Posso entrare? An Ode to Naples, recensione: Napoli splende nel doc di Trudie Styler con Sting e Saviano

Posso entrare? An Ode To Naples - Spaccanapoli
Posso entrare? An Ode To Naples - Spaccanapoli

La nostra recensione di Posso entrare? An Ode to Naples, il documentario di Trudie Styler, moglie di Sting, che si è fatta aprire le porte dei napoletani per raccontare la loro città, in sala il 6, 7 e 8 novembre 2023

Ispirata dall’ode che il poeta Percy Bysshe Shelley ha dedicato a Napoli nel 1820, l’attrice e produttrice inglese Trudie Styler firma il documentario Posso entrare? An Ode to Naples, che ha acceso i riflettori sulle mille suggestioni della città partenopea.

Presentato alla Festa del Cinema di Roma, è un racconto che procede prima di tutto per immagini: dagli scorci tipici del capoluogo campano agli stretti vicoli dei rioni popolari, fino alle periferie, quelle meno conosciute come San Giovanni a Teduccio, e quelle tristemente note, come le Vele di Scampia. La vera forza del documentario sono però le parole, quelle delle tante persone che ha incontrato lungo la strada, molta gente comune e alcuni volti noti.

L’indagine della Styler, aperta dalla canzone originale Neapolis interpretata da Clementino, prende il via da uno dei cuori pulsanti della città, il rione Sanità: un punto di partenza privilegiato per analizzare il passato di Napoli (belli e sorprendenti i materiali di archivio) e descrivere un presente fatto di resilienza e passione. Il quartiere ai piedi di Capodimonte raccoglie un’umanità variegata e fiera, che vive in un contesto non sempre facile: «Una Napoli al quadrato», come lo definisce don Antonio Loffredo, il parrocco che ha scommesso sulla sua rinascita.

La città raccontata dai napoletani

Attraverso la formula magica «Posso entrare», che a Napoli raramente trova opposizione, la regista si fa aprire le porte di case, canoniche, musei, studi di artisti, tipografie, cimiteri sotterranei. Al loro interno, le persone sono pronte a condividere pezzi della loro storia personale che, come in un puzzle, vanno poi a comporre quella di una città “teatro”, dove si sono alternate tante dominazioni (greca, romana, spagnola, francese), dando vita a un impasto meticcio entrato nel Dna dei suoi abitanti, rendendoli resilienti e realistici: «Che importa chi comanda? L’importante è che si mangi», come recita l’antico detto napoletano citato dalla regista.

In una carrellata colorata e vibrante, ma anche dolente e riflessiva, ogni luogo è lo sfondo su cui si incasellano i racconti dei protagonisti, tutte persone che hanno deciso di dare un nuovo volto alla città, rifondandola attraverso l’arte, l’impegno e la tenacia di chi ha deciso di restare e ridisegnare il proprio futuro. Tra di loro, il racconto lucido e sofferto di Roberto Saviano, il giornalista anticamorra costretto a vivere sotto scorta da 15 anni, o la testimonianza emozionante di Alessandra Clemente, figlia di Silvia Ruotolo, la vittima innocente di uno scontro a fuoco tra camorristi nel 1997, e oggi consigliera comunale impegnata nella rinascita della città.

E ancora la bella attestazione di impegno civile del gruppo di donne del rione Sanità che ha creato un’associazione contro la violenza di genere: al funerale dell’amica vittima di femminicidio sono loro a portare in spalla la sua bara «perché nessun uomo possa più toccarla», e grazie alla loro lotta la pena del suo assassino è passata da 10 a 30 anni di reclusione. Significativa anche l’esperienza di Francesco Di Leva, vincitore del David di Donatello come Miglior attore non protagonista per Nostalgia di Mario Martone: l’interprete è tra quelli che hanno deciso di restare e fare del teatro un’esperienza di resistenza civile.

Napoli tra sterotipi e contemporaneità

È innegabile che la città di Napoli sia rimasta fedele a molte delle caratteristiche che hanno determinato la sua cifra identitaria, come le vedute tra mare e Vesuvio, i vicoli con i panni stesi, l’animo popolare di buona parte dei suoi abitanti, e che il narratore straniero si lasci suggestionare da questo suo tratto tipico, più facilmente riconoscibile.

Il documentario della Tyler, presentato alla 18ª Festa del Cinema di Roma, non fa eccezione in tal senso, anche se affidare ai napoletani il racconto della loro città permette di aggiornarsi, dando grande enfasi al desiderio di affrancarsi da un passato criminale e di recente marginalità storica con inedite iniziative di segno civile, sociale e artistico.

Per lo spettatore italiano, il documentario ha sicuramente il sentore di qualcosa di già visto, mentre all’estero la sua visione potrebbe far crescere ancora di più l’attrattiva per una città unica al mondo, la cui vitalità non smette mai di sorprendere.

Entrare in punta di piedi

Già dal titolo, Trudie Styler enuncia la volontà di descrivere una città magnetica e magmatica, fatta di luci e ombre, entrando in punta di piedi e senza giudizio nelle pieghe della sua storia. E la Tyler tiene fede al suo intento fino alla fine, quando tutti i protagonisti che hanno preso parte a questo racconto corale si riuniscono per celebrare il meglio della napoletanità.

Moglie di Sting, la regista cede alla tentazione di coinvolgere il consorte nel suo documentario: il celebre cantante britannico si esibisce per i detenuti del carcere di Secondigliano, suonando con una chitarra ricavata dal legno delle imbarcazioni dei migranti. Sting è sempre una garanzia, anche se ci si domanda se la sua presenza sia davvero funzionale alle intenzioni del progetto.

TITOLO Posso entrare? An Ode to Naples
REGIA Trudie Styler
ATTORI Trudie Styler, Sting, Clementino, Roberto Saviano, Francesco Di Leva, don Antonio Loffredo, Alessandra Clemente
USCITA 6, 7 e 8 novembre 2023
DISTRIBUZIONE Luce Cinecittà

 

VOTO:

Tre stelle e mezzo

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