Alla Festa del Cinema di Roma presentata I leoni di Sicilia, la serie evento diretta da Paolo Genovese: a raccontarla con lui i protagonisti Miriam Leone, Michele Riondino, Eduardo Scarpetta, Vinicio Marchioni, Paolo Briguglia, Ester Pantano, Adele Cammarata
Presentata alla Festa del Cinema di Roma la serie I leoni di Sicilia, (leggi la nostra recensione dei primi due episodi), avvincente saga della famiglia siciliana dei Florio ispirata al romanzo omonimo di Stefania Auci, presente in platea. A parlarne sul palco della conferenza stampa il regista Paolo Genovese e gli interpreti principali Miriam Leone, Michele Riondino, Vinicio Marchioni, Eduardo Scarpetta, Paolo Briguglia, Ester Pantano e Adele Cammarata.
I primi quattro episodi della serie sono disponibili dal 25 ottobre in esclusiva su Disney+, mentre i successivi quattro lo saranno dal 4 novembre.
Paolo, parlaci del tuo innamoramento per questa storia epica che attraversa decenni e che racconta grandi cambiamenti per il nostro Paese. Da dove nasce questa passione?
Paolo Genovese: Leggendo il romanzo, ho scoperto un materiale prezioso per raccontare una storia potente. Una storia che procede per contrasti, raccontati su diversi livelli perfettamente intrecciati, tra la storia rivoluzionaria dell’epoca, l’ascesa della borghesia commerciale, sempre più potente, la decadenza della nobiltà. Su queste rivoluzioni si innesta una rivoluzione personale, quella dei due protagonisti: Giulia che si ribella alla società patriarcale, e Vincenzo che si ribella a quello che la famiglia vuole per lui.
Miriam, raccontaci dell’evoluzione del tuo personaggio, una donna destinata ad essere la cameriera di casa che poi si trasforma in una leonessa.
Miriam Leone: Sono molto felice e molto grata di aver avuto la possibilità di interpretare questo personaggio. Quando ho letto il romanzo, dopo un incontro casuale con la sua autrice, l’ho regalato alle donne della mia famiglia, dicendo loro che quello era un libro che parlava di noi. Mi emoziona molto che questa donna sia veramente esistita, una donna che ha combattuto per le generazioni di donne che hanno la fortuna di poter essere libere.
Questo personaggio è stato un grandissimo regalo, io sono innamorata di Giulia: lei decide del proprio destino non solo per amore di un uomo ma per amore di se stessa. È veramente una ribelle, trova disonorevole vivere la vita che gli uomini hanno deciso per lei. Dedico il mio lavoro a tutte le donne che continuano a combattere.
Vincenzo rivendica l’orgoglio di essere una persona che lavora e che si sporca le mani ed è un uomo sempre in lotta. Quanto senti vicino questo personaggio?
Michele Riondino: lo sento molto vicino per le tematiche di riscatto, ma quello che mi ha colpito di più di Vincenzo è il suo modo di essere un visionario, precursore dei tempi. Lui è un viaggiatore, conosce il mondo, vuole portare la rivoluzionare industriale inglese in Sicilia. La sua visione del futuro della Sicilia è legata al progresso. Se le cose fossero andate come aveva previsto Vincenzo Florio, forse avremmo un’Italia capovolta con la Sicilia al posto del Nord produttivo.
Un rivoluzionario dal carattere spigoloso e scomodo, la cui vita è stata fortemente condizionata dall’amore per Giulia, un’altra rivoluzionaria. Una coppia che si sostiene ma che si mette anche molto in difficoltà, anche perché Vincenzo è un portatore sano di quel patriarcato che Giulia combatte, quindi diventano due poli che si attraggono e si scontrano, e nell’esplosione che ne deriva ci troviamo tutti noi oggi.
Dal punto di vista storico, Vincenzo Florio era davvero così spregiudicato e arrogante, ma anche sensibile al benessere degli ultimi?
Paolo Genovese: Vincenzo, e questo è anche il suo fascino, era un personaggio contraddittorio: spregiudicato negli affari, determinato nel raggiungere gli obiettivi, innamorato della sua visione, che difendeva contro tutti, e questa è la sua grandezza. In fondo è questo l’atteggiamento che porta al progresso: vedere qualcosa che gli altri non vedono. Poi però aveva dei momenti di vicinanza verso il popolo in memoria delle sue radici popolari. Si commuove quando vede i bambini che lavarono nelle miniere di zolfo e protesta. Umanamente è combattuto, con aspetti più piacevoli e meno piacevoli, un lato arrogante e uno tenero: in questo credo risieda il suo successo.
Come avete lavorato sulle musiche, in apparente dissonanza con l’ambientazione storica?
Paolo Genovese: per capire la scelta musicale, bisognerebbe vedere tutta la serie. Le note sono sette, sono sempre state sette, non c’è un modo antico o moderno per metterle insieme. La musica serve per essere utilizzata come amplificatore delle emozioni di una scena, e non credo che ci si una stretta relazione tra il periodo in cui è stata composta una musica e quello in cui si svolge una storia. Abbiamo trovato delle sonorità che fossero in grado di raccontare al meglio l’emozione di una scena a prescindere che fosse un classico di Bach o di Mozart o una musica trap, che non c’è ma paradossalmente ci sarebbe potuta essere.
Paolo e Vinicio, voi incarnate due tipi di mascolinità opposti: chi sono Paolo e Ignazio all’inizio di questa storia?
Paolo Briguglia: sono due fratelli che partono da una Calabria molto povera dopo una serie di traumatici terremoti. La cosa incredibile che tutti questi Florio, con il loro carattere diverso, con i loro punti di forza e le loro debolezze molto umane, ognuno di loro dà un contributo tale che se non ci fosse stato la storia sarebbe stata molto diversa. Quando il fratello più grande muore, Ignazio si trova a dover cambiare natura, da agnello a leone, rappresentato anche nell’insegna della loro attività, un leone che si abbevera a una fonte.
Vinicio Marchioni: Paolo Florio è quello che prende la decisione di lasciare la Calabria terremotata per andare a inseguire un sogno in quella che a quei tempi era una città multietnica, importantissima per gli scambi economici, Palermo appunto. Paolo appare proprio come una summa di tutti i padri padroni, testardo e cocciuto, in un’epoca in cui gli uomini erano molto poco preoccupati dei sentimenti, usando anche le mani nei confronti della propria donna.
Con Paolo (Genovese) ci siamo detti che non avremmo dovuto fare nessun passo indietro nel cercare di descrivere questo uomo, oltre a farlo parlare sempre con un accento calabrese per rimarcare il suo sentirsi straniero a Palermo, un ulteriore stimolo per la sua fame di affermazione, economica e identitaria. È interessante come nella dinastia dei Florio, il suo capostipite sia poi stato dimenticato, perché suo nipote non si chiama Paolo, ma Ignazio, una sorta di damnatio memoriae rispetto a un uomo così ruvido e testardo, comunque interessante da interpretare.
Miriam, hai attraversato con questo film un bel pezzo di storia siciliana: hai scoperto qualcosa di più sulla sicilianità?
Miriam Leone: Avendo già letto il romanzo, già la conoscevo. Noi siciliani siamo così, una “multietnia” se si può dire. Il fatto di sapere che in Sicilia sono passati tutti e che questa diversità per noi è stata una ricchezza, fa sì che io mi senta accolta in qualunque parte del mondo, perché le mie radici sono siciliane e nel profondo vengono da tanti scambi. Abbiamo anche rischiato di diventare inglesi, saremmo potuti essere bilingui ma non è successo. Ma è anche una terra molto patriarcale, molto legata a ciò che pensano gli altri, al “si fa ma non si dice“.
Io ho avuto una nonna nata nel 1914 che ha portato il lutto dagli Anni ’40 fino al 1997, con le calze nere anche d’estete, che mi ha educato in un certo modo, mi diceva: «Rifatti il letto altrimenti non ti sposa nessuno». E io le rispondevo: «Ma guarda nonna, il letto non lo faccio così non mi sposo». Poi, ho scelto di sposarmi e ho sempre lottato con il sorriso per la mia indipendenza. E poi c’è quella parte della Sicilia che accoglie, che dà un’opportunità. Io sono molto felice di essere entrata in una storia che parla di Sicilia ma non parla di Mafia. Un racconto che riscatta le cose belle che ci sono state nella nostra terra.
Giuseppina e Giovanna sono due donne forti ma di segno opposto rispetto al personaggio di Giulia. Ci raccontate come vi siete approcciate a questi personaggi e chi sono per voi queste donne?
Ester Pantano: Per me Giuseppina è una donna che si trova intrappolata tra due poli opposti: lei vuole restare in Calabria, in quella casa che racconta le sue origini. Ha dovuto sposare Paolo invece di Ignazio perché le è stato imposto e così si oppone alla decisione di andare via perché è l’ennesima imposizione. È un personaggio dal cuore grande, con una grande sofferenza interiore. Non è assolutamente un’arpia come a volte viene descritta, anzi, a volte non viene raccontata, quasi come se fosse un pezzo mancante all’interno della famiglia.
E poi è fondamentale per il figlio, funge da bilancia rispetto al credo di doversi imporre a livello lavorativo imposto dal padre. La vediamo combattuta rispetto alla possibilità di far nascere un amore una volta che suo marito viene a mancare, e poi invece inizia a sentire questa fedeltà immensa. Resta in un limbo, in un purgatorio perenne, non riesce mai a cadere totalmente né ad elevarsi a un paradiso, resta sospesa, come l’ultima testimone di Bagnara Calabra che riesce a vedere il fasto cui arriveranno i Florio.
Adele Cammarata: Giovanna entra a far parte di questa storia in un momento diverso, sarà colei che riesce a far guadagnare ai Florio quel titolo nobiliare a cui Vincenzo aveva tanto aspirato, in un matrimonio sì organizzato, ma sempre caratterizzato dal rispetto e dalla cura reciproci. Credo sia un personaggio molto contemporaneo per quel che riguarda il suo rapporto con la sua immagine, ha un’insicurezza tutta al femminile che riguarda molto le donne di oggi.
Eduardo, invece chi è il tuo Ignazio?
Eduardo Scarpetta: E tante cose, è quello che prima di nascere ha già un destino segnato: è l’unico figlio maschio di Vincenzo Florio, sin dall’inizio sa che dovrà portare avanti questa famiglia/impresa/dinastia. E quello che si sacrifica perché le sorelle si possano sposare per amore, anche se questo sacrificio lo farà soffrire perché lo costringerà a lasciare la vedova francese, Cammille, di cui è innamorato, che non si può assolutamente presentare in famiglia come ipotetica sposa. Oppresso dal padre, incanala la sua rabbia nel lavoro, e riesce a portare la famiglia ancora più in alto di quello che aveva fatto il padre.
Questo accade perché sicuramente il suo spessore umano è diverso da quello di Vincenzo, lui sente di più le esigenza delle persone che lavorano con lui. Una cosa di cui non si parla mai è la condizione di abbandono in cui versava la Sicilia, circostanza che emerge ancora di più nel secondo libro. A un certo punto si forma il trittico Genova, Milano, Torino, e la Sicilia è completamente abbandonata a se stessa. Io mi chiedo che cosa sarebbe stata la Sicilia se non ci fossero stati i Florio.
Paolo, vuoi citare anche gli altri attori della serie?
Paolo Genovese: non posso farlo poiché sono tantissimi, la cast list è di quasi 100 persone. Invece vorrei fare una riflessione: realizzare una serie così ti porta a conoscere un universo attoriale incredibile, attori bravissimi, magari non particolarmente conosciuti. Ho capito che abbiamo molti più attori bravi di quanti io potessi immaginare. Il punto di forza assoluta di questa serie è la capacità attoriale.
Genovese, questo è in fondo un Gattopardo al contrario: lo stesso periodo storico ma visto dal punto di vista della Borghesia. Hai considerato questo tema mentre facevi il film?
Paolo Genovese: Pensare al Gattopardo è inevitabile, anche se non ho pensato al punto di vista della borghesia, uno spunto interessante. Il mio pensiero di antitesi invece è stato leggermente diverso: Il Gattopardo è stato un film sull’immobilismo, mente I leoni di Sicilia è un film sul movimento, sulla trasformazione, sul cambiamento.
Sulla parte dei costumi e delle location è stato fatto uno straordinario lavoro…
Paolo Genovese: Beh è stata la parte più difficile ma anche la più affascinante. E poi devo dire che il nostro lavoro ha il marchio Disney con cui siamo cresciuti, non ti è indifferente, andrà in più di cento paesi, quindi c’è una voglia assoluta di non sfigurare, e volevamo essere all’altezza del progetto, abbiamo messo tantissime energie oltre che budget su questo aspetto. C’è un grande lavoro di ricostruzione storica, abbiamo ricostruito un intero quartiere di Palermo, così come il porto. Abbiamo ricreato qualcosa di bellissimo per il nostro Paese.
Il romanzo ha avuto un proseguo: ci sarà anche una seconda serie televisiva?
Paolo Genovese: Le seconde stagioni hanno questa caratteristica: sono scelte dal pubblico. Se i personaggi vengono amati, e c’è voglia di continuare a seguire le loro storie, si fa. Quindi guardatela se volete averne un’altra.