
Felicità. Regia di Micaela Ramazzotti con Micaela Ramazzotti, Max Tortora, Sergio Rubini, Anna Galiena e Matteo Olivetti, in uscita al cinema il 21 settembre distribuito da 01 Distribution.
Tre stelle