La nostra recensione di House of Gucci, apoteosi grottesca di Ridley Scott, sulla turbolenta storia vera della famiglia Gucci, con Lady Gaga, Adam Driver, Al Pacino e Jared Leto che scimmiottano l’italianità
La storia della famiglia di stilisti e imprenditori Gucci, uno dei marchi di moda italiani più rinomati, sembra di per sé un soggetto cinematografico: una coppia di innamorati che entra in crisi, giochi di potere, scontri di vedute sul futuro di un’azienda e perfino un assassinio. Una scabrosa vicenda che ha infiammato la cronaca nera italiana sul finire degli anni ‘90 ed ha ispirato Sir. Ridley Scott a girare House of Gucci. Un regista britannico che racconta una storia italiana ingaggiando un cast di attori inglesi e americani che si fingono italiani. Tutto il macabro fascino cinematografico che aleggia intorno ai Gucci si trasforma, nelle mani del regista di cult come Alien e Blade Runner, in una pagliacciata di cattivo gusto, dalle derive pericolosamente grottesche e ridicole.
Il marchio di famiglia
Senza troppo puntare su una puntuale aderenza alla realtà storica, House of Gucci racconta vent’anni di giochi di potere e intrighi interni alla maison, che all’alba dei gloriosi Eighties (con la cui estetica glam eccentrica la pellicola va a braccetto) sguazzava in un misto di successo internazionale e irregolarità finanziarie. Questo lo sfondo su cui si staglia la tormentata storia d’amore tra la proletaria Patrizia Reggiani (Lady Gaga) e l’aitante studente di legge ed erede della casa di moda Maurizio Gucci (Adam Driver), destinata a finire in tragedia.
Alla ricerca dell’Italia perduta
House of Gucci è un film dall’impianto produttivo americano che nel maldestro tentativo di proporre una certa atmosfera italiana di cui il soggetto è, per forza di cose, impregnato, scimmiotta il concetto di italianità e ridicolizza un intero Paese. Non è l’Italia ad essere messa in scena, ma l’immagine distorta e clownesca che l’America ha del Bel Paese: una nazione in cui non si pagano le tasse, governata dalla mafia e abitata da un branco di maschere grottesche capaci solo di urlare, imprecare, gesticolare e vestirsi alla moda. Una rappresentazione disdicevole messa in secondo piano solo da un altro problematico dettaglio: oltre ad una mezza inquadratura del Duomo di Milano, non sembra mai, in nessun momento del film, di essere geograficamente in Italia. Occasione sprecata o pietà per un paese che non si merita di accogliere questo scempio?
Tu vuo′ fa’ l′italiano
L’apice del grottesco, però, si tocca nella direzione degli attori, costretti recitare le proprie battute in un inglese dalla cadenza italiana, la quale, invece di restituire verosimiglianza alla messa in scena, genera solo raccapriccio. Lady Gaga, il cui fascino magnetico è probabilmente il dettaglio migliore di tutta la pellicola, ce la mette tutta per sembrare italiana, ma propone in una straniante pronuncia pseudo-russa. Al Pacino, scatenato e urlante Aldo Gucci, e Jared Leto, un Paolo Gucci ricoperto da chili di inguardabile trucco prostetico, che gesticola come un pagliaccio disperato ed emette stridii insopportabili al posto della parole, dimostrano che non basta avere sfilze di premi e nomination per funzionare in ogni progetto. Paradossalmente a risultare più credibili sono coloro che non ci provano neppure a fare il verso all’accento italiano (o almeno ne limitano l’uso): Adam Driver, incastrato nel personaggio apparentemente più affascinante ma mal costruito, e Jeremy Irons, un Rodolfo Gucci che sembra uscito da Intervista col vampiro.
Ma che sta succedendo?
Dopo due lunghissime e pesanti ore e mezzo di sequestro di persona, finita la pellicola ci si sente un po’ come Lady-Patrizia che, ritrovatasi in casa la finanza, furiosa, pronuncia in italiano (con immancabile storpiatura americana e improperio che fa tanto Bel Paese): «ma che *** sta succedendo?». I motivi sono tanti. Una regia poco ispirata e decisamente stanca. Personaggi macchiettistici, vuoti, caricatura di loro stessi. Un ritmo altalenante. Una scelta musicale improbabile, che in più occasioni contrasta così tanto con le immagini da scatenare un cortocircuito di straripante trash che strappa non poche risate. Di pietà rassegnata.
Un becero prodotto commerciale
House of Gucci parte dai toni di una commedia romantica, tenta la strada del thriller inzuppato di dramma familiare e sfocia in una parodia tragicomica di una storia criminosa. Lascia interdetti la maniera in cui viene messo in scena l’omicidio di Maurizio, cuore della pellicola, liquidato con una fretta agghiacciante, ed un’ancora più problematica giustificazione della mandante dell’omicidio (Patrizia Reggiani), che diventa quasi una vittima. Questa volta Ridley Scott ha abbandonato ogni ambizione artistica per tuffarsi a capofitto in una pellicola commerciale, nel senso più disdicevole del termine, che di elegante ha solo i costumi dei suoi personaggi. E se in un film sui Gucci neanche gli abiti fossero stati all’altezza, si sarebbe raggiunto per davvero il colmo.
House of Gucci. Regia di Ridley Scott. Con Lady Gaga, Adam Driver, Al Pacino, Jared Leto, Jeremy Irons, Salma Hayek, Jack Huston, Camille Cottin, Madalina Ghenea, Reeve Carney, Youssef Kerkour, Vincent Riotta e Andrea Piedimonte. Uscita al cinema 16 dicembre 2021, distribuzione Eagle Pictures.