La nostra recensione di Griselda, la nuova miniserie Netflix che racconta la vita e le gesta della crudele e potentissima madrina del narcotraffico Griselda Blanco, a cui dà i panni Sofia Vergara: una Griselda femminista, più seducente e più fragile ma anche meno temibile
Dopo il grande successo di Narcos e dello spin-off Narcos: Mexico, Netflix non poteva non occuparsi anche di una delle figure più affascinanti e spietate dell’universo del narcotraffico colombiano, una donna di cui lo stesso Pablo Escobar si dice avesse una paura tremenda. Parliamo ovviamente della “vedova nera” Griselda Blanco, che viene riportata in scena per la seconda volta grazie a Sofia Vergara dopo la versione yankee di Catherine Zeta Jones e che, in questo Griselda, diventa una donna fragile ma combattiva assieme, incredibilmente sensuale e diabolica, forse anche troppo. Perché l’impressione è che la vera Griselda fosse un personaggio ben più “sporco” e meno patinato di questo.
La madrina
Griselda Blanco (Sofia Vergara) fugge a Miami con i suoi tre figli, senza soldi e un chilo di cocaina nascosto nella sua borsa. Lì trova lavoro presso l’agenzia di viaggi dell’amica Carmen (Vanessa Ferlito), e prova a lasciarsi alle spalle il passato. Tuttavia un incontro con un potente boss locale la riporta sui suoi passi, proponendosi come sua fornitrice di cocaina, ma non passa molto prima che June Hawkins (Juliana Aidén Martinez), analista della polizia di Miami, cominci a sospettare che a capo di questa nuova rete vi sia una donna. Con una quantità enorme di droga da piazzare, Griselda ha bisogno di crearsi dei nuovi clienti e i bianchi ricchi della città statunitense sembrano fare al caso suo.
Umanizzare Griselda Blanco
Sono state poche le donne capaci di entrare nell’immaginario collettivo per la loro ferocia e spietatezza, ma anche e soprattutto per aver sovvertito l’immaginario comune che vuole gli uomini al comando di determinati mondi come ad esempio quello del narcotraffico, per antonomasia più legati a valori e ad atteggiamenti tradizionalmente maschili. Certo, è uno stereotipo duro a morire questo, ma è la realtà stessa che ci viene in soccorso perché quella di Griselda Blanco è stata una figura tremendamente reale e tragica, come la sua vita. Non era perciò quindi un compito facile quello di trasporre le tanti fasi di un’esistenza così sfaccettata, fatta da una parte di violenza, sopraffazione, crudeltà nei confronti dei suoi avversari e dall’altra parte di un rapporto edipico (al contrario) verso i propri figli.
Griselda diventa quindi una dichiarazioni d’intenti femminista e avanguardista, il cui scopo è quello di umanizzare il personaggio facendone trasparire anche i lati più intimi e fragili, le paure, le insicurezze mentre la protagonista è in cerca di quell’emancipazione femminile difficile da ottenere in un mondo profondamente androgino e misogino come quello dei narcos. Messa così allora Griselda sembra avere le carte giuste per poter funzionare a dovere, e c’è da dire che persino Sofia Vergara risulta piuttosto convincente nella parte, nonostante non riesca del tutto a smarcarsi dalla postura della Gloria di Modern Family, ma forse il problema sta proprio in quel voler cercare a tutti i costi un’umanità anche dove magari non c’è.
Un passo laterale
La sensazione che i sei episodi lasciano alla fine della visione è un po’ quella di un repulisti rispetto ad una figura così ingombrante e oscura, specialmente se di sesso femminile. Perché la Griselda portata in scena dalla Vergara ha tutte le caratteristiche di una dark lady, dalla sensualità mai troppo esibita alle gracilità nascoste che riaffiorano soltanto nell’intimità, ma non riesce mai davvero ad incutere quella paura che tanto la rese leggendaria in vita. Ed è un problema non da poco, viste anche le premesse che vogliono come persino Pablo Escobar tremasse di fronte al suo nome, un problema che viene ulteriormente evidenziato da troppe libertà creative presenti specialmente nei primi episodi.
Appare infatti poco credibile che una donna appena venuta dalla Colombia riesca a farsi strada da sola, senza copertura alcuna, in un ambiente così maschilista ed infatti nella realtà la stessa Blanco riuscì a farsi strada proprio grazie alla copertura di Escobar, qui incredibilmente dimenticato dalla narrazione. Certo, il focus deve restare e resta sulla “madrina”, che qui diventa una villain a tutti gli effetti ma senza che la sua oscurità riesca ad emergere fino in fondo. In Griselda però il punto di vista viene diviso in due, sempre al femminile, perché dall’altra parte della barricata troviamo la legge nella figura di June Hawkins, una giovane analista dell’FBI anche’ella costretta a farsi strada tra uomini che la deridono e che ne sottovalutano lavoro e talento.
Un contraltare alle volte fin troppo didascalico e ossessivo che però ha il merito di mettere a confronto due figure totalmente antitetiche, ma entrambe legate ad uno scopo comune che è quello dell’essere viste, dell’essere capite e apprezzate. Griselda è quindi un prodotto godibile e che evita gran parte dei cliché del genere (grazie anche alla presenza in scrittura del creatore di Narcos, Eric Newman), riuscendo a tenere bene ritmo e pacing narrativi e a presentarci una storia solida, per quanto molto romanzata. Il vero peccato sta nella scelta di allontanarsi dalla Griselda reale per renderla, se non più empatica, meno detestabile agli occhi dello spettatore anche quando compie azioni riprovevoli. Un po’ di sana oscurità in più avrebbe reso la luce più splendente.
TITOLO | Griselda |
REGIA | Andrés Baiz |
ATTORI | Sofia Vergara, Vanessa Ferlito, Christian Tappan, Juliana Aidén Martinez, Alberto Guerra, Karol G., Gabriel Sloyer, Martín Fajardo, Julieth Restrepo |
USCITA | 25 gennaio 2024 |
DISTRIBUZIONE | Netflix |
Tre stelle