La nostra recensione di Raffa, il documentario che Daniele Luchetti ha dedicato all’immortale Raffaella Carrà a due anni dalla morte: tra pubblico e privato le luci e le ombre di un’artista a 360° che ha abbagliato il mondo
A pochi mesi di distanza dal Massimo Troisi secondo Mario Martone, un’altra leggenda della cultura e dello spettacolo italiani è protagonista di un documentario che ne esplora luci e ombre tra pubblico e privato: Raffaella Pelloni, in arte Raffaella Carrà. Il regista premio David Daniele Luchetti porta in sala, anche se per pochi giorni, Raffa, un omaggio viscerale e onesto al mito e al retaggio immortale di una donna icona della televisione e in parte anche del cinema, sebbene il suo rapporto con il grande schermo fosse sempre stato molto travagliato. Raffaella Carrà torna quindi a rivivere in tutto il suo splendore, nelle sue fragilità , nella sua energia e nella sua umanità.
Il racconto di una leggenda
Chi è davvero Raffaella Carrà? Chi si nasconde dietro l’immagine della star italiana più famosa e amata all’estero, dietro i 60 milioni di dischi venduti, i successi televisivi, i
film e le tournée internazionali? Una donna che è stata simbolo di libertà e di parità tra i sessi negli anni ’70, una regina della TV pubblica negli anni ’80 e un’icona LGBTQ+ negli anni ’90, Raffaella Carrà è un mito che supera ogni barriera culturale e generazionale e che il pubblico di tutto il mondo ha amato per 50 anni. Eppure, Raffaella è una porta chiusa di cui nessuno possiede la chiave.
Riservata per natura e gelosissima del suo privato, la Carrà è una donna che ha lottato per affermarsi in un mondo di uomini, ma anche una donna che ha amato e sofferto. Il film ripercorre la vita pubblica e privata dell’artista, a partire dall’infanzia in Romagna segnata dall’abbandono del padre, fino al flirt “da copertina” con Frank Sinatra, i suoi due grandi amori Gianni Boncompagni e Sergio Japino, l’eterno rimpianto per una maternità mancata, moltissimi trionfi e qualche insuccesso, attraverso le parole e i ricordi di artisti come Fiorello, Tiziano Ferro, Emanuele Crialese e tanti altri.
Pelloni vs Carrà
Non è facile scomporre la figura di Raffaella Pelloni / Raffaella Carrà di modo tale che possa uscire fuori l’anima vera dell’Icona per eccellenza, una donna che ha letteralmente trasformato la televisione italiana. Luchetti ci prova, assieme ad una folta squadra di scrittura (tra cui Cristina Farina) e montaggio, e per quasi 180 minuti (un po’ troppi) Raffa presenta la sua versione di una dicotomia in fieri; Raffaella Pelloni e Raffaella Carrà convivono in un corpo, in un involucro di potenza, femminilità, sensualità e trasgressione ma anche estrema dolcezza, sensibilità e vulnerabilità. Le due anime escono fuori a momenti alterni grazie al lavoro certosino del regista romano, il quale esplora il mondo della Carrà a partire dalla fine, cioè dalla sua morte improvvisa e inaspettata all’età di 78 anni, per poi riavvolgere il nastro del tempo e ripartire da quella Bologna in cui Raffaella è nata e che per tutta la vita ha considerato casa.
Non ha paura Luchetti di scavare nel profondo, nei traumi di una ragazzina abbandonata dal padre in tenera età ma non per questo priva di una figura forte e autoritaria, rappresentata da una madre rigida ed esigente. La Raffaella Pelloni è perciò l’involucro di una ferita che non potrà mai rimarginarsi, e che è quasi costretta a diventare Raffaella Carrà per provare ad uccidere un po’ di quell’oscurità con la luce abbagliante dell’arte: danza prima, poi recita e infine si reinventa per l’ennesima volta, diventando la prima vera showwoman italiana e riuscendo a superare i confini nazionali per donarsi al resto del mondo. Il prototipo di una vera e propria azdora romagnola, lei che la Romagna l’ha indossata quasi come un vestito, ma anche nello stesso tempo quello di una donna libera, ferocemente dolce, che dettava le mode e anticipava i tempi fregandosene delle restrizioni borghesi e delle ipocrisie. Un po’ Pelloni, un po’ Carrà, molto Raffa.
Un racconto non agiografico
Nell’inseguire continuamente le verità di Raffaella Carrà Luchetti sceglie sapientemente la strada non agiografica, e prova a scavare anche nelle sue tante insicurezze, nei suoi fallimenti lavorativi e privati, nei momenti difficili di una carriera e di una vita ricche di tanto, tantissimo. Con il massimo rispetto e con un una certa sensibilità Raffa cerca e spesso trova il rumore e il silenzio, l’ascesa e la caduta, la luce e l’oscurità di una figura che ha fatto del saper cambiare pelle continuamente forse la sua più grande forza.
Luchetti racconta Raffaella Carrà sfidando e ridicolizzando le logiche del potere e dell’oppressione (come nella scena del funerale di Francisco Franco), abbracciando il buio degli anni di piombo che va a contrapporsi con la lucentezza abbagliante dei programmi del sabato sera di cui la Carrà era assoluta trascinatrice, il racconto dei cambiamenti collettivi come la rivoluzione LGBT e la tragedia dell’Aids, il cambiamento dei costumi e della società italiana tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Tutti tasselli di un puzzle comunque destinato a non completarsi mai davvero, proprio perché Raffaella Carrà era una figura tanto presente quanto sfuggente, la cui complessità supera qualsiasi tentativo di comprensione o di lettura. Non che Raffa non provi a raccontarsi e a raccontare assieme a sé un intero Paese, ma forse è necessario che un po’ di questo mistero perduri nel tempo.
Le parole e la musica
Il racconto di Luchetti è però anche intessuto di parole e di musica, dai tanti clamorosi successi come Tuca Tuca o Rumore fino al trionfo internazionale con tourné infinite in Sudamerica, Europa e Nord America; è qui che scorgiamo tutte o quasi tutte le anime di un’icona, dall’amore per il pubblico allo stakanovismo asfissiante, dalla mania del controllo alla capacità di non scomporsi praticamente mai o quasi. Nel corso di tre capitoli e di tre ore di pellicola sono tanti gli incontri, gli spunti e i ricordi di coloro che Raffaella l’hanno amata, conosciuta anche solo di striscio o semplicemente elevata a mito.
Luchetti cerca il più possibile di discostarsi da quel mito, senza farcisi trascinare dentro, mantenendo invece il controllo su un racconto sì celebrativo ma mai cieco, e utilizzando le parole e il lascito della Raffa nazionale come unico, vero strumento di lettura del mito. Perché alla fine del racconto quello che esce fuori dallo sguardo del regista, prima ancora che la superstar o la donna che fatturava miliardi di lire, è una bambina che vuole essere amata a tutti i costi, che vuole essere capita e che ha cercato per tutta la vita un po’ di quella redenzione dei sentimenti che poi ha portato in tivù con Carràmba che sorpresa, rendendola immortale. Un’anima ferita che si vestiva di lustrini e che inneggiava alla libertà del corpo e del cuore, senza pregiudizi né confini, e che quindi rappresentava un qualcosa di prezioso; peccato che forse nessuno abbia mai saputo amarla a dovere.
Raffa. Regia di Daniele Luchetti con Raffaella Carrà, Tiziano Ferro, Fiorello, Emanuele Crialese, David Guetta, Cristina Rita e Barbara Boncompagni, in uscita dal 6 al 12 luglio nei cinema come evento speciale distribuito da Nexo Digital in collaborazione con Disney +.
Tre stelle e mezza