La nostra recensione di Leonora addio di Paolo Taviani, unico film italiano in concorso alla Berlinale 72, che ricostruisce il turbolento viaggio delle ceneri di Pirandello verso Agrigento e adatta l’ultimo scritto del drammaturgo
“A mio fratello Vittorio”. Si apre con la dedica al fratello scomparso il nuovo potente film di Paolo Taviani, Leonora addio, l’unico italiano in concorso alla Berlinale 72. Proprio nel 2012 i fratelli Taviani avevano conquistato L’Orso d’Oro con Cesare deve morire. A dieci anni dalla vittoria e a quattro dalla scomparsa del fratello, Paolo Taviani torna a Berlino con un film potente, che tratta (non a caso) una delle tematiche cardine della filmografia del regista, la morte, da una prospettiva alquanto peculiare. È una morte celebre, infatti, a costituire l’incipit di questa vibrante pellicola, quella di Luigi Pirandello. Il celebre drammaturgo aveva lasciato delle disposizioni precise circa il futuro delle sue spoglie che, per lungo tempo, furono disattese.
Spargete le mie ceneri
«Sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui» aveva scritto Pirandello poco prima del giorno della sua morte, avvenuta il 10 dicembre 1936 a Roma. Leonora addio ricostruisce il rocambolesco viaggio di ritorno delle ceneri del drammaturgo verso Agrigento, avvenuto dieci anni dopo la sua morte. Inizialmente, in piena epoca fascista, infatti, l’urna era stata riposta nel cimitero del Verano. A chiudere questa ricostruzione si susseguono i funerali dello scrittore e l’adattamento dell’ultimo racconto mai scritto da Pirandello, Il chiodo, la tragica storia di un ragazzo italiano emigrato negli USA che uccide a Brooklyn, senza alcun apparente motivo, una bambina americana.
Partire, tornare, scoprire
Leonora addio è un film in continuo movimento, che vira, si trasforma ed emoziona ad ogni nuovo cambio di prospettiva. Il concetto stesso di viaggio è analizzato nelle sue sfumature più diverse. Viaggio come incessante scorrere del tempo della Storia, foriero di ineluttabili cambiamenti come quelli che hanno investito l’Italia uscita dall’epoca fascista. Viaggio come emigrazione verso un’America che si trasforma da terra del sogno a culla dell’incubo. Viaggio come itinerario di una carriera mastodontica, quella di un drammaturgo che, raggiunto il massimo riconoscimento con l’assegnazione del Nobel, pensa: “non mi sono mai sentito tanto solo e triste”. Il viaggio inteso come il dispiegarsi dell’esistenza umana, costellata di incontri improbabili, difficoltà e successi, di cui la morte, in fondo, non è che una tappa. Le assurde vicende delle ceneri di Pirandello ne sono testimonianza.
Scolpito nella pietra
Materiali di repertorio, scene al limite del metafisico, siparietti puramente umoristici e passaggi magistrali da un bianco e nero nitido, marmoreo, a un colore caldo, avvolgente, si susseguono in Leonora addio. Ad accompagnarli una colonna sonora ritmata e al tempo stesso solenne, firmata da Nicola Piovani, e una regia sontuosa, ma equilibrata che non si nega delle volute virtuosistiche. Taviani coglie il senso profondo dell’umorismo pirandelliano e lo restituisce in un’opera dalla chiara impronta autoriale, che sbeffeggia senza giudicare, sorride solo dopo aver fatto riflettere. Un film che è anche capace di portare sullo schermo la crudeltà, l’assenza di ironia, l’atrocità delle ultime pagine mai scritte da Pirandello con icastica potenza. Il tutto è messo in scena con una coerenza stilistica e narrativa lodevole. Addio Leonora, è stato piacevole viaggiare con te.