La recensione del primo film di Sophia Loren per Netflix, diretto dal figlio Edoardo Ponti: La vita davanti a sé racconta di un’amicizia inaspettata e specialissima, nella quale l’attrice Premio Oscar dimostra di possedere ancora tutta l’intensità e il fascino che l’hanno resa celebre nel mondo
Madame Rosa e Momò
Madame Rosa (Sophia Loren, assente dal grande schermo da ben 11 anni) è un’anziana donna che vive a Bari. Ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, si occupa di crescere i figli di prostitute impossibilitate a tenerli con loro. Un giorno un suo vecchio amico (Renato Carpentieri) la prega di occuparsi di un bambino (Ibrahima Gueye) che l’ha appena derubata al mercato. Tra i due si instaura un rapporto inizialmente molto conflittuale: lui spaccia e non è minimamente collaborativo, lei non ha alcuna intenzione di piegarsi all’insolenza del giovane ospite. Il tempo però farà emergere un’amicizia viscerale pronta a ridare speranza sia ad un bambino come Momò che ad un’anziana signora come Madame Rose.
Dal romanzo di Romain Gary
Sophia Loren (guarda il video incontro con lei), dopo essere stata una delle interpreti più apprezzate del periodo d’oro del cinema italiano e aver lavorato con i più grandi registi del mondo – Dino Risi, Sidney Lumet, Vittorio De Sica, Mario Monicelli, George Cukor e tanti altri nomi da capogiro – torna sul grande schermo in una pellicola che deve in gran parte il suo successo alla classe e alla bravura della sua interprete. Non che la cosa debba stupire, ma la Loren appare stupenda nella piena accettazione della sua età e mostra una maturità artistica fuori dal comune. Madame Rosa è un personaggio forte ma anche profondamente sofferente, caratteristiche che la avvicinano a quella splendida Cesira de La Ciociara.
Meravigliosa madame Rosa
Edoardo Ponti, oltre ad occuparsi della regia, cura anche la sceneggiatura insieme a Ugo Chiti. La storia raccontata in principio dall’omonimo romanzo dello scrittore lituano Romain Gary (e poi dal film diretto da diretto da Moshé Mizrahi, vincitore dell’Oscar come Miglior film straniero nel 1978) viene semplificata di moltissime sottotrame in favore di un unico aspetto: l’amicizia graduale ma salvifica tra Madame Rosa e il piccolo Momò. Il legame artistico tra Edoardo Ponti e la Loren è evidente. Il regista indugia sugli occhi della madre, semplicemente magnetici. Quegli stessi occhi riescono a cambiare la vita di Momò, ridando speranza ad un bambino che aveva perso ogni fiducia nel prossimo. Il modo in cui Ponti ricerca primi piani intensi o indugia sulla figura di madame Rosa mostrano in modo inequivocabile la piena fiducia verso l’interprete oltre che una profonda ammirazione. Tale fiducia è ovviamente ben riposta, poiché la Loren regala al cinema un altro personaggio degno di essere ricordato.
Uno sguardo attento ma delicato
Tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore lituano Romain Gary, La vita davanti a sé racchiude nel personaggio di madame Rosa moltissime tematiche: i campi di concentramento, la malattia, la criminalità minorile, la prostituzione, la famiglia, la speranza di un futuro migliore. Con estrema delicatezza, la trama si arricchisce di questa infinita serie di colori riuscendo ad attraversarli con tatto e grazia. Merito della combinazione vincente tra le forze e le debolezze dei due protagonisti, che si incastrano in modo eccellente, ma anche di una regia che non ha alcun interesse nell’indugiare sui dettagli più scomodi. Un esempio su tutti: madame Rosa è ebrea e ha conosciuto l’orrore dei campi di concentramento, eppure non è necessario approfondire quel dolore. È sufficiente leggere le cicatrici rimaste negli occhi, nel cuore e nel modo di essere della donna. Accennare, per una volta, non è sinonimo di superficialità. Semmai è un chiaro segno di maturità.
La vita davanti a sé regala ad una veterana come la Loren un’ennesima “prima volta”: la star debutta infatti su Netflix, che rende disponibile la pellicola a partire dal 13 novembre. Nella colonna sonora il brano Io sì di Laura Pausini. Nel cast anche Babak Karimi e Abril Zamora.