Hammamet, recensione: Un Favino perfetto in un film profondamente sbagliato

Hammamet - Pierfrancesco Favino
Pierfrancesco Favino

Al netto della magistrale interpretazione di Pierfrancesco Favino, Hammamet si rivela un’occasione mancata. Di fronte alla possibilità di mostrare luci e ombre di uno dei personaggi politici più discussi del nostro recente passato, Gianni Amelio decide infatti di non prendere alcuna posizione. Né da un punto di vista morale né stilistico.

Uno straordinario Pierfrancesco Favino

Il punto di partenza per provare a valutare la riuscita dell’atteso Hammamet di Gianni Amelio, paradossalmente, potrebbe essere un altro film, ossia Il traditore di Marco Bellocchio. Entrambe le opere non nascondono, infatti, la volontà dei rispettivi autori di riscrivere il nostro passato più recente. Oltre a vantare, ovvio, la partecipazione, in qualità di protagonista, di uno straordinario Pierfrancesco Favino che, a distanza di un anno dal suo Buscetta, si produce in una nuova performance di mimesi totale degna del miglior Gian Maria Volonté e che, fosse americano, gli garantirebbe a occhi chiusi un Oscar. Un’interpretazione perfetta, rispetto alla quale, il resto del film non si dimostra purtroppo all’altezza.

La mancanza di coraggio di Amelio

Perché, tornando al paragone con Il traditore, laddove Bellocchio ha dimostrato un certo coraggio nell’affrontare di petto il problema della rappresentazione del male senza vergognarsi di sposare stilisticamente il genere, Amelio, molto semplicemente, sembra dimenticarsi che Craxi è il male. O, almeno, ne è stato una declinazione, per quanto in nessun modo assimilabile a un criminale come Tommaso Buscetta, se non altro in termini di gravità dei reati commessi. Facciamo però finta che ad Amelio non interessi affatto dare dell’ex leader Socialista un giudizio morale che esuli da quell’insistito “lo facevano tutti” e che il suo intento fosse esclusivamente quello di descriverne il crepuscolo umano.

Hammamet - Pierfrancesco Favino 2
L’incredibile trasformazione fisica di Pierfrancesco Favino in Bettino Craxi

La poetica del declino

Ma, anche come puro e semplice “viale del tramonto”, Hammamet funziona poco e male, e mostra fin da subito – a partire dalla scelta, francamente incomprensibile, di non nominare mai il suo ingombrante protagonista né tanto meno gli altri personaggi politici dell’epoca, Berlusconi in primis – tutti i limiti di un’opera che, anche da un punto di vista drammaturgico, non si assume alcun rischio. Per dimostrare la vacuità del progetto basta ripetere il giochino dei paragoni e tirare in ballo un altro regista, Paolo Sorrentino, che, proprio sulla poetica del declino, politico e umano, ha costruito un capolavoro assoluto – Il divo – e l’assai meno riuscito Loro, nel complesso comunque più significante e centrato del film di Amelio.

Il filtro del melodramma

L’elemento imprescindibile per qualsiasi rappresentazione della realtà è, infatti,  indiscutibilmente il filtro utilizzato. Sorrentino utilizza (benissimo) il grottesco, il che gli permette di non assumere mai posizioni a favore o contro il soggetto in questione pur raccontandone luci e ombre. Amelio purtroppo si rifugia nei confini – che, per carità, immaginiamo anche abbastanza comodi – di un melodramma che, da solo, non riesce a descrivere il mix di arroganza e vulnerabilità del Craxi esiliato e decaduto, limitandosi a porre l’accento sul secondo elemento, aiutato in questo dalle musiche invasive e quasi sempre fuori luogo di Nicola Piovani.

Hammamet - Pierfrancesco Favino e Giuseppe Cederna
Pierfrancesco Favino e Giuseppe Cederna in una scena di Hammamet

Il resto del cast

L’impressione è che il film poggi, per la stessa volontà dell’autore, tutta la sua ragion d’essere sul lavoro di Favino, straordinario soprattutto per quanto riguarda la voce. Prova ne sia il fatto che, fatta eccezione per Giuseppe Cederna e Renato Carpentieri, il parterre dei comprimari è composto da attori che sembrano presi di peso dal cast di una soap opera di quart’ordine: uno su tutti il pessimo Luca Filippi, versione inebetita di Alessandro Borghi che, in un ruolo altamente drammatico e centrale per le sorti del film, rasenta in più di un’occasione il comico involontario.

In conclusione

C’è un solo momento in cui Hammamet sembra potersi elevare dalla medietà priva di stile che lo zavorra ed è la scena onirica di un varietà simil Bagaglino durante la quale, per un attimo, si respira aria di cinema. Ma, a quel punto, è già troppo tardi e il film ormai volge al termine, con il solito epilogo che riprende e chiude l’inutile flashback visto nella prima scena. Ed è un peccato. In primis per un regista un tempo lucido e rigorosissimo nel raccontare l’Italia come Gianni Amelio – senza andare indietro nel tempo fino a Colpire al cuore, basti pensare a Lamerica e Come ridevano – che qui si dimostra incapace di gestire al meglio un personaggio ambiguo e (fin troppo) ricco di sfaccettature come Bettino Craxi.

Hammamet, diretto da Gianni Amelio e interpretato da Pierfrancesco Favino, Livia Rossi, Silvia Cohen, Luca Filippi, Giuseppe Cederna, Claudia Gerini, Renato Carpentieri e Roberto De Francesco, sarà in sala da giovedì 9 gennaio, distribuito da 01 Distribution.

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