La nostra recensione di Fremont, quarto film dell’iraniano Babak Jalali presentato alla scorsa Festa del Cinema di Roma con Anaita Wali Zada e il Jeremy Allen White di The Bear: un low concept di grande sensibilità che parla di colpa, cedendo solo alla fine al romanticismo
Fremont ci conduce nell’omonima cittadina californiana, stretta tra i giganti della Silicon Valley e le grandi città costiere e abitata perlopiù da migranti di varia provenienza: afghani, cinesi, coreani, qualche ispanico. Un’arena molto simile a quelle raccontate da tanto cinema indie americano, come ad esempio nel pluripremiato Nomadland, nonostante qui non si parli di nomadismo ma di integrazione sociale e colpa ( che poi forse non sono così distanti). Protagonisti di quest’opera di grande sensibilità e sobrietà Anaita Wali Zada e Jeremy Allen White, quest’ultimo reso celebre da The Bear, sebbene il quarto film dell’iraniano Babak Jalali resti sempre sulla protagonista Donya, alla ricerca di un futuro nei fortune cookies.
La ragazza dei biscotti della fortuna
Donya (Anaita Wali Zada) è una bella e problematica ragazza afgana espatriata nella cittadina californiana del titolo. Ex traduttrice per l’esercito americano in Afghanistan, lavora a San Francisco in un piccolo laboratorio cinese che produce i “biscotti della fortuna”, dove a volte scrive i messaggi stampati sui foglietti in essi contenuti. Vive da sola in un edificio con altri immigrati afghani e spesso cena da sola in un ristorante locale guardando soap opera. Ha problemi di insonnia che la portano a iniziare una terapia con uno psicologo appassionato di “Zanna Bianca” che può permettersi solo grazie ad un piccolo stratagemma.
Silenziosamente Donya lotta per rimettere in ordine la sua vita dopo un passato difficile, soffrendo della solitudine che la sua condizione di esule comporta. In un momento di disperato romanticismo decide di inviare verso l’ignoto un messaggio speciale in un biscotto a caso, come un sos in bottiglia lanciato in mezzo al mare. In qualche modo questo gesto cambierà la sua vita.
Un futuro laggiù
Si muove lentissimo e sinuoso Fremont, quasi al passo della vita della sua protagonista Donya. Una donna trapiantata in California dall’Afghanistan, dove lavorava come interprete per le truppe Usa, ma in realtà finita su un pianeta le cui coordinate le sono impossibili da decifrare. Rimane perciò spesso confusa nel suo vagare, si arrabatta scrivendo frasi da inserire nei biscotti della fortuna aspettando che la propria cominci a girare, e nel frattempo sfugge dal senso di colpa per aver abbandonato la propria famiglia e il proprio paese. Cerca quindi il futuro Donya e Babak Jalali asseconda questa ricerca fino in fondo, anche quando nel terzo atto vi è uno scarto di testo e forse anche di senso.
Perché il quarto film del regista iraniano prosegue sulla falsariga dei precedenti, con un racconto intimo e di grande sobrietà e intimità in cui i fantasmi del passato e quelli del presente camminano assieme specchiandosi negli occhi un po’ sognanti e un po’ disillusi di Donya. Il grande merito di Fremont è quello di non spostare mai lo sguardo altrove da Donya, senza avere la pretesa di renderlo accessibile sempre e a tutti i costi, ma invece sapendone restituire la complessità e le contraddizioni. È in fondo lo sguardo esterno verso il paese dei sogni, delle libertà e delle possibilità che però diventa una pigione quando quella stessa libertà si trasforma in incertezza.
Fremont – Jeremy Allen White e Anaita Wali Zada
C’è anche l’amore
Non che Fremont voglia sottilizzare che l’amore sia una panacea alla paura del futuro, ma non è un caso che quello scarto così improvviso in cui il meccanico di un bravissimo Jeremy Allen White irrompe nella vita di Donya avvenga solo nel finale. Un po’ per sbloccare quella che altrimenti avrebbe rischiato di essere una stasi narrativa forse eccessiva, un po’ perché Donya aveva effettivamente bisogno di un personaggio che la facesse sentire capita, compresa, persino protetta. Lo psicologo da cui si reca, il datore di lavoro cinese e tutti i personaggi che le gravitavano intorno erano infatti muri impenetrabili, capaci forse di leggerla ma non di permetterle di leggersi.
Invece di quello scarto Donya e il film avevano bisogno, come fosse la scossa in grado di cancellare parte del passato e riscrivere parte del presente in attesa di un futuro ora un po’ meno nubiloso. Scritto da Jalali assieme alla Carolina Cavalli di Amanda, Fremont si lascia andare alla propria levità aiutato anche da una splendida Anaita Wali Zada (qui al suo esordio da protagonista), e soprattutto da una certa capacità di sintesi analitica del processo di adattamento e superamento di uno shock culturale, prima ancora che umano. E in un epoca in cui il cinema alle volte sembra correre perfino troppo, fa piacere trovare film che hanno il passo cadenzato di una fresca pioggia estiva.
TITOLO | Fremont |
REGIA | Babak Jalali |
ATTORI | Anaita Wali Zada, Gregg Turkington, Jeremy Allen White, Hilda Schmelling, Siddique Ahmed, Fazil Seddiqui |
USCITA | 27 giugno 2024 |
DISTRIBUZIONE | Wanted Cinema |
Tre stelle e mezza