La donna dello scrittore, tratto dal romanzo di Anna Seghers, racconta la triste realtà dei rifugiati di guerra, creando un ponte tra passato e presente. Il passaggio dalle pagine del libro al grande schermo però, non convince del tutto.
Dal romanzo al film
Dopo aver offerto un affresco della sua Germania divisa tra est e ovest in La scelta di Barbara, e dipinto sempre la madre patria reduce dal secondo conflitto mondiale ne Il segreto sul suo volto, il regista tedesco Christian Petzold torna al cinema con La donna dello scrittore, traduzione italiana dell’originale Transit. Il film, in concorso al Festival di Berlino 2018, è ispirato al romanzo omonimo del 1944 di Anna Seghers, e racconta di Georg, rifugiato tedesco che scappa alla volta di Marsiglia, da una Parigi ormai invasa dalle truppe nazifasciste, con in valigia il manoscritto di uno scrittore suicida, di cui prende l’identità per poter approdare in Messico e abbandonare definitivamente il paese in guerra, ma il suo cammino s’intreccia inevitabilmente con Marie, la moglie del defunto.
Una storia contemporanea
Petzold attinge a piene mani da una vicenda ambientata durante l’invasione nazista, e la trasla con naturalezza ai nostri giorni, sovrapponendo due epoche, che sembrano talmente distanti tra loro da non poter avere alcun punto in comune, ma che in realtà sono molto più vicine di quanto si possa credere. È infatti evidente, il palese parallelismo con l’attuale situazione dei rifugiati, e con gli odierni nazionalismi, tanto simili a quelli di settant’anni fa, il cineasta utilizza l’analogia contemporanea come monito, come memento di una storia che ci ha insegnato quanto male può provocare l’umanità, e che se dimenticata può tendere a ripetersi.
Marsiglia come luogo di transito
La vicenda si svolge quasi completamente a Marsiglia, in quella città che dovrebbe essere semplicemente di passaggio, quel portale verso la libertà, lontana dai dolori di una guerra incombente, ma che non si rivela altro che una grande sala d’attesa, dove le anime perse dei rifugiati, vagano confuse e intimorite. Ed è proprio durante quelle ore di estenuante fila per i documenti d’imbarco, che i profughi si raccontano, illustrano il proprio destino con voce stanca e affranta, simbolo di una rassegnazione ormai raggiunta e interiorizzata, come la signora con i cani, o con una logorroica vitalità, alimentata dalla speranza di una vita migliore, che si spegne a poco a poco di giorno in giorno, come quella del povero direttore d’orchestra.
Alla disperata ricerca di un fantasma
I personaggi che incontriamo nella città portuale, sono dunque spaesati, impauriti dall’ombra della morte, sono solo un pallido ricordo di quello che erano e che forse non saranno più, ma la più smarrita di tutti è Marie che, come una trottola impazzita, va alla disperata ricerca di un fantasma, di un marito che non c’è più, di cui lei ignora la dipartita, ingannata da quell’identità rubata. La donna stessa si aggira come uno spettro in perenne agonia e agitazione, apparendo dal nulla e sparendo nel nulla, sbucando dal fondo delle strade, dalle finestre, entrando e uscendo dagli edifici come uno spirito bloccato tra un passato in sospeso e un presente senza futuro, infiltrandosi piano piano nell’esistenza fittizia di Georg.
Una narrazione eccessivamente letteraria
Nonostante la geniale trovata di trasportare la trama nell’era attuale, e le ottime interpretazioni di Franz Rogowski e Paula Beer (magnifica protagonista in Frantz di Francois Ozon), La donna dello scrittore non riesce a convincere del tutto. La storia non decolla mai, non si respira quell’aria di tensione che dovrebbe sprigionare la paura di una guerra imminente, ma anzi viene descritto tutto in modo esageratamente edulcorato. Inoltre la voce fuori campo a un quarto d’ora dall’inizio, sembra forzatamente letteraria, superflua e a tratti grottesca, a volte arriva persino ad appesantire la narrazione della vicenda, come se volesse immotivatamente sottolineare l’intensità degli interpreti, diventando disturbante e terribilmente invadente.
La donna dello scrittore è un film diretto da Christian Petzold, con Franz Rogowski, Paula Beer, Godehard Giese, Lilien Batman, Maryam Brandt, Sebastian Hülk e Emilie De Preissac, in sala dal 25 ottobre, distribuito da Academy Two.