La nostra recensione de Il più bel secolo della mia vita di Alessandro Bardani con Sergio Castellitto, Valerio Lundini e Carla Signoris: un’opera matura dotata di profondità e di gentilezza che parla di radici e genitorialità
È sempre piacevole trovarsi davanti a film come Il più bel secolo della mia vita, da oggi in sala, perché Sergio Castellitto e Valerio Lundini sono una coppia irresistibile in grado di dare profondità e allo stesso tempo leggerezza ad una buona sceneggiatura di Alessandro Bardani scritta con Maddalena Ravagli e Leonardo Fasoli. Un’opera che parla di radici e di genitorialità, un po’ inflazionata nel volersi appoggiare troppo sulle dinamiche da buddy movie ma in grado di divertire e anche un po’ commuovere.
Un centenario orfano
Un’assurda legge ancora in vigore in Italia impedisce a Giovanni (Valerio Lundini), figlio non riconosciuto alla nascita, di conoscere l’identità dei suoi genitori biologici prima del compimento del suo centesimo anno di età. Per riuscire ad attirare l’opinione pubblica la sua unica speranza è ottenere la complicità di Gustavo (Sergio Castellitto), unico centenario non riconosciuto alla nascita in vita. Il solo che avrebbe il diritto di avvalersi di questa normativa, ma che sembra non aver alcun interesse a farlo.
Due protagonisti agli antipodi
Parte da un paradosso di estrema crudeltà Il più bel secolo della mia vita, ovverosia una legge completamente folle che per fortuna ora è stata modificata abbassando l’età ai 25 anni. Quest’assurda proibizione avvicina Giovanni e Gustavo, la cui unica caratteristica in comune è quella di essere stati abbandonati da piccoli, ma altrimenti diversissimi per carattere, status sociale, ambizioni, atteggiamento verso la vita. Il primo timoroso e rinunciatario, diplomatico e preciso, il secondo sboccato e vitale (forse troppo), passionale e tutt’altro che diplomatico.
La loro contrapposizione è il gioco attraverso il quale la trama si sviluppa, grazie anche alla struttura da road movie che permette lunghe chiacchierate, confronti più o meno accesi e anche qualche tocco da commedia slapstick esilarante come l’incidente che avviene in un bar. Sembra quasi un buddy movie questo di Bardani, una pellicola che sceglie di abbracciare una certa leggerezza nello sguardo contrapposta al liricismo e alla poesia della sequenza d’apertura, con quel Cristo e quel Gustavo bambino che si incarica di trasportarlo sulle proprie spalle in una Via Crucis che non avrà mai fine. Un lungo cammino di sofferenza, di un dolore a cui è impossibile fuggire se non provandolo ad alleggerire, a schernire.
Questione di radici
Il più bel secolo della mia vita si e ci interroga sul valore delle nostre radici, biologiche certo ma anche sociali e culturali e ci chiede a cosa saremmo disposti a fare pur di ritrovarle, di farle di nuovo nostre; radici però vuol dire anche genitorialità, materna (soprattutto) e paterna, radici vuol dire capacità di dare senso alla propria identità, di dare valore al proprio sangue. Tutti elementi di cui Gustavo ha dovuto imparare a fare a meno, lasciandolo in balia di una vita per la quale nessuno lo ha preparato mentre a Giovanni è andata molto meglio, anche se forse non lo ha ancora capito.
Perché Il più bel secolo della mia vita ci dice una cosa importante sulla genitorialità e sul sangue, e cioè che è importante che ci siano e non da dove provengano. Le parabole dei due diversissimi protagonisti perciò si allineano nel finale che sfiora la retorica ma che per fortuna la evita, nonostante un paio di momenti appaiano un po’ calcati e forzati. È comunque una pellicola questa che ha il coraggio di affrontare un tema scomodo uscendone a testa alta, grazie ad un cast in cui spicca anche una brava e contenuta Carla Signoris e ad una regia presente ma mai ingombrante, in grado di lasciare spazio alle parole a i volti più che agli spazi.
Un film sincero
Come già accennato all’inizio di questa recensione fa sempre piacere imbattersi in lunghi come Il più bel secolo della mia vita per la loro sincerità nello sguardo e nelle intenzioni, la loro capacità di mescolare le tante declinazioni di uno stesso genere e la loro volontà di fare luce su alcuni aspetti della nostra sociali di cui non eravamo neanche a conoscenza. Se poi i tanti elementi filmici si mescolano in maniera organica e precisa il risultato non può che essere meritevole, anche se magari alle volte non perfettamente centrato. A questo giro però non si poteva chiedere troppo di più, o forse non è neanche quello il punto.
Il più bel secolo della mia vita. Regia di Alessandro Bardani con Sergio Castellitto, Valerio Lundini, Carla Signoris e Antonio Zavatteri, in uscita nelle sale il 7 settembre distribuito da Lucky Red.
Tre stelle e mezzo