La nostra recensione di QT8: Quentin Tarantino – The First Eight, il documentario che racconta il maestro del pulp, con le testimonianze di star da Samuel L. Jackson a Christoph Waltz, da Kurt Russell a Jamie Foxx
(di M. Deborah Farina) Che Quentin Tarantino fosse un fuckin genius si sapeva già dagli anni Novanta. All’epoca, noi ragazzini nerd, appassionati di cinema b e di musica angloamericana, identificammo subito in lui il nostro Dio, il paladino dei nostri gusti splatter tra comicità surreale, vena romantica e assoluta e gratuita crudeltà cinematografica. In quel tempo, non avevamo certo le conoscenze sul campo e gli strumenti critici di oggi, ma la forza di quelle visioni fu talmente potente e catartica, tale da ritenere Pulp Fiction, uno dei più grandi capolavori, ineguagliati e seminali, della storia del cinema. Potrei citare anche Le Iene o Jackie Brown, piuttosto che Kill Bill, ma Pulp Fiction, forse per una questione temporale, innestò in me un cortocircuito, una scarica elettrica che decretò Quentin il regista e lo sceneggiatore dei miei sogni ‘mainstream’.
Quando uscì, comprai la vhs di Pulp Fiction e, tutti i giorni, ne vedevo almeno un pezzetto, completamente drogata dalla struttura narrativa, come dai titoli di testa e dall’uso dei brani musicali. Il raccordo tra Misirlou di Dic Dale & The Del Tones e Jungle boogie dei Kool and the Gang nei titoli di testa, mi ossessionò talmente tanto che volli rifare una cosa simile, quasi vent’anni dopo, raccordando due brani di Piero Piccioni sui titoli di coda di Anarchitaly. Quell’influsso che il cinema di Quentin ha avuto su me, si è riverberato in generazioni di filmmakers, sceneggiatori, attori, followers, cinema addicted, cinema goers e appassionati di tutto il mondo, per la sua carica di ‘indipendenza’, pur all’interno di una cornice da major company (in ambito di ‘industry’ post-new hollywoodiana), ricostruendo e rifondando i termini del cinema di genere, sul genere.
Il documentario di Tara Wood, QT8: Quentin Tarantino The First Eight (disponibile in esclusiva su MioCinema), spiega molto bene questo concetto, attraverso le parole di alcuni, tra attori e collaboratori storici di Tarantino, quali Tim Roth, Samuel L. Jackson, Michael Madsen, Zoe Bell e Christoph Waltz, Eli Roth, Kurt Russell, Jamie Foxx, Lucy Liu, Diane Kruger, Robert Forster, Bruce Dern. Diviso in capitoli, a riprendere la struttura in ‘chapter’ di Kill Bill, dalla realizzazione classica tra interviste, clip dai film e citazioni, all’uso dell’animazione per ‘vedere’ il racconto, il documentario si muove cronologicamente dagli esordi di Tarantino soggettista e sceneggiatore (Una vita al massimo e Assassini nati – Natural Born Killers), all’approdo alla regia, attraverso tutte le sue produzioni. Molto è già noto, molte citazioni dai b-movie per lo più americani e italiani e di Hong Kong (classici e contemporanei) sono state largamente sviscerate negli anni (nel doc appaiono brevi stralci da pellicole quali Milano calibro 9 di Fernando Di Leo, Sweet Sweetback’s Baadasssss Song di Melvin Van Peebles, Coffy di Jack Hill, L’ultimo combattimento di Chen di Robert Clouse, Punto zero di Richard C. Serafian, I cowboys di Mark Rydell.
Tuttavia, emerge dalle parole di chi ha costantemente lavorato con Tarantino, un aspetto del ‘metodo’ di cui finora non si sapeva molto a livello ufficiale. E non ha nulla a che vedere con i suoi ‘distaccati’ colleghi registi. Dal racconto pare di immergersi in un cinema e, in generale, un mondo ‘analogico’ (del resto la passione ‘analogica’ di Quentin lo ha portato a voler girare in 70mm The Hateful Eight, perché si potesse anche proiettare in quel formato, nonché ad istituire il QT Festival ad Austin dove poter invitare i suoi ‘miti’ cinematografici con le loro pellicole di genere, proiettate anche nel suo cinema di Los Angeles), che riporta ad un livello ‘umano’ dentro e fuori dal set. Emerge una figura di regista e autore, artista e artigiano che conosce ogni aspetto della realizzazione, che gestisce gli attori essendone egli tesso il coach, che vive il set in prima persona in un contatto fisico, un corpo a corpo con la materia che sta girando, che lascia spazio all’istinto attoriale senza che vi sia uno storyboard, da cui meccanicamente analizzare una sequenza, piuttosto rendere l’idea di quella sequenza attraverso la visione di scene dal ‘suo’ background cinematografico, il costante ricorso agli stessi attori e collaboratori quasi a creare una sorta di famiglia, la Band Apart, come il nome della sua casa di produzione.
Un metodo da cinema ‘indie’ che certamente, nella sua forte carica empatica, restituisce al pubblico un ‘calore’ che riecheggia nel tempo, anche molto dopo la visione, come quella primigenia carica del cinema ‘underground’ che è, in prima istanza, un fatto interiore. Emerge la consapevolezza di chi conosce tutti gli aspetti del mezzo, della fondamentale importanza del montaggio, tanto da definire la compianta Sally Menke, quale sua co-autrice e l’unica da cui accettare tagli o cambi. Per Quentin è evidente che il cinema sia vita, la sua vita, le sue emozioni, la sua passione di voracissimo cinephile che si esprime circolarmente nelle sue storie e nei suoi personaggi. Grazie a QT8: Quentin Tarantino The First Eight, abbiamo saputo che il piccolo Quentin, frequentando un amico di colore della madre, andava a vedere quei film della blacksploitation che avrebbero segnato il suo immaginario, sia nei confronti della comunità afroamericana, sia nei confronti dei personaggi femminili ‘controcorrente’ del suo cinema. Ci appare chiaro come non sia necessaria la censura o il politically correct quando un assunto (dalla definizione di ‘nigger’ alla parità uomo-donna), assume un valore di basica normalità.
E, in un contesto generalizzato di ‘casta’ e fondi pubblici, ci si è aperto il cuore quando abbiamo ascoltato l’iter dei producer hollywoodiani, sempre alla ricerca di sceneggiature che ‘spaccano’ (come dice Stacey Stern: “Ogni weekend ci portiamo a casa una ventina di sceneggiature e speriamo sempre che tra di esse vi sia quella giusta”), perché Hollywood sia sempre al vertice della piramide, anche per contenuti e ricerca linguistica. Iter che non ha ghettizzato il giovane Quentin, anzi l’ha subito inglobato, capendone le incredibili potenzialità, prima attraverso l’acquisto delle sue sceneggiature, subito dopo grazie al fiuto della Miramax. Tarantino oggi è una rockstar, molto più rock di quelli che fanno rock. Ogni volta che sono su un tapis-roulant, di quelli lunghi degli aeroporti, mi trovo a guardare avanti, fiera, come Pam Grier nella sequenza d’apertura di Jackie Brown, mentre scorre 110th Street di Bobby Womack. Questa è la forza irraggiungibile del suo immaginario. “Io rubo tutto. I grandi artisti rubano, non fanno omaggi” (QT).
QT8: Quentin Tarantino – The First Eight, diretto da Tara Wood, è disponibile in esclusiva su su MioCinema.
3 Stelle