La nostra recensione de La tana, intrigante esordio alla regia di Beatrice Baldacci, un dramma campestre con tinte da thriller psicologico, sui tumulti dell’adolescenza e il dolore della malattia, con Lorenzo Aloi e Irene Vetere
Un’estate afosa. La campagna bruciata dal sole. Lui corre appresso a lei ma non riesce ad afferrarla. Corpi che si intrecciano. Corpi che si respingono. Un doloroso segreto. Al centro di tutto un vecchio casale, La tana che dà il titolo all’esordio alla regia di un lungometraggio di Beatrice Baldacci. Dopo essere stata premiata alla Mostra del Cinema di Venezia 76 per il suo cortometraggio Supereroi senza superpoteri, la giovane regista è tornata in laguna nel 2021 grazie a Biennale College con un dramma campestre attraversato da improvvisi raptus degni di un thriller psicologico. Passato anche ad Alice nella città dell’ultima Festa del Cinema di Roma, il film torna su temi cari alla regista come il dolore e la malattia.
L’arrivo della sconosciuta
Giulio (Lorenzo Aloi) ha diciotto anni e vive da tutta la vita in campagna, dove aiuta i suoi genitori nella gestione della loro tenuta. Quando in un casale da tempo abbandonato della zona arriva una misteriosa ragazza, Giulio cerca di avvicinarsi a lei. Lia (Irene Vetere), una ragazza fredda e alquanto cinica, seduce il ragazzo e immediatamente lo rifiuta mandandolo in confusione. Un doloroso segreto si nasconde nell’inavvicinabile casale dove alloggia Lia, una situazione familiare che traumatizza la ragazza al punto da renderla scontrosa e dalle tendenze autolesionistiche.
Una dolente avventura estiva
Lui è un adolescente impacciato, piuttosto ingenuo, conduce una vita bucolica ed ha uno sguardo limpido e genuino sulla realtà. Lei è una ragazza indipendente e disinibita, viene dalla città, e ha gli occhi velati da una tristezza profonda, da un malessere che sembra divorarla. Il loro incontro è un cortocircuito emozionale. Giulio è attraversato dai fremiti dell’adolescenza e sviluppa per Lia un’attrazione quasi spasmodica, benché sempre basata su uno slancio altruistico. D’altra parte Lia gioca con le fragilità di Giulio, non per approfittarsene, ma perché pare incapace di rapportarsi a lui se non con questo ambiguo atteggiamento passivo-aggressivo. La tana del titolo diventa la figurazione della psiche della ragazza, popolata da fantasmi; le sue mura diventano le pareti di uno scudo emotivo destinato a frantumarsi.
Un esordio convincente
I due interpreti non sempre riescono ad andare a tempo con l’enigmatica danza che tiene impegnati i due personaggi in fase di scrittura, risultando in alcuni casi rigidi nei loro ruoli. Nonostante questo Aloi dona la giusta dose di tenera ingenuità al suo Giulio e Vetere restituisce l’implosione costante che tormenta Lia. La regia di Baldacci in alcuni momenti sembra ispirarsi a una certa estetica alla Guadagnino (Chiamami con il tuo nome solo per citare una storia d’amore e seduzione in realtà molto diversa da quella raccontata in questo film) con mai sgraziato indugio sui corpi dei suoi protagonisti e ariose vedute sulla campagna bruciata dal sole. Si tratta di uno sguardo autoriale ispirato e molto coerente la cui efficacia si diluisce solo nella parte finale w più evanescente della pellicola. Nonostante questo La tana resta un esordio decisamente convincente.
La tana. Regia di Beatrice Baldacci. Con Lorenzo Aloi, Irene Vetere, Elisa Di Eusanio, Paolo Ricci, Helene Nardini e Federico Rosati. Al cinema dal 28 aprile, distribuito da PFA Films.
3 stelle