La recensione de L’esorcista del Papa, primo horror della filmografia di Russell Crowe che per l’occasione veste i panni (veri) di Gabriele Amorth in un film più vicino al Codice Da Vinci che a L’esorcista
Dopo l’indimenticabile masterclass di Ottobre Russell Crowe torna a Roma (almeno nella finzione) per combattere nientepopodimeno che il Maligno. L’esorcista del Papa pesca a piene mani da tutto l’immaginario horror degli ultimi cinquant’anni per proporre qualcosa di diverso, almeno sulla carta, senza però riuscirci appieno.
Satana è ancora più ambizioso
Padre Gabriele Amorth (Russell Crowe) è un rispettato esorcista della diocesi di Roma al servizio di Papa Giovanni Paolo II (Franco Nero), che però si è fatto più di un nemico tra le alte gerarchie vaticane in seguito alla tragica morte di una ragazza durante un esorcismo. Un giorno viene mandato dal Papa stesso in Galizia, Spagna, dove una famiglia americana composta dalla madre Julia (Alex Essoe) e dai figli Amy (Laurel Marsden) e Henry (Peter DeSouza-Feighoney) è vittima di frequenti attacchi di un demone, specialmente ai danni di Henry. Non appena arrivato padre Amorth verrà assistito dal presbitero locale padre Esquivel (Daniel Zovatto), ma quella che sembra una comune possessione si rivelerà invece un qualcosa di molto più oscuro, un segreto che minaccia di distruggere la Chiesa per sempre e che fa parte di un piano molto più ambizioso del Maligno per impadronirsi del mondo intero.
C’è poco Amorth in questo Amorth
Nonostante il regista Julius Avery abbia tenuto a sottolineare le molteplici ispirazioni letterarie prese dai libri stessi di padre Amorth che sono serviti da fonte per la sceneggiatura, L’esorcista del Papa restituisce una rappresentazione del famoso esorcista probabilmente molto lontana dalla realtà. L’Amorth di Russell Crowe gira continuamente in Vespa, non disdegna le parolacce o lo sproloquio, è irriverente e per certi versi insubordinato ed ha un’idea della lotta contro il diavolo decisamente poco affine ai canoni del catechismo. Crowe lo costruisce più su stesso che su quello reale, aiutato dal suo proverbiale magnetismo, il che non è necessariamente un male visto che il suo personaggio è magnetico e divertente quanto basta. Inoltre, per certi versi, il rapporto che si instaura tra padre Amorth e padre Esquivel ricorda alla lontana quello tra Riggs e Murtaugh in Arma Letale, con un pizzico di richiami al cinema di natura seriale contemporaneo e al mondo e all’immaginario del professor Langdon. Come un novello Indiana Jones, Crowe/Amorth è chiamato a svelare misteri centenari che riguardano la Chiesa che dovrebbe proteggere e a disseppellire terribili verità in grado di distruggerla dalle fondamenta. È un’idea di sceneggiatura interessante questa, sebbene trattata in maniera un po’ bislacca, perché sposta il conflitto da un piano puramente spirituale di lotta del bene supremo contro il Male supremo su di un piano di natura storica e morale.
I tuoi peccati ti troveranno
Come si rispetti per ogni film in cui il Diavolo è presente sono i peccati e la loro espiazione a fare da collante tematico alla pellicola, ma L’esorcista del Papa parla o vorrebbe parlare anche di senso di colpa. Il trauma che disegna il passato di padre Amorth rimane una ferita del personaggio da risanare prima che Satana (o chi per lui) possa utilizzarlo a proprio favore, ma è anche un buon modo seppur un po’ scontato di fornire al protagonista un fantasma o un demone ben più potente di quelli infernali. Crowe, che rimane un attore in grado di regalare intensità a chiunque, scava nel dolore segreto del suo Gabriele Amorth e ce lo restituisce in tutta la sua umanità, allontanandolo dal personaggio che in tempi non sospetti sparava a zero su gay, pratiche yoga e musica rock definendoli strumento del demonio. L’esorcista del papa cerca allora di raccontare il terribile abisso del senso di colpa e per qualche istante ci va anche vicino, ma deraglia tutte le volte in cui cerca la via più fracassona e facilona, quando diventa uguale a tutti gli altri horror di possessione, quando dimentica che la paura vera nasce da ciò che non vediamo, dai demoni che non rivelano il proprio nome e stanno lì, nascosti nell’oscurità in attesa di venirci a prendere.
Un terzo atto da dimenticare
Nonostante le premesse interessanti quindi, e nonostante qualche tentativo di staccarsi dai modelli di horror contemporanei, L’esorcista del Papa precipita nel terzo atto in una corsa folle in cui sono l’accumulo e il rumore a prendere il sopravvento sull’inquietudine, appiattendo quel poco di tensione accumulatasi e rendendo vano il lavoro di non overdose di jumpscare. Il risultato lascia quindi con un bel po’ di amaro in bocca perché di uomini o donne scaraventati contro i muri, di preghiere o riti urlati a gran voce e di arti amputati o animali sacrificati sull’altare del gore ne abbiamo visti già abbastanza in film anche migliori di questo; forse la situazione sarebbe stata proprio quello di smarcarsi completamente dal modello imperante per provare qualcosa di nuovo, qualcosa che potesse quantomeno fare alzare un sopracciglio di stupore agli occhi di uno spettatore ormai già avvezzo a certi trucchetti. Ed è ancora più paradossale, in un film come questo, constatare come questa volta Satana avesse davvero in mente un piano più ambizioso e più malvagio dei suoi soliti standard, solo che non ha fatto i conti con la cara vecchia Hollywood. Come si dice, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi; vale dappertutto, a Roma come a Los Angeles.
L’esorcista del Papa. Regia di Julius Avery con Russell Crowe, Franco Nero, Alex Essoe, Laurel Marsden, Peter DeSouza-Feighoney e Daniel Zovatto, in uscita oggi 13 aprile nelle sale distribuito da Sony Pictures Italia.
Due stelle e mezzo