La nostra intervista a Gabriella Greison, fisica, autrice, scrittrice e performer teatrale: pronta a debuttare in streaming con Ucciderò il gatto di Schroedinger, ci ha parlato dello spettacolo, del momento che sta vivendo il teatro, dei prossimi progetti e di molto altro ancora
Definita dalla critica “la rockstar della fisica”, Gabriella Greison debutta in streaming dal Teatro Nuovo di Salsomaggiore Terme con Ucciderò il gatto di Schroedinger (alle ore 21, biglietti e streaming disponibili qui), tratto dal suo ultimo romanzo edito da Mondadori e già arrivato alla terza ristampa. La performer ci ha parlato dello spettacolo ma anche del momento che sta vivendo il teatro italiano, della sua necessità di “parlare d’altro” in tempo di Covid affinché sia possibile vivere e non solo sopravvivere, dei sogni nel cassetto già realizzati e di tutti i nuovi progetti che continuano a venirle in mente di volta in volta.
Ucciderò il gatto di Schroedinger è un progetto che parte da numerose ricerche svolte anche all’estero e sfociate nel suo libro: com’è nata l’idea di farne anche uno spettacolo teatrale?
Questo è il mio ottavo lavoro a teatro, ogni mio romanzo sfocia in un monologo teatrale, è questa la mia strada, è questo il mondo che mi sono creata. In questo caso non si tratta di monologo, per la prima volta. Il palco è l’unico posto al mondo che mi fa sentire viva. Il contatto dal vivo con il pubblico mi fa crescere. Dopo ogni spettacolo io resto sempre più di un’ora nel foyer a parlare con tutti, a rispondere alle domande, e da quei momenti io prendo energia e ispirazione per i miei lavori successivi. Sono in un loop magnifico.
Cosa ci può dire dello spettacolo: quali sono le sue caratteristiche e cosa deve aspettarsi il pubblico?
È la risposta a Copenaghen di Michael Frayn. L’ho conosciuto, siamo diventati amici, abbiamo avuto un lungo scambio di vedute. Avevo voglia di mostrare il punto di vista di Schroedinger (e Einstein) in tutta quella vicenda, che viene sempre e solo ricordata dal punto di vista di Heisenberg e Bohr. La vicenda che racconta la nascita della meccanica quantistica… Sul mio sito ho creato una sezione che approfondisce tutto questo: www.GreisonAnatomy.com
Il paradosso del gatto di Schroedinger è anche una metafora di vita: quanto l’ha influenzata a livello personale e che messaggio vuole far passare al pubblico?
Lo spettacolo teatrale nasce da una mia esigenza di creare qualcosa di nuovo che potesse prendere le sembianze di una rinascita. In un periodo tremendo come quello che stiamo vivendo, con l’informazione che ruota interamente intorno al virus, con i messaggi martellanti che ci arrivano che richiamano continuamente alla realtà del virus che ci ha costretti a una vita diversa, con la televisione che non fa altro che ricordarci del virus, con tutte le persone intorno che hanno una loro idea sul virus, io avevo necessità di parlare d’altro. Non ne potevo più. Avevo bisogno di parlare di vita, di crescita, di cambiamento. Perché dobbiamo tenere a mente che dobbiamo vivere e non solo sopravvivere.
Per questo ora più che mai serve ricordarlo con storie, con racconti di fantasia. Per volare da altre parti. Intorno a me, con gli anni, ho creato un reticolo di cultura in cui posso esprimermi, e tutti insieme la pensiamo alla stessa maniera, condividiamo valori e sentimenti belli. Era necessario mostrarli, ora più che mai. Perché la svolta sia valida per più persone possibili. Lo spettacolo l’ho tratto dal mio romanzo omonimo, e racconta proprio il momento di svolta di una ragazza di 28 anni, Alice. La svolta alla sua vita, Alice riesce a prenderla grazie agli incontri che fa nei sogni con il fisico Erwin Schrödinger (premio Nobel in fisica nel 1933 e tra i creatori della meccanica quantistica). Un riferimento per lei fondamentale per non perdersi in un mondo (il nostro) dove tutto è messo in discussione da tutti, dove viviamo frastornati dall’informazione a senso unico, e dove appunto le priorità invece sono altre. Infine, questo ritorno a teatro per me è una esigenza di espressione di cui non riesco a fare a meno. E una speranza che presto riaprano. Noi, con la nostra produzione Imarts, siamo pronti per farlo girare in tour.
Lo spettacolo debutta in streaming: da interprete, come vive questa scelta obbligata?
Non eravamo obbligati, lo abbiamo deciso noi. Io questo spettacolo l’ho scritto a settembre 2020 quando è uscito il romanzo, abbiamo continuato a rimandarlo, ma io ho fatto memoria lo stesso e ad un certo punto abbiamo deciso di fare il debutto in streaming con l’idea che se aspettavamo che arrivava un segnale dall’alto non lo avremmo mai creato per molto tempo. Sono le piccole cose che cambiano il mondo, i piccoli gesti. Per noi questo piccolo gesto è importantissimo per vedere la luce.
Riapertura dei teatri dal 26 aprile, ma con fortissime limitazioni, numeriche e di orari. Qual è la sua idea (o speranza) al riguardo?
Devono riaprire per forza, i teatri sono stati i luoghi più dimenticati dalle istituzioni nel corso di tutto l’anno. Non ne parlavano neanche più i media, e non parlare di certe cose le fa sgonfiare, le fa perdere di importanza. Questo è successo alla cultura, e agli spettacoli dal vivo.
Una problematica strettamente collegata alla chiusura forzata è quella delle sovvenzioni ai teatri: che situazione ha visto in questi mesi e quanto ancora c’è da fare?
Posso dirvi il mio punto di vista con un aneddoto che ho vissuto, non il loro che non conosco: avevo uno spettacolo in programma per una settimana di tutto esaurito a metà marzo dell’anno scorso (Einstein & me, quello su Mileva Maric) al Teatro Elfo Puccini di Milano, con anche tutti i mattinée venduti, doppie repliche sold out per una settimana, un caso assoluto visto che era anche uno spettacolo di cui avevo rilevato la produzione, e che credevo di rientrare dalla spesa con questa settimana di botto, e invece non si è fatto. Gli amici che hanno preso il biglietto hanno ottenuto un bonus per vedere altri spettacoli in estate, ma il mio non è andato in scena. Chissà quante situazioni come le mie sono accadute in quest’anno. Chissà quando rientro da quella spesa. Speriamo venga riproposto esattamente come era saltato, al Teatro Elfo Puccini di Milano.
La divulgazione scientifica e il teatro: un matrimonio che ha dato i suoi frutti…
Ho creato questo mio percorso teatrale dopo 10 anni di studio, ho creato un mio modo di stare sul palco, ho capito come parlare, come riempire gli spazi, mi sono creato un mio modo di esprimermi. Ho avuto maestri formidabili. Ho lasciato la carriera accademica scientifica perché avevo esigenza di esprimermi al di fuori, ma utilizzando tutte le basi solide su cui poggia il mio bagaglio di cultura, che attinge appunto dalla fisica dell’infinitamente piccolo, la meccanica quantistica, e dilaga in seguito nella letteratura. I miei lavori si basano tutti sulle mie ricerche sul posto, su viaggi in America e in Europa, su incontri, su archivi, su paper, su interviste, su tutti i miei contatti che nel corso degli anni mi sono costruita. Sono amica del nipote di Bohr, del figlio di Heisenberg, del nipote di Schrödinger, ho contatti con gli archivi più importanti al mondo, e ogni libro che scrivo è una necessità forte prima di tutto. Il percorso teatrale l’ho costruito per raccontare le storie della fisica a tutti, perché solo con il teatro dal vivo si arriva a tutti. Io racconto storie, tutto qui.
Quand’è che la vedremo sbarcare anche al cinema? E cosa le piacerebbe fare?
Hanno acquisito proprio in questi giorni, dopo tanti rinvii dovuti alla pandemia in corso, i diritti del libro Einstein e io, quello su Mileva Maric, la prima moglie di Einstein. Non vedo l’ora che si inizi a lavorare su questo in ambito cinematografico… La storia di Mileva Maric è di una di quelle a cui sono più affezionata. La porto anche a teatro con il mio spettacolo Einstein & me, che ha la voce di Giancarlo Giannini nei panni di Einstein, e io da sola sul palco. Ho girato ovunque con lei, anche a San Francisco, a Vienna, a Zurigo. Per problemi con la produzione, ad un certo punto ho anche acquisito la produzione io stessa, per salvare il lavoro della regista, e preservare intatto il gioiellino. Uno sforzo enorme, ma per Mileva valeva la pena farlo. Proprio per lei mi sto battendo affinché le diano una laurea postuma dall’ETH di Zurigo, come simbolo, come segnale che le cose stanno cambiando, e le donne della scienza possono esprimersi oggi più del XX secolo.
Il suo sogno nel cassetto?
Tutti i miei sogni io li sto mettendo in pratica, uno ad uno. Ma la cosa bella è che me ne nascono di nuovi man mano, e non mi fermo mai a pensarne. Nei miei incontri professionali sto avendo bellissimi scambi con tante belle teste, non escludo qualcosa con cantanti o rock band… visto che mi hanno soprannominato ‘la rockstar della fisica’, mi sembra giusto, no?
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