Da Venezia la nostra recensione di Maestro, opera seconda di Bradley Cooper ispirata alla vita del grande direttore d’orchestra Leonard Bernstein: un film con momenti di grande potenza in cui Cooper e Carey Mulligan giganteggiano. In concorso
Cinque anni fa il trionfo di A Star is Born con Lady Gaga, ora Bradley Cooper arriva a Venezia 80 in concorso con un altro film in cui è la musica ad essere la prima protagonista: Maestro. Questa volta a duettare con lui sul grande schermo è la Carey Mulligan di Drive e Una donna promettente, qui nei panni dell’adorata moglie Felicia, in una pellicola che si muove agevolmente all’interno della casella del biopic per raccontare, più che un uomo solo, un’era.
Il Maestro Bernstein
Leonard Bernstein (Bradley Cooper) è un giovane e talentuosissimo compositore e direttore d’orchestra impegnato in una relazione clandestina con un aspirante attore (Matt Bomer). Un giorno, ad una festa, conosce Felicita (Carey Mulligan) e si innamora immediatamente di lei convincendola a costruire una famiglia assieme. Passano gli anni e la carriera di Leonard vola, mentre il suo matrimonio si sta sempre più sfaldando a causa della sua omosessualità e dei suoi continui tradimenti. Quando Felicia decide finalmente di affrontarlo Leonard rifiuta di ammettere la verità, ma per salvare la propria famiglia e l’amore dei propri figli sarà costretto a fare i conti con é stesso.
Anatomia di un matrimonio
Sono tre gli aspetti diegetici e tematici della vita di Leonard Bernstein sui quali Maestro è stato realizzato con precisione certosina, e il primo è il suo complesso e travagliato matrimonio con la moglie Felicia. Un matrimonio che solo all’apparenza sembra essere stato costruito su una bugia, o meglio su un non detto, ma che in realtà cela un amore profondissimo perché, come la moglie gli ricorda alla fine del film, Leonard non possiede l’odio nel proprio cuore. Il regista Bradley Cooper allora ci conduce dentro il matrimonio di Leonard e Felicita, dissezionandolo con il bisturi del racconto cinematografico per mostrarci questi personaggi in tutta la loro profonda verità e umanità.
L’operazione di minuziosa scomposizione passa attraverso i tradimenti molteplici di Leonard, la sua omosessualità mai esplicitamente dichiarata, il placito appoggio di Felicita che ad un certo punto si trasforma in rabbiosa frustrazione e il rapporto amorevole con i figli, testimoni di un legame spirituale indissolubile e di un amore simbolo di grande rispetto e stima reciproci. Come una lama affilata Maestro non ha paura di scavare in fondo, alla ricerca di quei fantasmi e di quelle paure che danno maggiore tridimensionalità al mondo interiore di Leonard e di sua moglie, ma riesce anche a non commettere l’errore di voler sembrare troppo morboso perché ha la capacità di lasciare fuori tutto ciò che non è necessario.
La Dea musica
Il secondo aspetto è ovviamente legato alla musica, unica vera Musa e confidente di Leonard, la sola cosa che probabilmente gli permette davvero di sentirsi vivo. Ovviamente gli intermezzi musicali ci sono, trainati da una bellissima colonna sonora con brani originali di Bernstein, e sono curiosamente costruiti come piccole sequenze che rimandano al musical americano. La macchina da presa vola perciò tra le stanze di un teatro di posa sfruttando la profondità del bianco e nero, per poi velocemente abbassarsi sui personaggi che danzano sulle note di un concerto; la prima parte di Maestro si fa quindi quasi pop, più spensierata e frizzante nella gestione musicale e in quella del ritmo grazie ad un montaggio visivo e sonoro efficace.
Passato però il midpoint Cooper recupera l’aulicità del genere orchestrale, modellando perciò il film su di un’impostazione più classica e per certi versi “seriosa”. Ne è una prova quella che, senza dubbio, rimane la sequenza più potente dell’opera, il concerto nella cattedrale con l’orchestra al gran completo. Poco meno di cinque minuti che forse raccontano Leonard Bernstein meglio di qualsiasi linea di dialogo, perché la musica raggiunge un’onestà e una cristallinità in grado di scandagliare la sua anima tormentata e alla ricerca di una qualche forma di felicità. Ed è la stessa musica ad accompagnare il toccante climax di Maestro, ma stavolta con la propria assenza come a volersi mettere in disparte, per una volta, ad osservare.
L’amore di Leonard
Il terzo e ultimo aspetto riguarda la sessualità di Bernstein, e in particolare il rapporto con gli uomini della sua vita. Non molto ci viene mostrato, proprio perché a Cooper quest’aspetto sembra interessare meno dei precedenti, ma bastano il contenimento del desiderio, la repressione dell’amore a turbarci, perché anche noi spettatori siamo impotenti di fronte all’impossibilità di amare. E se Bradley Cooper e Carey Mulligan regalano due interpretazioni impeccabili, di grande espressività e intensità, è Matt Bomer a farsi carico con grande generosità di un ruolo piccolo, ma tutt’altro che trascurabile.
È attraverso il suo sguardo di ferita rassegnazione che Maestro racconta la tragedia di una vita mai davvero vissuta e di un amore impossibile, talmente struggente da far male. In fondo Maestro non è tanto un biopic sulla vita e le grandi opere di Bernstein, quanto piuttosto sulla società che ha plasmato Bernstein e quelle stesse opere, quella stessa arte con la quale ha potuto, anche solo per un attimo, immaginare di vivere qualcos’altro, di essere qualcun altro. Di poter sfuggire dal dolore, di poter sconfiggere la morte o di poter ballare tutta la notte con un ragazzo bellissimo e giovanissimo, un giovane direttore d’orchestra talentuoso dentro ai cui occhi poter intravedere un’altra possibile vita.
Maestro. Regia di Bradley Cooper con Bradley Cooper, Carey Mulligan, Matt Bomer, Maya Hawke, Sarah Silverman, Josh Hamilton e Miriam Shor, in uscita in esclusiva su Netflix a partire dal 20 dicembre.
Quattro stelle