Dalla Festa del Cinema di Roma la nostra recensione di Longlegs, horror thriller di Osgood Perkins che vede Nicolas Cage nei panni di un terrificante serial killer: un angosciante e meditabondo incubo che prende forma lentamente, disvelandoci la natura possessiva del Male
Longlegs non è la risposta satanista a Il silenzio degli innocenti, come certo marketing vorrebbe farvi credere, bensì qualcosa di molto diverso, più vicino ai thriller soprannaturali di uno Scott Cooper o di un James Wan che al character study di Jonathan Demme. Nicolas Cage, ormai sulla via definitiva della rinascita, non è mai stato così spaventoso ed efficace forse aiutato anche da uno screentime poco generoso, mentre Maika Monroe è il suo perfetto contraltare: fredda e lucida ma ancora umanissima, in un film in cui la natura del Male ci viene disvelata come possessiva, infettiva, capace di abbracciarci tutti.
14, 14, 14
Nel tentativo di catturare un serial killer che si firma come Longlegs (Nicolas Cage), una neo-agente dell’FBI di nome Lee Harker (Maika Monroe) scopre una serie di indizi occulti che deve risolvere per porre fine alla terrificante scia di omicidi, a partire dal misterioso numero 14 che lega tutte le giovani vittime. Per riuscire ad arrivare all’assassino, però, Lee dovrà scavare nel profondo dei propri incubi e nel suo stesso passato, aiutata da sua madre Ruth (Alicia Witt) e dal suo supervisore, l’agente Carter (Blair Underwood).
Il Male spirituale
Si dice che la vera differenza tra Dio e il Diavolo non stia nella natura (benevola o malevola) delle loro azioni e intenzioni; la vera differenza sta nel fatto che il Diavolo non vuole che si creda in esso. Forse perché il male, per agire indisturbato nel mondo, ha bisogno di passare inosservato, sottotraccia, nell’oscurità da cui proviene e da cui è nutrito. Ma cosa si fa a riconoscerlo? È questione di intuito, o c’entra anche il saper guardare, il saper osservare i segni e gli indizi, il saperne comprendere le ragioni? Perché Lee di intuito ne ha da vendere e anche se la sua capacità di socializzazione è pressoché nulla, sembra possedere qualcosa che difetta ai suoi colleghi poliziotti.
D’altronde “è meglio essere un mezzo sensitivo che non esserlo affatto”, come gli ricorda il suo supervisore Carter, perché il mondo là fuori è pieno di malvagità e spesso è necessario saperla sentire. Il pregio maggiore di Longlegs sta proprio nel modo in cui riesce a penetrare sottopelle, non semplicemente spaventando (nonostante un jumpscare incredibilmente efficace) ma innervosendo, destabilizzando, facendo avvertire che c’è qualcosa di marcio là fuori anche se siamo nel bel mezzo degli Stati Uniti negli anni ’90 e non nella Danimarca del 10º secolo. Oltre al lavoro certosino e sottile di Osgood Perkins nella costruzione dell’arena e in quella drammaturgica, Nicolas Cage è l’asso del mazzo.
La star californiana costruisce un villain spiazzante sia per resa visiva che per capacità adattiva, nel senso proprio che si adatta a varie personalità modellandole con la voce, con il corpo e con le parole. Il suo serial killer è un manipolatore, ovviamente, ma non è solo questo: nelle sue azioni di natura sovrannaturale riesce a conservare un briciolo di umanità parassitaria e contorta, atta alla distruzione, mentre avvolge la realtà percettibile di bugie e di paura. Perché in Longlegs il Male si genera attraverso il contatto spirituale più che quello fisico, di cui la violenza estrema degli omicidi è solo un’inevitabile conseguenza, e questo Male viene tramandato attraverso l’innocenza dell’infanzia qui rappresentato da un oggetto ben specifico.
Un mondo maledetto
Non c’è niente di confortante nel mondo di Longlegs, niente di “naturale”, di lontanamente riconoscibile o rassicurante. Tutto appare distorto, deformato, come se le strade, le case, persino il cielo stazionassero sopra un asse inclinato che non è quello terrestre. Questo processo di distorsione grava sui personaggi e sugli spettatori allo stesso modo, c’è una malvagità fortissima nell’aria che è sempre possibile avvertire, quasi respirare. Di certo gran parte del merito va al sound design incredibile di Eugenio Battaglia, per cui le immagini disturbanti non lavorano da sole ma sono accompagnate dagli stridii, dalle grida, dai sussurri e dal suono sincopato e spezzato che pervade ogni inquadratura, ogni momento.
È la rappresentazione di un mondo e di un universo maledetti, ineluttabili nell’oscurità che li avvolge dove neanche il finale può regalare qualche speranza, ma solo altri dubbi, altre paure. E poi c’è, ovviamente il modo in cui la pellicola si disegna davanti ai nostri occhi: la simmetria insistita, l’aspect ratio che passa dal 4:3 al 16:9 e poi quasi si allarga fino al formato panoramico, i motivi dei triangoli ricorrenti che prima puntano verso l’alto e poi cominciano a ruotare, verso il basso e l’uomo del piano di sotto come Longlegs definisce il Diavolo stesso, la successione del numero tre. Tre come icapitoli che dividono la storia, tre come il numero di lati e di vertici di un triangolo, tre come la Trinità che qui viene quasi ridicolizzata in un’oscura rappresentazione speculare.
Piccola nota a margine: Perkins è il figlio di quell’Anthony e l’aspetto di Longlegs sembra ricordare quello di Norman Bates nel finale di Psycho. Sarà un caso o l’ennesimo tranello del Diavolo?
TITOLO | Longlegs |
REGIA | Osgood Perkins |
ATTORI | Nicolas Cage, Maika Monroe, Blair Underwood, Alicia Witt, Michelle Choi-Lee, Kiernan Shipka |
USCITA | 31 ottobre 2024 |
DISTRIBUZIONE | Be Water in collaborazione con Medusa Film |
Quattro stelle