L’effetto che fa, la storia di ciò che accadde a Roma a seguito della morte di Luca Varani, andrà in scena dal 2 al 7 aprile all’Off/Off Theatre.
È un ritorno atteso quello della pièce teatrale L’effetto che fa, all’Off/Off Theatre di Roma. Liberamente ispirata all’omicidio Varani, il più spaventoso caso di cronaca avvenuto a Roma negli ultimi anni, tornerà a via Giulia, dopo un grande successo di pubblico e critica, dal 2 al 7 aprile 2019.
L’Effetto che fa fu la risposta che Manuel Foffo e Marco Prato diedero agli inquirenti quando gli chiesero come mai avessero torturato e ucciso Luca Varani. Lo spettacolo, scritto e diretto dal giovane regista Giovanni Franci, vede in scena tre attori under 35, coetanei dei veri protagonisti della storia, Valerio Di Benedetto, Riccardo Pieretti e Fabio Vasco, e vuole ricostruire in parte gli avvenimenti di quel tragico Marzo 2016, con un focus sui sentimenti che questo fatto ha aperto nelle coscienze di tutti.
La storia
Manuel, un ragazzo di ventinove anni, studente fuoricorso di giurisprudenza, eterosessuale, è in macchina con suo padre. Si stanno recando al funerale di un parente nelle Marche. A circa duecento chilometri di distanza da Roma, il padre non può fare a meno di notare che quella mattina, suo figlio, sia particolarmente taciturno, così gli rivolge qualche domanda a riguardo. Manuel, con estrema calma, risponde di essere in quello stato perché ha fatto uso di cocaina e di avere compiuto un omicidio insieme ad un suo amico, aggiungendo che il cadavere della vittima è ancora in casa sua. Il padre inverte la guida in direzione di Roma, mettendosi immediatamente in contatto con l’avvocato di famiglia. Nell’appartamento di Manuel, al Collatino (periferia est di Roma), i carabinieri trovano il corpo massacrato di un ragazzo di 23 anni, si chiamava Luca, veniva da La Storta (periferia nord di Roma). Il cadavere di Luca è disteso sul letto, avvolto in un piumone.
Manuel ammette subito la propria responsabilità in quel crimine ed indica come suo complice Marco, un ragazzo di trent’anni, laureato con master all’estero, organizzatore di feste, di aperitivi, grande fan di Dalida, omosessuale. Marco viene trovato in una camera d’albergo dove ha messo maldestramente in scena un tentativo di suicidio sulla falsariga di quello di Dalida, con Ciao amore ciao cantata da Dalida a tutto volume come colonna sonora. Manuel e Marco dichiarano di aver attirato la vittima in quell’appartamento perché avevano intenzione di fare del male a qualcuno e di aver torturato Luca fino alla morte, sopraggiunta soltanto dopo due ore di sevizie indicibili, semplicemente perché avevano voglia di vedere l’effetto che fa. Gli scenari che emergeranno da questo momento in poi, sono tra i più allucinanti e disturbanti che la cronaca ricordi.
Note dell’autore e regista Giovanni Franci
Questo spettacolo è un grido. Questo spettacolo nasce da un profondo senso di inquietudine, di sconforto, di malessere, nasce dallo spavento. E’ uno spettacolo disperato. E’ uno spettacolo che ha urgenza di essere gridato, pianto, urlato proprio perché è il risultato di un profondo e lacerante spavento. E’ simile al pianto di un bambino che ha paura, al grido di un ragazzo che chiede giustizia, al silenzio di un uomo che implora pietà. In scena si avrà l’impressione di assistere a un processo impossibile da chiudere con una semplice sentenza, perché esso è destinato a restare aperto per sempre, nella nostra memoria, nelle nostre coscienze. I protagonisti chiamati in causa sono cinque: Luca, un ragazzo di ventitré anni, la vittima, l’agnello sacrificato a niente, è lui a condurre il processo, a combattere contro chi, dopo la sua morte, invece di chiedersi chi fosse Luca, s’è chiesto soltanto che cosa ci fosse andato a fare Luca in quella casa.
La seconda protagonista di questa storia è Roma, all’epoca dei fatti, Roma è una città senza sindaco, invasa dai topi, sommersa dal guano, una città in cui è stato coniato un nuovo appellativo al termine mafia, in cui è stato indetto un Giubileo straordinario (il Giubileo della Misericordia). Una città di rovine, in rovina. In cui il fascismo ha finalmente compiuto la sua parabola: non essendo mai riuscito ad essere un’ideologia, è diventato un atteggiamento. Poi ci sono Manuel, trent’anni, studente fuoricorso di Giurisprudenza, eterosessuale; e Marco, suo coetaneo, laureato con master a Parigi, organizzatore di feste. Marco ha vip e politici in rubrica. Marco sogna di cambiare sesso, vuole diventare una donna. La quinta protagonista di questa storia è la cocaina, circa milleottocento euro di cocaina.
A fare da sfondo, come immancabilmente si verifica in questi casi, soprattutto in Italia, abbiamo due sacre famiglie, perbene, completamente ignare del fatto che in seno a loro, fosse germinato e stesse per esplodere il seme della violenza (a questo proposito, durante le prove, non potevamo non studiare un altro fatto di cronaca nera altrettanto tragico, avvenuto sempre a Roma: il Massacro del Circeo che, per motivi di anagrafe, né io né i miei colleghi conoscevamo così a fondo, di cui ci hanno particolarmente colpito le parole dell’arringa finale del Pubblico Ministero: il delitto del Circeo è stato il delitto del forte sul più debole, del ricco sul povero, dei quartieri bene sulle periferie, dell’uomo sulla donna.)
Ai miei colleghi non ho chiesto di interpretare Luca, Manuel e Marco, ma di mettersi nei loro panni. Agli spettatori non chiederemo di giudicare, ma di provare a capire, di provare a dare un senso a tutta questa follia e una ragione a tutto questo odio. Probabilmente, sarà impossibile, ma sono sicuro che un’operazione del genere non sarà inutile. In teatro, il muro invisibile che separa la platea dalla scena, che allontana gli spettatori dall’azione scenica, viene definito “la quarta parete”. Ecco, per una volta vorrei che questa quarta parete non fosse fatta di mattoni, ma di specchi.