L’edizione 2018 dei Golden Globe è stata dominata dal tema della rappresentanza e del riconoscimento femminile ad Hollywood. A trionfare nella categoria tv sono infatti The Handmaid’s Tale e Big Little Lies, show che raccontano storie di donne forti e resilienti.
Golden Globe 2018: Time’s Up!
Quest’edizione dei Golden Globe Awards, che ogni anno premia i migliori film e programmi televisivi, ha rappresentato un vero e proprio spartiacque nel mondo hollywoodiano, scosso ormai da un inarrestabile movimento al femminile che ha deciso di dire basta a soprusi e disuguaglianze sul lavoro, che siano di ruolo, stipendio o posizione. La cerimonia è stata dominata dal tema della rappresentanza femminile e del riconoscimento che spetta alle donne, tra battute, aspre stoccate, abiti neri e discorsi memorabili, scanditi dal motto Time’s Up! Per quanto riguarda la categoria tv, a marcare sensibilmente il cambiamento è stato il trionfo di serie che raccontano storie di donne resilienti e di carattere, alle prese con abusi, violenze o anche solo la difficile quotidianità. Parliamo di The Handmaid’s Tale e Big Little Lies, ovviamente, gioielli tutti al femminile di questo 2017 che ha visto il mondo dello spettacolo tremare dalle fondamenta, messo finalmente spalle al muro davanti al problema degli abusi di potere e sessuali nell’industria cinematografica.
Elisabeth Moss: siamo uscite dallo spazio bianco
Non stupisce dunque che ad aggiudicarsi il premio come miglior serie tv – drama sia stata The Handmaid’s Tale (Il Racconto dell’Ancella), senza dubbio una delle migliori uscite del 2017 e forse degli ultimi anni, già vincitrice di ben otto Emmy. Protagonista è la magistrale Elisabeth Moss, miglior attrice protagonista nella categoria. L’attrice ha omaggiato Margaret Atwood, autrice dell’omonimo romanzo da cui è tratta la serie, con una sua citazione: «Noi eravamo la gente di cui non si parlava nei giornali. Vivevamo nei vuoti spazi bianchi ai margini dei fogli e questo ci dava più libertà. Vivevamo tra gli interstizi di storie altrui», concludendo poi con un emozionante appello al presente, ricordando che ora non viviamo più nello spazio bianco, «perché stiamo scrivendo noi stesse quelle storie». E questo è uno dei punti principali del dibattito in atto per quanto riguarda la questione di genere nel mondo dello spettacolo: la necessità che le donne si auto-rappresentino e raccontino a partire da sé. Non più oggetti, ma soggetti attivi, capaci di proporre la propria visione del mondo, anche e soprattutto di quello femminile, troppe volte narrato dal punto di vista esclusivamente maschile.
The Handmaid’s Tale, capolavoro femminista
La serie, ideata da Bruce Miller, immagina un futuro distopico in cui gli Stati Uniti sono stati conquistati da una setta di fondamentalisti cristiani che hanno fondato una nuova comunità in cui il patriarcato torna ad essere una cruda, concreta realtà. La violenza del nuovo sistema è ben rappresentato dalla caccia spietata alle identità LGBTQ e dalla costituzione dell’ordine delle Ancelle, donne particolarmente fertili ridotte ad uteri ambulanti alla mercé dei vari padroni. L’attualità sociale, culturale e politica di The Handmaid’s Tale turba la quiete e le certezze in cui siamo immersi, ed è proprio questo sentore di già visto a rendere la narrazione particolarmente angosciante. Basti pensare all’attuale presidenza Trump e a tutti i dibattiti e le critiche che ha generato negli Stati Uniti, attraversati da una nuova dura ondata di misoginia e intolleranza nei confronti di tutto ciò che è diverso, che sia orientamento sessuale, identità di genere o etnica. Non stupisce perciò il clamore suscitato da questa serie, capace di collocare nel futuro problemi attuali, solo per ripresentarceli più vividi e crudi. La serie è un originale Hulu ed è disponibile su TIMVISION in Italia. Vi lasciamo con la nostra recensione, ricordandovi che la seconda stagione è prevista per Aprile 2018.
Big Little Lies, un trionfo al femminile
La rivelazione dell’anno è stata però Big Little Lies, che ha letteralmente sbancato aggiudicandosi ben quattro riconoscimenti nella categoria miniserie. Tratta dal romanzo di Liane Moriarty e riadattata da David E. Kelley, la serie vede alla regia Jean-Marc Vallée, premio Oscar per Dallas Buyers Club, e presenta un cast eccezionale, capitanato da quattro donne di talento: Nicole Kidman e Laura Dern, Reese Whiterspoon e Shailene Woodley. Big Little Lies ha avuto il merito di portare sul piccolo schermo, anticipandolo, il tema degli abusi sessuali, che quest’anno ha sconvolto Hollywood per la prima volta in maniera radicale e visibile, scatenando una serie di reazioni e prese di coscienza da cui difficilmente si tornerà indietro. Questa volta alla cerimonia si respirava un clima del tutto diverso, segnato soprattutto dall’assenza del potente produttore Harvey Weinstein. È proprio questo che ha sottolineato la splendida Nicole Kidman nel suo discorso: «Il personaggio che interpreto rappresenta il cuore della discussione in atto sul tema dell’abuso. Credo e spero che possiamo suscitare un cambiamento attraverso le storie che raccontiamo e il modo in cui lo facciamo. Manteniamo vivo questo dibattito».
Un universo di facciata tra intrighi, ipocrisie e un omicidio
Big Little Lies è il ritratto delle ipocrisie che attraversano il mondo moderno, il quale spesso cela la propria infelicità e insoddisfazione sotto una facciata convenzionale e socialmente accettabile. La serie si ambienta nella tranquilla Monterey, a sud di San Francisco, dove un omicidio sconvolge gli abitanti portando a galla scomode verità e situazioni difficili. La storia ruota attorno a quattro donne, coinvolte tutte in qualche modo in una serie di intrighi più oscuri di quel che si direbbe, ma che nel frattempo devono affrontare la vita di tutti i giorni, viziata da conflitti, segreti e tradimenti. La serie mette in luce le contraddizioni e le violenze che spesso si mascherano sotto la facciata di ideali borghesi e convenzioni sociali. Sotto l’apparenza di matrimoni felici e famiglie perfette spesso si nascondono invece traumi, violenze, menzogne e disperazione. L’omicidio farà luce su questa drammatica realtà ma soprattutto sulla rivalità delle quattro donne protagoniste. Big Little Lies è trasmessa su Sky Atlantic e qualche tempo fa è stata rinnovata con una seconda stagione, nonostante nasca come miniserie.
The Marvelous Mrs. Maisel, comica ebrea negli anni ’50
A sorprendere nella categoria tv musical-commedia è The Marvelous Mrs. Maisel, un originale Amazon Studios che porta la firma di Amy Sherman-Palladino, con cui Rachel Brosnahan si aggiudica il premio come miglior attrice protagonista per la commedia. La serie rappresenta inoltre un altro grande colpo per Amazon Prime Video, che ha concluso un anno da record. Miriam Maisel è una casalinga ebrea che, dopo un matrimonio fallimentare, si riscopre attrice comica nel pieno degli anni ’50. Basterebbe questa breve descrizione a lasciar trapelare la portata rivoluzionaria e d’impatto della storia narrata, con un personaggio femminile brillante, positivo e irriverente, che ha già conquistato critica e opinione pubblica. Abbiamo bisogno di personaggi femminili così, a dimostrazione di come le donne, anche e soprattutto in televisione, non debbano per forza essere solo vittime, mogli o madri, e nemmeno eroine inarrivabili a tutti i costi, ma semplicemente persone che hanno storie da raccontare con cui far emozionare il pubblico. Storie appassionate e contraddittorie, piene di errori e incertezze. E perché no, anche scostumate, proprio come il libertino free the nipple in cui si esibisce la nostra Signorina Maisel, completamente ubriaca in un locale.
L’importanza del premio a Sterling K. Brown
Non solo una maggior rappresentanza femminile. Le serie tv premiate dimostrano anche uno spirito inclusivo teso a rappresentare la diversità in senso più allargato. Pieno di emozione il discorso di Sterling K. Brown, che passerà alla storia come il primo afroamericano ad essersi aggiudicato il Golden Globe come miglior attore protagonista di una serie tv drammatica per la sua interpretazione nel dramma famigliare This Is Us. L’attore ha ringraziato il creatore Dan Fogelman per aver scritto un ruolo che solo un uomo di colore avrebbe potuto interpretare e ha espresso gratitudine per essere riconosciuto e apprezzato in quella che è la sua identità più autentica e vera. Un altro momento fortemente simbolico e di grande portata anche politica, se pensiamo all’aria che tira in questo momento negli Stati Uniti e, se vogliamo, in tutto il mondo occidentale. Nella serie, Sterling è Randall Pearson, terzo figlio (adottivo) di una famiglia bianca che, cresciuto, affronterà un viaggio alla ricerca delle sue radici e del padre adottivo.
Master of None di Aziz Ansari, affresco di diversità
Il problema della rappresentazione della diversità è stato da sempre un cancro di Hollywood, forse un tema di cui non si parla ancora abbastanza e che ha bisogno del suo momento di svolta, proprio come sta avvenendo per le campagne #MeToo e #Time’sUp. Ma qualcosa si è smosso, con una seconda prima volta: Aziz Ansari è il primo americano di origine asiatica ad aggiudicarsi il premio come miglior attore protagonista nella categoria comedy, grazie al ruolo in Master of None, di cui è anche creatore. Nella serie, che è una sorta di autofiction, Aziz è Dev Shah, giovane attore di origine indiana alle prese con la propria – troppo spesso – inconcludente carriera e vita sentimentale, in una New York che è ogni giorno stimolo e teatro di incontri e confronti soprattutto culturali. Il brillante monologhista del Saturday Night Live strega tutti con una scrittura semplice ma toccante, capace di illuminare di poesia anche la banalità della vita quotidiana. Master of None è un po’ un ritratto generazionale e ha il merito di affrontare anche i temi attuali della società contemporanea, sempre con leggerezza e ironia, tracciando un affresco della diversità, che sia culturale, etnica o di genere. La serie è disponibile su Netflix.
Un doppio e irriconoscibile Ewan McGregor
Qualche parola va spesa anche per Ewan McGregor e la sua incredibile doppia interpretazione nella terza stagione di Fargo, serie tv antologica ideata da Noah Hawley e ispirata al film omonimo dei fratelli Coen, per la quale si è aggiudicato il riconoscimento come miglior attore protagonista di una miniserie. Sì, perché l’attore scozzese interpreta ben due ruoli, due gemelli poco raccomandabili con vite completamente diverse ma una cosa in comune: tanti scheletri nell’armadio. L’ex Obi-Wan Kenobi è completamente irriconoscibile, stempiato e unto nei panni di Ray Stussy, per poi trasformarsi invece nell’aristocratico Emmit Stussy, ricco possidente immobiliare. La terza stagione ruota attorno a incomprensioni e vendette di cui sono protagonisti i due fratelli, così diversi eppure uniti da giri di soldi sporchi, omicidi ed equivoci in pieno stile Coen. A mettere in moto la macchina narrativa sarà…un francobollo. Fargo è disponibile su Sky Atlantic HD e Now TV.
Per altri approfondimenti ed una panoramica completa su quest’edizione dei Golden Globe Awards e su tutti i vincitori e i candidati del grande e piccolo schermo, vi rimandiamo qui.