La nostra recensione di Marcello mio, film appena presentato in concorso a Cannes nel 100° anniversario dalla nascita di Mastroianni: Christophe Honoré dirige Chiara Mastroianni e Catherine Deneuve in un omaggio tra serio e faceto, lieve e malinconico ma anche incerto
Marcello mio ha un compito arduo e gravoso da portare sulle proprie spalle, e non è quello dell’omaggio celebrativo. Perché quella diretta da Christophe Honoré e presentata in concorso a Cannes 2024 sembra più una vicenda di fantasmi o meglio di una fantasma, quello di Marcello Mastroianni. Sono passati 28 anni dalla sua morte, eppure il ricordo rimane indelebile per coloro che lo hanno conosciuto nella propria intimità, nel calore familiare come la figlia Chiara Mastroianni e una delle sue tante mogli, forse la più amata di tutte, Catherine Deneuve. L’opera di Honoré diventa allora un viaggio tra psicoanalisi e memoria, tra serio e faceto, tra imitazione e realtà, sebbene il passo resti un po’ incerto.
Diventare Mastroianni o essere Mastroianni?
Chiara Mastroianni è un’attrice, unica figlia di Marcello Mastroianni e Catherine Deneuve. Durante un’estate particolarmente tormentata e in seguito alle sconsiderate richieste della regista Nicole Garcia, decide di far rivivere suo padre attraverso sé stessa: si veste come lui, parla come lui, respira come lui, con una tale forza che chi le sta intorno comincia a crederci e a chiamarla “Marcello”. Nel suo viaggio di riscoperta di sé stessa e del padre Marcello, Chiara incontrerà anche un giovane soldato inglese di nome Colin (Hugh Skinner) di cui s’invaghirà e vecchi amici come Melvil Poupaud e Fabrice Luchini.
Tra ricordo e immedesimazione
Marcello mio comincia e finisce con un richiamo, anche piuttosto esplicito, a La dolce vita di Fellini, forse il film più celebre di Mastroianni. Il primo è quello della scena del bagno di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi, soltanto che la protagonista stavolta è Chiara Mastroianni nella Fontana di Saint-Sulpice, in cui è finita per girare di malavoglia un brutto spot pubblicitario. Chiara ci si tufferà poi per davvero nella famosa fontana romana, ma le conseguenze non saranno ammantate di magia come nel capolavoro di Fellini. Il secondo riferimento è più sottile ed arriva proprio sul finale, quasi a fare il paio con il film originale e vede Chiara/Marcello osservare il mare su una spiaggia a Formia.
Perché tutta questa lunga premessa? La risposta sta proprio in questa nuova pellicola di Christophe Honoré, nella sua anima filmica e soprattutto in quella extra-filmica; Chiara comincia un vero e proprio transfert per diventare suo padre e riappropriarsi del suo ricordo, prima cominciando dall’aspetto fisico e dalla trasformazione da donna in uomo, poi arrivando al cambio linguistico e riscoprendo quindi l’uso dell’italiano e, infine, ripercorrendo i suoi stessi passi tra Roma e Formia. È un gioco, certo, ma forse è anche qualcosa di più di questo perché in Marcello mio l’esigenza trasformistica si fa volontà di rigenerazione, il ricordo diventa un’arma per difendersi dal presente e forse anche dal dolore mai sopito.
In questo lungo viaggio tra passato e presente Honoré trova di tanto in tanto anche qualche momento di sincera poesia, come quando Chiara trova il soldato Colin che si strugge d’amore su un ponte parigino per un uomo che forse non rivedrà mai più (il sempre più incisivo Hugh Skinner) come nelle Notti bianche di Visconti, o l’incontro con un cocker abbandonato che rimanda all’amore di Marcello per i randagi (“la nostra era una casa piena di cani“, dice ad un certo punto Catherine Deneuve).
La figlia di
Eppure, in questo film che parla dell’impossibilità di sfuggire la natura trascendentale del retaggio paterno, Chiara deve smarcarsi proprio dalla locuzione “figlia di”. Figlia di Marcello, figlia di Catherine, nonostante le venga ricordato che come attrice si è fatta da sola, ed è proprio questa esigenza a mettere in moto la necessità ludica e terapeutica di un’immedesimazione alle volte totale e alle volte parziale, come un gioco di specchi in cui Chiara e Marcello sono due anime dello stesso corpo.
Ne è la sublimazione il momento in cui Chiara, in una trasmissione sulla Rai, si troverà davanti degli uomini vestiti come il padre in alcuni dei suoi più famosi film: l’omosessuale perseguitato dal fascismo de Una giornata particolare di Scola, l’apicoltore corroso dal dolore de Il volo di Angelopoulos, l’uomo preda delle rivendicazioni femministe de La città delle donne di Fellini. Tutti personaggi storti, lontani dall’idealizzazione maschile de La dolce vita e quindi tutte anime artistiche e forse umane di un padre sfuggente, preda della sua stessa grandezza artistica. Però il merito di Marcello mio sta proprio nel non indugiare troppo sul genitore, perché è Chiara la chiave di volta del film.
Proprio lei che conserva in sé un ricordo meraviglioso del papà, ma che deve imparare a fare i conti con il suo nome per potersene finalmente liberare (almeno in senso metaforico). Lei che cerca la sua libertà nell’acqua, proprio come il padre amava fare tra un film e l’altro, tra un personaggio e l’altro. Ecco, se solo Christophe Honoré avesse avuto più coraggio nel tagliare, nel semplificare, nel rendere più semplice questa ricerca senza ritrovarsi con qualche momento grezzo e spurio di troppo, questo viaggio di (ri)scoperta sarebbe stato ancora più toccante.
TITOLO | Marcello mio |
REGIA | Christophe Honoré |
ATTORI | Chiara Mastroianni, Catherine Deneuve, Fabrice Luchini, Nicole Garcia, Benjamin Biolay, Melvil Poupaud, Hugh Skinner, Stefania Sandrelli |
USCITA | 23 maggio 2024 |
DISTRIBUZIONE | Lucky Red |
Tre stelle