Dark Night, la recensione: una visione estetica che contempla e aliena

Dark Night - Tim Sutton

Dark Night, il terzo film di Tim Sutton, è una contemplazione diretta e senza mezzi termini dei giorni che precedono uno dei fatti di cronaca nera più tragici degli ultimi anni, il massacro di Aurora.

Cronaca nera

Tratto dal tragico caso del massacro di Aurora, Dark Night ritrae sei personaggi, tra i quali il giovane killer, nelle ore precedenti all’attentato nel cinema Century 16, durante la prima del film, Il cavaliere oscuro – Il ritorno, di Christopher Nolan. Ciò che viene fuori è una rappresentazione dura e amara di individui estranei alla società, che vivono in un vuoto di relazioni; ciascuno di loro potrebbe essere l’artefice del folle gesto, nessuno si salva, ogni azione compiuta sembra portarli lentamente verso il dramma finale. Il killer della vicenda è il ventiquattrenne James Eagan Holmes (Robert Jumper) che, vestito di nero e indossando una maschera antigas, sparò 76 colpi sulla folla, uccidendo 10 persone sul colpo tra cui molti giovani ragazzi, compresa una bambina di 6 anni. James fu arrestato vicino alla sua auto 15 minuti dopo l’attentato senza opporre resistenza: portava alle orecchie ancora le cuffiette con un’assordante musica techno per evitare di udire le reazioni della folla.

James gli attimi prima dell’attentato

Una regia fresca e sicura

Dark Night è la terza opera del giovane regista Tim Sutton, presentato al Sundance Film Festival nella selezione ufficiale 2016, ricevendo una calorosa accoglienza da parte della critica statunitense e il Premio Lanterna Magica alla 73a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica a Venezia. Il film è stato girato in soli sedici giorni, con una sceneggiatura di ferro molto precisa che ha permesso di non ritardare i tempi. Dotato di uno stile etereo e audace, il regista presenta i personaggi in un modo particolare e rallentato, sfruttandoli per parlare di moltissimi temi, tutti referenti di un’incomunicabilità dettata da uno o più traumi (stress post-traumatico da guerra) che hanno scosso la psiche dei soggetti, in un cambiamento irreversibile di personalità. Lo sviluppo narrativo sembra intriso di una suspense angosciante, che fa percepire allo spettatore la sensazione che qualcuno potrebbe morire da un momento all’altro, rendendo i personaggi della vicenda talmente riconoscibili e quotidiani da far pensare che tutti possano essere il killer. Tim Sutton, attraverso questo film, riesce abilmente a trasformare il massacro di Aurora nella rappresentazione della parte più malvagia e americana delle arti performative, cosciente che l’industria cinematografica non avrebbe mai girato un film su un massacro avvenuto in una sala: per la prima volta lo schermo dove avviene il sogno che porta lo spettatore in fantastiche avventure diventa uno spazio mortale e senza via di fuga. Accompagnato dalla musicista e compositrice Maica Armata, che attraverso la rilettura di brani come You are my sunshine entra perfettamente nel tono del film, sottolinea la narrazione in un’immagine realistica di una realtà suburbana, in cui la mancanza di risorse e creatività può facilmente guidare un giovane ai limiti della solitudine, facendolo precipitare in un abisso senza fondo.

Un'immagine tratta dal film
Una delle tante ragazze presenti in sala durante il massacro

Il degno erede di Elephant?

Il film riprende per moltissimi aspetti il capolavoro di Gus Van Sant, Elephant, condividendone il tema e lo stile visivo. Entrambi sono ispirati a fatti di cronaca che hanno fatto scalpore, suscitando la reazione della stampa e dei media; i protagonisti della vicenda sono giovani ragazzi che abitano in quartieri di periferia dove l’apparente normalità è sinonimo di incomunicabilità e alienazione, portando i protagonisti ad isolarsi dalla società e dai suoi coetanei fino a compiere folli gesti per affermarsi in una realtà che li opprime e esclude. Il montaggio e la ripresa sono studiati in funzione della contemplazione di un’apparente normalità, pervasa da una pulsante tensione di violenza e morte, che rimane nascosta per poi scatenarsi nell’orrore finale. A differenza di Elephant, Dark Night predilige un montaggio più vasto, che non gioca molto sulla linea temporale ma sui vari formati e dispositivi audiovisivi presenti nel film, alternando la lunga intervista di James dopo il fatto a riprese satellitari delle vie del quartiere (che ricalcano la street-view di Google Maps), alle storie dei sei personaggi, che rimangono ben distinte fino ad intrecciarsi drammaticamente in uno spirale di violenza e morte. Entrambi i film raccontano i giorni che hanno preceduto le terribili stragi, mostrando la quotidianità dei protagonisti con uno sguardo analitico che non vuole giudicare ne esprimere un’idea del regista sulla vicenda, lasciando questo “dovere” allo spettatore. Elephant e Dark Night sono due opere audaci e complesse che giocano con il tempo, la ripresa e il suono in una narrazione ad imbuto carica di suspense ma solo il tempo potrà dirci, se il secondo potrà essere considerato il “degno erede” del primo.

Dark Night uscirà nelle sale il 1 marzo, diretto da Tim Sutton con Robert Jumper, Eddie Cacciola, Aaron Purvis, Shawn Cacciola e Anna Rose Hopkins sarà distribuito da Mariposa Cinematografica e 30Holding.

VOTO:

 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci qui il tuo nome