La recensione di Marcel the Shell, candidato agli Oscar come miglior film di animazione: un misto di live action e stop motion per raccontare la storia di una tenera conchiglia che vuole ritrovare la propria famiglia perduta
Dopo aver commosso il pubblico del Telluride Film Festival ed essersi guadagnato enormi apprezzamenti oltreoceano, culminati con la doppia nomination a Golden Globes e Oscar come miglior film d’animazione, la tenera conchiglia protagonista di Marcel the Shell arriva finalmente anche in Italia. Quella diretta da Dean Fleischer Camp, qui al suo debutto dietro la macchina da presa, è una commedia agrodolce che fa della dolcezza del suo protagonista e della lievità del racconto il suo maggior punto di forza, ma anche forse un limite.
La conchiglia più famosa al mondo
Marcel (con la voce di Jenny Slate) è un’adorabile conchiglia alta poco più di due centimetri, con un grande occhio verde e scarpe da ginnastica bianche e rosse. Vive un’esistenza allegra con la nonna Connie (con la voce di Isabella Rossellini) e il loro animale domestico Alan, ma un tempo facevano parte di un’affollata comunità di molluschi; ora sono gli unici rimasti nella casa in cui vivono, in seguito ad una serie di sfortunate coincidenze avvenute durante la separazione tra i due precedenti proprietari. Quando Marcel e Connie vengono scoperti da Dean (Dean Fleischer Camp) un regista di documentari e attuale padrone di casa, diventano i protagonisti di un cortometraggio che fa guadagnare soprattutto a Marcel un’inaspettata notorietà globale. La giovane conchiglia deciderà allora di sfruttare la fama improvvisa per ritrovare la sua famiglia perduta.
Tra incanto e poesia
È un film piccolo, piccolissimo questo Marcel the Shell. Piccolo un po’ come la conchiglia protagonista, una sorta di proiezione in chiave fanciullesca dei pensieri e della sensibilità di un bambino in un guscio solo apparentemente inanimato e privo di vita ma anche piccolo perché raccolto, sussurrato e mai urlato a differenza di tanto cinema, contenuto nella durata e da un certo punto di vista anche nelle ambizioni. Una pellicola che si ammanta di sensazioni, di momenti leggerissimi ma anche di una certa profondità non tanto di sguardo quanto di immagine. Ed è l’immagine filmata l’elemento fondamentale che esce pian piano nel film e che Dean utilizza per far sì che Marcel possa comunicare col mondo esterno. Se il primo atto è un atto quasi di sopravvivenza, in cui una piccola conchiglia e sua nonna devono capire come adattarsi ad una nuova realtà in cui sono i soli rimasti della loro colonia, dal secondo la relazione tra nonna e nipote viene raccontata attraverso la forza dirompente della poesia, la splendida e celeberrima The Trees del poeta inglese Philip Larkin. In tutto questo c’è il personaggio di Dean a fare da filtro tra Marcel e il mondo esterno, come una sorta di mentore delle sue emozioni in un film che tratta di abbandono, di lutto e di inadeguatezza. Non certo argomenti semplici o leggeri, ma che se affrontati con il giusto distacco emotivo e la giusta sensibilità danno vita ai Marcel di questo mondo.
Un racconto privo di retorica
È forse la mancanza di retorica, però, il pregio più grande di questo Marcel the Shell. Non ci sono pietismi di sorta, scene madri o monologhi infiniti che vogliono tentare di razionalizzare o spiegare a tutti i costi, c’è solo la forza di ciò che vediamo e di ciò che sentiamo. Una forza amplificata da un’unità di spazio e tempo ridotta ad una casa e poco altro, perché il mondo esterno lo vediamo e lo viviamo soltanto attraverso la rete o la televisione, e quindi ovviamente filtrati. Un luogo comune e rassicurante in cui viene immerso un intero mondo narrativo, che le parole e i movimenti di Marcel portano letteralmente in vita. A far da contraltare a questa leggerezza e innocenza di fondo arriva però il dramma della vita, prima con la sparizione della colonia di conchiglie e poi con una scena fortissima impreziosita dalle parole di una celeberrima poesia di Philip Larkin. In fondo quello di Marcel the Shell non è altro che un racconto di formazione declinato su stilemi e sensibilità più contemporanei, ma in grado ugualmente di parlare a tutti in virtù di un messaggio tanto universale quanto senza tempo.
Un’opera empatica, forse anche troppo
Il coinvolgimento emotivo che esplode verso Marcel, Connie e tutto il loro mondo narrativo è sempre fortissimo e centrato perché Marcel the Shell lavora sull’empatia di uno spettatore attento e partecipe, richiedendo quindi una certa dose di pazienza e di attenzione anche nei diversi momenti in cui il film sceglie di rallentare totalmente la narrazione. Il rischio, che non sempre la pellicola evita, è che l’empatia tenda a sovrastare il resto sacrificandone l’aspetto drammaturgico e mirando all’emozione un po’ troppo facile. Se in alcune scene, come quella della poesia e quella finale, questo rischio viene brillantemente evitato in altre l’eccessiva mielosità di alcuni dialoghi stride un po’ con la purezza dell’operazione. Alla fine Marcel the Shell si permette anche una critica (non troppo velata) alla fama da social network e ai meccanismi perversi di celebrazione della rete, ma quello che al regista Dean Fleischer Camp (autore anche dei tre corti da cui il film ha tratto ispirazione) interessa chiaramente è il racconto di un’identità tutta da costruire, o ricostruire. L’identità di una piccola conchiglia catapultata in un mondo più grande di lei, ma che già conosce il dolore, la paura ma anche l’amore e la speranza. Ora deve solo imparare ad usarli.
Marcel the Shell. Regia di Dean Fleischer Camp con Dean Fleischer Camp, Jenny Slate e Isabella Rossellini, in uscita nelle sale il 9 febbraio distribuito da Lucky Red.
Quattro stelle