Ma l’amore c’entra? è un docufilm di Elisabetta Lodoli che vuole raccontare la violenza domestica da un punto di vista inedito, quello dell’uomo violento. Tre uomini, tre storie, lo stesso obiettivo: consapevolezza, guarigione e perdono di sé. Non senza zone grigie. Un lavoro di cui è importante discutere criticamente e con accortezza, ma necessario.
Violenza, una narrazione al maschile
Ma l’amore c’entra?, docufilm di Elisabetta Lodoli, nasce nel contesto del centro LDV (Liberi Dalla Violenza) di Modena, uno dei primi servizi pubblici in Italia che offre la possibilità di un percorso d’accompagnamento a uomini che hanno agito violenza sulle proprie compagne e cercano aiuto per cambiare. Nel film ad essere presentate sono le storie di Luca, Giorgio e Paolo, pazienti volontari del centro, interpretati per motivi di privacy da attori. La sceneggiatura si basa sulle conversazioni avute con i pazienti durante il loro percorso verso consapevolezza e “guarigione”. Uomini, mariti, padri. Persone comuni, come tante, con una storia da raccontare: quella della propria colpa, della propria violenza, consapevolmente agita. Elisabetta Lodoli firma una regia curata e ragionata, che non si perde in facili spettacolarizzazioni, ma nemmeno in semplificazioni eccessive, fin troppo frequenti quando si affronta il delicato tema della violenza domestica. Anzi, la regia restituisce perfettamente la complessità e l’occhio critico che spettano all’argomento. Ne esce un ritratto opaco, problematizzato, ricco di zone grigie e di irrisolto.
L’importanza dell’autocoscienza
Ciò che emerge dai racconti degli uomini protagonisti è la ricerca di una chiave di lettura del sé, un percorso a ritroso in cui si analizza il proprio passato, dall’infanzia al rapporto non solo con le donne, ma anche con il mondo delle relazioni in generale, con tutte le sfide che comporta. Ascoltiamo allora il punto di vista di chi riconosce di avere un problema di gestione della rabbia, dovuto a insoddisfazioni e mancate conferme; chi è cresciuto in un contesto profondamente patriarcale, in cui le donne occupavano per ultime il tavolo per il pranzo o la cena; chi – molto contraddittoriamente – si autoaccusa di essere un violento e allo stesso tempo si dichiara animato da un profondo spirito di giustizia, rintracciando in questo un primo problema. Ecco, se dovessimo individuare un tratto della narrazione proposta dal film, sarebbe proprio la mancanza di risposte definitive. Non c’è condanna, non c’è assoluzione. Lo scopo di Ma l’amore c’entra? è un altro, quello di avviare una discussione – sempre più necessaria – lasciando agli stessi uomini colpevoli la possibilità di autonarrarsi. Ed è un passo importante, benché sia solo il primo tassello. Dal femminismo storico le donne hanno ereditato l’importanza dell’autocoscienza, pratica necessaria alla piena consapevolezza del sé. Vent’anni di autocoscienza femminile hanno lasciato il segno, portando avanti una lotta che non si è mai esaurita e che tuttavia non ha mai visto davvero dall’altro lato della medaglia la stessa problematizzazione. Che sia giunto il momento? Il dibattito è aperto.
I mostri non esistono
Ma l’amore c’entra? ha il merito di mostrare il volto “normale” della violenza, spezzando quella mistificazione, piuttosto frequente, che vorrebbe l’uomo che agisce violenza un mostro, o un pazzo. Niente di tutto ciò. La violenza spesso si nasconde nelle pieghe più sottili della nostra banale quotidianità, infettando ogni relazione. Imparare a conoscerla, decostruirla, raccontarla, serve a capirla e a prevenirla, in fondo. Questi tre uomini potrebbero essere chiunque, sono uomini comuni, come tanti. I mostri non esistono, se vengono evocati è per distogliere lo sguardo dal problema originario, che resta. La spettacolarizzazione della violenza non fa che banalizzare e regalare auto-assoluzione alla società, tutta. Entrare nell’intimità dei rapporti, nelle pieghe della quotidianità, è più difficile. Ascoltando le parole dei tre uomini lampante appare la fragilità, di persone e soprattutto di uomini; una mascolinità non del tutto in grado di rapportarsi al conflitto o all’altro, di accettare pienamente le proprie ferite e debolezze.
Ri-alfabetizzazione delle emozioni
C’è urgenza di una ri-alfabetizzazione delle emozioni e dei sentimenti, come ben suggeriscono le tessere per l’alfabeto che si vedono alle spalle dei protagonisti in più scene, di quelle che si usavano alle scuole elementari per imparare le prime parole. Parole come coltelli, perché è lì che si insinua in primo grado la violenza. Il linguaggio diventa allora un un punto di partenza e di arrivo per reinventare parole antiche, attribuendo loro nuovi significati, ripartendo da zero. Ed è un compito di tutti e tutte. Ma l’amore c’entra?, in definitiva? Sì e no. Sarebbe meglio chiederci: quale amore c’entra? Forse il problema è che abbiamo attribuito a questa parola i significati sbagliati? Forse l’amore andrebbe reinventato, come scriveva il poeta Rimbaud. Perché se da un lato in questo momento non possiamo assolverlo del tutto, dall’altro chiara dovrebbe essere la nostra percezione di come la colpa non risieda tuttavia nell’Amore in sé, ma, probabilmente, in come l’abbiamo costruito e raccontato fino ad ora.
Qualche precisazione
Ma l’amore c’entra? di Elisabetta Lodoli è una testimonianza coraggiosa e necessaria, che si assume l’arduo compito di iniziare la conversazione da un punto di vista diverso, allo scopo di dimostrare che dalla violenza si esce, che violenti non si nasce, che l’abuso s’impara e dunque si può disimparare, in un processo a ritroso che costa fatica e onestà. Tuttavia qualche precisazione è importante. Il punto di partenza è una piena presa di responsabilità da parte di chi agisce violenza, un’ammissione che non arriva postuma e che è volontaria e sincera. Queste condizioni, ad oggi, rappresentano ovviamente un’eccezione. Fondamentale continua ad essere l’invito a denunciare casi di maltrattamento, perché senza il sostegno di centri come quello di Modena e senza una spontanea e piena volontà di cambiare e iniziare un processo di autocoscienza, salda deve essere la consapevolezza che non è compito di chi subisce abusi “salvare” la persona violenta. Con questa convinzione, si può iniziare una conversazione importante che il lavoro di Elisabetta Lodoli ha sicuramente stimolato.
Ma l’amore c’entra? è un film-documentario diretto da Elisabetta Lodoli, che firma anche la sceneggiatura con Federica Iacobelli. Con Lorenzo Ansaloni, Andrea Lupo, Andrea Santonastaso. Una produzione MaxMan Coop.