La nostra recensione de I dannati, debutto nel lungometraggio di finzione del pluripremiato documentarista Roberto Minervini,appena presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard: uno spaccato duro e minimalista di guerra e solitudine, forse troppo
Arriva in sala in contemporanea con la presentazione a Cannes I dannati, primo film di “finzione” del pluripremiato documentarista marchigiano Roberto Minervini (Louisiana, Che fare quando il mondo è in fiamme?). Una storia ambientata durante le fasi cruciali della guerra civile statunitense, minimalista sia nello sguardo che nella progressione drammaturgica, e che fa dei rumori e dei silenzi della natura, della camera sempre stretta sui personaggi, delle attese, dei lampi di violenza e dell’intimità i suoi punti focali. Forse però sarebbe stata necessaria una mano un po’ più sciolta, più libera e calda.
L’età de la guerre
Inverno 1862. Nel pieno della guerra di Secessione, una compagnia di volontari dell’esercito degli Stati Uniti viene inviata a presidiare le terre inesplorate dell’Ovest. La missione travolge un pugno di uomini in armi, svelando loro il senso ultimo del proprio viaggio verso la frontiera e mettendoli di fronte all’orrore del conflitto, nell’attesa perenne di una morte che potrebbe essere imminente.
Un racconto minimalista
Si parte sempre da lì, dal peso specifico di un’inquadratura. È il linguaggio del cinema dopotutto, la sua grammatica, e Roberto Minervini sceglie un’inquadratura chiara e fortemente simbolica per aprire I dannati. Un branco di lupi che, inesorabilmente, fa a pezzi la carcassa di quella che sembra essere un’alce; la sbranano con avidità, la riducono a brandelli, mentre tutt’attorno sangue e neve si contaminano a vicenda senza mescolarsi. Un’apertura forte, drammatica, che sembra suggerire in maniera forse anche un po’ didascalica il senso del titolo ma che poi, eccetto per un paio di sequenze, sarà destinata a restare quasi un unicum.
Perché tutta l’architettura visiva dell’esordio del documentarista marchigiano si appoggia sulla capacità di quest’ultimo di entrare a contatto con l’intimità, le paure, gli sguardi dei propri personaggi. In un continuo gioco all’attesa, quasi aspettando un Godot che non sembra arrivare mai, Minervini alterna i molti momenti dialogici, le conoscenze tra soldati, le loro confessioni agli attacchi improvvisi e sparuti del nemico, nascosto nel fitto del bosco e pronto a colpire in qualsiasi momento. La minaccia si fa quindi reale, la posta in gioca concreta e tutta la pellicola è costruita sull’alternarsi di questi due spazi, che funzionano quando abbracciano totalmente il respiro della natura, l’incedere lento della foresta.
Ed è proprio in quei momenti che I dannati dà il meglio di sé, si fa cinema ruvido e spietato, incalzante e mai accomodante. Un cinema che però, nel corso di una durata anche piuttosto contenuta, sembra non prendere mai una direzione chiara, sembra per l’appunto restare fermo su se stesso o girare su se stesso. È una sensazione, questa, ricorrente e anche un po’ frustrante perché la pellicola non fa granché per uscire da quest’impasse.
Troppo attendismo stanca
Appare chiaro come lo scopo del regista marchigiano fosse quello di rappresentare l’inconcludenza della guerra, la sua totale inconsistenza rispetto al valore della vita umana e forse, in un certo senso, anche la sua ineluttabilità tragica. Sono dannati i protagonisti, di nome e di fatto, ma rappresentano persone reali, tangibili, perché si comportano in maniera credibile e perché non vengono glorificati. Sarà una coincidenza ma il nome di ogni personaggio corrisponde a quello dell’attore che lo interpreta, in un gioco di rimando ad una realtà rappresentabile solo tramite il filtro dello schermo ma inafferrabile.
Però I dannati è anche un’opera troppo piatta nel lungo raggio, bloccata nel suo attendismo e nel suo voler filosofeggiare su questioni forse troppo grandi per la storia che racconta. Ed è proprio su questo punto che Minervini, in futuro, dovrebbe correggere il tiro, magari miscelando la potenza visiva e immaginifica di certe inquadrature (come quelle grandangolari che abbracciano lo schermo) ad una scrittura più centrata, meno simbolica e più attaccata al reale tanto quanto lo è l’immagine. Rimane perciò la bellezza visionaria di un autore che sa cosa inquadrare e come inquadrarlo, ma forse non sa ancora il perché. Qui tocca scoprirlo.
TITOLO | I dannati |
REGIA | Roberto Minervini |
ATTORI | Jeremiah Knupp, René W. Solomon, Cuyler Ballenger, Noah Carlson, Judah Carlson, Tim Carlson, Bill Gehring |
USCITA | 16 maggio 2024 |
DISTRIBUZIONE | Lucky Red |
Tre stelle