La nostra recensione de Il supplente, film argentino presentato al Toronto Film Festival 2022 di Diego Lerman: Juan Minujín è un professore di letteratura deciso a salvare la vita e il futuro di due dei suoi studenti
Arriva dai barrios di Buenos Aires uno dei titoli più interessanti di quest’estate, già presentato allo scorso Toronto Film Festival: Il supplente. Un po’ drama, un po’ poliziesco con qualche venatura crime ma sempre all’insegna del più totale realismo, questa nuova pellicola diretta dal Diego Lerman di Refugiado può contare su una grande performance di Juan Minujín e su una sceneggiatura ben calibrata, onesta ma anche in grado di colpire lo stomaco e il cuore.
Il professore di letteratura
Lucio (Juan Minujín), un giovane professore universitario figlio del sindaco di Buenos Aires conosciuto come Il Cileno (Alfredo Castro), accetta l’incarico di supplente in un liceo del quartiere in cui è cresciuto, nella periferia di Buenos Aires. Raccontando del senso e del valore della letteratura, cerca di suggerire ai suoi studenti una possibile alternativa alla dura realtà della loro vita quotidiana. Ma dovrà presto spingersi al di là della sua missione di insegnante per aiutare Dilan (Lucas Arrua), un ragazzo preso di mira da un boss locale della droga.
Realismo esasperato
Potrebbe trarre in inganno il fatto che Il supplente ad un certo punto viri quasi sul thriller, fermandosi a metà tra il crime e il poliziesco soprattutto dal secondo turning point in poi. Però quello di Diego Lerman non è quel tipo di lungometraggio, non ha quel sapore o quella consistenza da thriller urbano perché ha l’accortezza di stare sempre un passo dietro alla storia, a quello che racconta e riesce a creare conflitto senza la necessità di farlo deflagrare. Ci riesce puntando su di un realismo assoluto ed esasperato, dove la sfera privata del professore si incrocia continuamente con quella del suo impegno educativo e quindi pubblico, e dove la tensione emotiva di una posta in gioco che va via via aumentando non viene dispersa da deviazioni improbabili di trama, bensì incanalata in una risoluzione anticlimatica che sa di sincerità. In questo Il supplente racconta un’umanità ai margini senza spingere mai troppo sul pedale dell’autocompiacimento o del facile buonismo, cercando invece di restare sempre lì con lo sguardo, ad indagare e a studiare i suoi protagonisti con un piglio quasi documentaristico e per questo incredibilmente puro.
Due vite
La parabola di Lucio s’innesta su un doppio binario, quello di padre ed ex marito premuroso, affettuoso e preoccupato per la propria figlia adolescente nelle prime fasi della ribellione, e quella di un professore che ama il suo lavoro ma che ha appena scoperto la disillusione, la stanchezza di un intero sistema, la negazione della bellezza di ciò che vorrebbe trasmettere. “A cosa serve la letteratura?” chiede nella primissima lezione ai suoi nuovi ragazzi, e loro non sanno cosa rispondergli perché non hanno gli strumenti per poterlo fare; sono apatici, persi nelle loro vite senza uscita, abulici ed essi stessi stanchi. Lucio però è il protagonista di una scrittura geometrica, multifacciale e multistratificata che ci svela lentamente le sue due dimensioni facendole convergere continuamente, in un gioco di sovrapposizioni, di rimandi e di parallelismi tra la figura di mentore per una generazione che non ha una direzione apparente ma anche nei confronti di sé stesso e della propria vita, del suo rapporto complesso con un padre potente e autoritario e della sua capacità di cercare sempre e comunque un bene, il bene.
Il barrio
In tutto questo non poteva mancare anche la descrizione di un’arena come quella della Buenos Aires di periferia, un mondo narrativo non dissimile per certi versi da tante altre zone di confine in cui illegalità e legalità, moralità e amoralità si confondono e si annullano a vicenda. All’inizio si è scritto di come Il supplente non sia un vero thriller, ed effettivamente non lo è nel senso più ampio e puro del termine; è però un film che indaga in qualche modo la natura di un certo tipo di male, un male che non è fatto tanto di violenza, soprusi o degrado quanto piuttosto della mancanza di una scelta, di una prospettiva, di un porto sicuro a cui approdare. La figura quasi salvifica di Lucio però non è mai messianica, né ha mai contorni celebrativi o distorti; piuttosto quello di Lerman è un film su un uomo che tenta fino all’ultimo di salvarsi e di salvare chi gli sta intorno attraverso il potere del dialogo, della parola, delle storie. A cosa serve la letteratura, quindi? Lucio la risposta ce la dà nel bellissimo monologo finale davanti alla classe, e in quell’inquadratura finale in cui il senso dell’uomo finalmente si palesa.
Il supplente. Regia di Diego Lerman con Juan Minujín, Alfredo Castro, Bàrbara Lennie e Lucas Arrua, uscito nelle sale giovedì 20 luglio distribuito da Lucky Red.
Tre stelle e mezzo