La nostra recensione de Il teorema di Margherita, film diretto da Anna Novion con Ella Rumpf e Julien Frison presentato in concorso allo scorso Festival di Cannes: una storia rigorosa e granitica come un’equazione, ma che manca di folle genialità
Presentato in concorso a Cannes 2023 arriva in sala Il teorema di Margherita, terzo lungometraggio della francese Anna Novion dopo Il viaggio di Jeanne e Rendez-vous in Kiruna interpretato da Ella Rumpf e Julien Frison. Un’opera di grande solidità nella costruzione diegetica, ben recitata (ottima la prova della Rumpf) e capace di sollevare anche un paio di questioni interessanti, ma fin troppo formulaica e algida e soprattutto priva di quella folle genialità, di quella spinta al rischio e alla lateralità dello sguardo di cui invece la matematica dovrebbe farsi portatrice.
Una scoperta rivoluzionaria
Il futuro di Margherita (Ella Rumpf), una brillante studentessa di matematica presso la Scuola Normale Superiore, sembra essere già pianificato. È l’unica donna del suo corso, sta per terminare la tesi che dovrà esporre davanti ad una schiera di ricercatori. Arrivato il grande giorno, un piccolo errore fa crollare tutte le sue certezze. Margherita decide quindi di mollare tutto e ricominciare da capo. Il professor Werner (Jean-Pierre Daroussin), che fino ad allora l’aveva seguita con benevolenza, le impone di collaborare con un altro studente, Lucas (Julien Frison), mentre lei stringe la prima amicizia della sua vita con Noa (Sonia Bonny), che vive per la danza.
Dopo anni dedicati solo allo studio, Margherita dovrà imparare a destreggiarsi anche nella vita di relazione, arrivando perfino a farsi un nome nel mondo del Mah Jong grazie a Monsieur Kong (Maurice Cheng), per cercare di riscattarsi e arrivare ad affrontare il teorema di Goldbach, considerato irrisolvibile, e forse a scoprire l’amore.
La formula perfetta
La matematica, si sa, non è un’opinione ma forse neanche il cinema lo è . Soprattutto quando quel cinema si fa riflesso di un modello di racconto e di messa in scena così perfettamente ragionato e calibrato, fino al midollo, al limite della quadratura geometrica. Un po’ come questo terzo film della regista francese Anna Novion, un dramedy (in cui però il lato drammatico esce fuori molto meno rispetto a quello brillante) che viaggia dritto fino al traguardo, senza particolari incertezze o cambi di ritmo. Perché ne Il teorema di Margherita è condensato un cinema incredibilmente efficace, quadrato come un’equazione il ci risultato non può che essere quello e quello soltanto.
Trova quindi la formula perfetta, impeccabile in scrittura e in messa in scena, talmente tanto da far recitare bene i due protagonisti nonostante la chimica non sia poi così esplosiva. Ed è abbastanza chiaro, almeno dopo il primo atto, che questa storia sappiamo già dove andrà a parare e pure in che modo lo farà; è una dimensione dell’intreccio chiaramente voluta, quindi di per sé non necessariamente problematica, se non fosse però che lo sviluppo diegetico fa così tanta leva sull’importanza dell’intuizione, del pensiero laterale che prelude al colpo di genio da cozzare clamorosamente con le intenzioni iniziali. Si parla di prendere la strada più scomoda, restando però comodamente seduti in una macchina progettata per resistere a tutti gli urti portandoci poi a destinazione.
Il teorema di Margherita – Jean-Pierre Daroussin ed Ella Rumpf
Un paio di intuizioni comunque ci sono
Dove Il teorema di Margherita sembra intenzionato un minimo a deviare dalla strada maestra sta allora nel modo in cui traduce il viaggio interiore della sua protagonista nella matematica, attraverso l’immagine e non la parola, la cifra più che un cervellotico ragionamento. Certo, qualche dialogo profondamente tecnico tra Margherita e Lucas c’è, ma si tratta più che altro di parentesi in mezzo a pareti tappezzate di formule ed assiomi, in cui cercare di dare ordine al caos attraverso il mero raziocinio. La temperatura emotiva di questa storia è quindi piuttosto fredda, e non sarebbe potuta essere altrimenti, ma a questo racconto manca proprio la follia che è invece calda, appassionata.
Senza scomodare i più classici A Beautiful Mind o Will Hunting la grande pecca de Il teorema di Margherita sta quindi nel non abbandonarsi al caos, ma nel cercare di dargli un senso a tutti i costi evitando quindi di addentrarsi nell’oscurità di una mente schiava della matematica. Qualcuno potrebbe obiettare che in questo film entrano di soppiatto anche la sensualità e il sesso (Margherita si porta a letto il primo tipo che incontra) o il rischio derivante dal mondo del gioco di azzardo illegale in cui Margherita si imbatte. Ed è vero, tutto sommato. Però il modo in cui la Novion e i suoi tre co-sceneggiatori fanno confluire queste deviazioni nell’economia del racconto è fin troppo timido, e la loro risoluzione incredibilmente programmatica e prevedibile.
Il teorema di Margherita assomiglia quindi ad una funzione matematica, con i suoi asintoti e le sue possibili soluzioni. Bella nella sua perfetta sensatezza, persino affascinante nella sua totale trasparenza ma priva di quel brivido che regalano i problemi complessi da risolvere, che richiedono cadute multiple, migliaia di ore di frustrazione e tentativi a vuoto per arrivare a quell’unico lampo di genialità pura. Quella del cinema indimenticabile.
TITOLO | Il teorema di Margherita |
REGIA | Anna Novion |
ATTORI | Ella Rumpf, Clotilde Courau, Jean-Pierre Darroussin, Julien Frison, Sonia Bonny, Maurice Cheng |
USCITA | 28 marzo 2024 |
DISTRIBUZIONE | Wanted Cinema |
Tre stelle