Con Piccole donne Greta Gerwig riesce nel piccolo miracolo di restituire energia, cuore e cervello a un testo del quale, nell’arco di più di un secolo di vita e numerose trasposizioni cinematografiche, si era forse perso un po’ di vista il vero focus semantico.
L’universalità di Piccole donne
Cos’è che, alla fine, rende un romanzo un grande classico della letteratura? Quella che, nella sua banalità, rischia di apparire come una domanda a trabocchetto, trova il proprio senso nella più banale delle risposte: l’universalità della narrazione. Non si spiega altrimenti il fatto che la settima arte sia tornata a rileggere Piccole donne di Louise May Alcott così tante volte – addirittura cinque, se non contiamo un anime e la recente miniserie della BBC – nel corso della sua storia. Tutto ciò senza mai tentare la carta della modernizzazione di un romanzo che, all’interno della sua struttura di base, contiene in pratica tutti gli archetipi dello storytelling al femminile.
La donna come unica autrice del proprio destino
Greta Gerwig questo deve averlo capito bene e, alla ricerca di un testo che potesse dare un seguito al suo piccolo manifesto programmatico di femminismo 2.0 Lady Bird, trova nella delicata epopea delle sorelle March il punto di partenza per una riflessione di inaspettato acume sul ruolo della donna come autrice del proprio destino. Per fare ciò trae spunto dall’immedesimazione della Alcott con il personaggio più ribelle del romanzo – quella Jo (Saoirse Ronan) che intravede nella scrittura il solo modo per non piegarsi alle convenzioni che, nella seconda metà dell’800, vedevano ancora per una donna solo due possibilità, “married or dead” – e, sostituendosi alla scrittrice, interviene sull’unico elemento del racconto che le consente di renderlo proprio senza però snaturalizzarlo, ovvero il tempo.
Il lavoro della Gerwig sul tempo del racconto
In particolare è la sequenzialità degli eventi ad essere frammentata in una serie di ellissi temporali che, rimontate poi in un ordine solo apparentemente casuale, vanno a scandire le fasi di questo racconto di formazione corale in maniera rigorosamente anti-diacronica. L’alternarsi di flashback e e flash-forward non è però la sola libertà che la Gerwig si prende o, almeno, lo è da un punto di vista formale. Perché il suo Piccole donne è soprattutto una storia di autodeterminazione femminile, concetto che la regista ha il coraggio di anteporre anche ad alcuni degli episodi chiave del romanzo, asciugando questi ultimi – compresa la drammatica morte di Beth (Eliza Scanlen) – in favore di una maggiore fluidità narrativa.
Il piccolo colpo di genio finale
L’intelligenza della rilettura gerwigiana della Alcott poggia infatti sulla ferma convinzione che la maggior parte degli eventi narrati in Piccole donne siano noti più o meno a tutti, per cui tanto vale lasciarli alla memoria e all’immaginazione collettiva e concentrarsi, invece, sui discorsi pieni di dubbi, gioie e paura di quattro ragazze che vediamo diventare donne quasi loro malgrado. Fino all’autentico colpo di genio finale: quella piccola slabbratura metatestuale che ricorda allo spettatore come i diktat delle regole del mercato possano letteralmente cambiare la storia e, al tempo stesso, pone sotto una nuova luce interpretativa i toni anche troppo edulcorati della matrice letteraria d’origine.
Un cast perfetto
Ciò che però stupisce di più nel lavoro di Greta Gerwig è la sua capacità di switchare dal piccolo ritratto indipendente del suo celebrato esordio a un’opera, ugualmente intima, ma imponente da un punto di vista produttivo. Complice un cast perfetto, che sembra fare a gara a chi è più bravo – non solo la ottima Ronan, ma anche Emma Watson, la fresca vincitrice del Golden Globe Laura Dern, l’intramontabile Meryl Streep e la lanciatissima Florence Pugh – e un reparto tecnico di primissimo ordine, in particolare la fotografia di Yorick Le Saux (Io sono l’amore, A Bigger Splash e Only Lovers Left Alive) e le evocative musiche del due volte premio Oscar Alexandre Desplat.
In conclusione
Greta Gerwig riesce insomma nel piccolo miracolo di restituire energia, cuore e cervello a un testo del quale, nell’arco di più di un secolo di vita e numerose trasposizioni cinematografiche, si era forse perso un po’ di vista il vero focus semantico. Piccole donne è infatti, insieme a opere come The Farewell, Le ragazze di Wall Street e – perché no – anche a Ritratto della giovane in fiamme, appare imprescindibile per comprendere i radicali e necessari cambiamenti intercorsi nell’ultimo anno nella rappresentazione delle donne al cinema. Con in più il vantaggio di poggiare su un classico della letteratura di immediata riconoscibilità. Chapeau!
Piccole donne, diretto da Greta Gerwig e interpretato da Saoirse Ronan, Emma Watson, Timothéè Chalamet, Florence Pugh, Eliza Scanlen, Laura Dern e Meryl Streep, sarà in sala da giovedì 9 gennaio distribuito da Warner Bros Italia.