Nella conferenza di presentazione di Zerosettanta Volume Due, Renato Zero ha raccontato il suo punto di vista su molti aspetti della società ed ha analizzato i vari temi presenti nell’album, concludendo di non avere “eredi”
La conferenza stampa di presentazione di Zerosettanta Volume Due (leggi la nostra recensione), nuovo disco di Renato Zero in uscita oggi (clicca qui per acquistarlo su Amazon) e seconda parte del progetto con cui il cantautore romano festeggia i suoi 70 anni, si apre con un’analisi della classe politica e del rapporto tra potere e popolo, descritta nel pezzo Vergognatevi voi: «La visione totale della società italiana andava presa in considerazione molto prima dell’arrivo del Covid nel suo essere così multiforme, un problema nel nostro paese deve essere sempre identificato da ceto a ceto. L’errore politico è stato quello di fare di tutta l’erba un fascio senza mettere una lente sulle diverse situazioni del popolo che non si possono omologare perché ogni categoria e ogni regione ha posizioni distanti che sono spesso state acuite dalla politica stessa con il sud lasciato al buio nonostante la popolazione meridionale si sia sempre distinta, ad esempio nella formazione e nella cultura o con la manodopera meridionale che ha reso la Fiat un colosso. Aggiungiamo la condizione degli extracomunitari che arrivano nella zona sud del nostro paese con quelle regioni che si accollano un altro fardello».
Renato ha parlato di categorie sociali e dei cambiamenti professionali, soffermandosi sulla situazione del settore del mondo dello spettacolo: «Mi soffermo su dei precedenti molto gravi: la defezione delle botteghe italiane, dal panificio alla macelleria, esercizi che davano da mangiare a 5 famiglie, c’era grande serenità attraverso questi punti fondamentali dell’occupazione con il mestiere tramandato di generazione in generazione e la grande distribuzione delle aziende multinazionali hanno interrotto questo flusso. Il secondo punto è: gli artigiani che fine hanno fatto? Una categoria italiana che brillava anche all’estero per manufatti, sculture. Ho visto di recente un sevizio su Murano: assistere a queste macchine affascinanti ferme e che una volta producevano questi vetri meravigliosi mette tristezza, abbiamo liquidato una fetta che ci rappresentava nella moda e nel costume. Siamo colpevoli anche noi di aver allentato la presa. Una categoria invece silenziata da un giorno all’altra è stata quella di noi artisti nei confronti della quale si riponeva una grande speranza. Abbiamo sempre sostenuto che nostra professione sia di conforto per la salute morale di paese, non facciamo canzonette ma dalle penne di Puccini e di molti altri abbiamo sempre esportato il genio. Anche la musica leggera, in particolare quella napoletana gode nel mondo di grande considerazione e affetto. La politica deve aprire gli occhi e cercare di mettere a segno una rimpatriata di valori e farci recuperare la consistenza di essere italiani».
Per quanto riguarda il futuro della musica italiana e la sua possibile eredità, Zero ha risposto: «Credo non esista un mio erede ma mi auguro che tanti accolgano il mio esempio come quello di Battiato, di De André e di tanti altri. C’è bisogno che le radio italiane ripropongano queste grandi pagine di musica piuttosto che lo scarto di paesi stranieri. Dobbiamo difendere la bellezza e lo spessore della nostra produzione con la consapevolezza che, se non riproponiamo modelli della nostra tradizione, rischiamo di perdere la nostra identità».
Nel discorso si è aggiunta anche la considerazione sul contributo del giovane autore Lorenzo Vizzini, presente nel disco con la firma di ben 5 brani: «Ci sono coincidenze di vita che abbattano il tabù che ogni generazione abbia la sua platea e le sue potenzialità. Ci siamo abbracciati, lui a 27 e io a 70 anni, con un progetto comune di avere tanta voglia di fare bella musica. La presenza sua è stata evidente in questi tre anni. Rimasi scioccato quando l’ascoltai la prima volta: leggere pensieri cosi adulti e una poesia cosi alta mi fa ben sperare per il futuro».
Nel disco troviamo anche un lato curativo presente soprattutto nella canzone La logica del tempo che invita ad avere ancora entusiasmo nei confronti della vita: «La forza di queste opere è beneficio in primis per chi le attua perché di un piccolo egoismo noi artisti soffriamo in quanto dobbiamo soddisfare il nostro appetito personale, queste partiture devono prima soddisfare nostra esigenza primaria di non perdere di vista la coerenza e la passione e poi automaticamente rimbalzano sul pubblico che ne trae benefici. La musica una funzione curativa la possiede naturalmente perché quando i brani sono efficaci assistiamo alla gioia e alle lacrime. Non mi sono fossilizzato su una tipologia di musica e ho fatto sfoggio di un ventaglio di opzioni alle quali attingere».
Renato critica la crescita costante di proposte musicali in Troppi cantanti, pochi contanti e spiega il suo punto di vista sulla discografia esortando i giovani ad avere più spirito critico: «La sovrappopolazione di artisti non è incoraggiante, lo sarebbe se il pensiero di far parte di una categoria fosse supportata dalla convinzione di avere le carte in regola per reggere microfono e telecamere. Il discografico vuole far correre tutti e 20 i cavalli perché cosi ottiene il fatturato e non li interessa del fallimento potenziale dell’artista in questione. Il mio è un discorso da padre che ha succhiato tanta vita ed esperienza, spesso anche incomprensioni ed ingiustizie: ragazzi mettetevi l’armatura e cercate di proteggervi con studio, sacrificio e soprattutto senso di autocritica. Ho visto sorridere tanti camerieri, idraulici, muratori e questo lo dico perché nella vita conta essere sereni ed appagati per la possibilità di godere di un applauso che arriva da altrove rispetto a una platea. Tutti abbiamo un pubblico. Quando nasciamo e ci viene data una pacca sul sedere per farci piangere, riceviamo un applauso, al primo rutto e al primo passo verso autonomia lo stesso. Non mancheremo di applausi se non mancheremo di coerenza e di senso di responsabilità verso se stessi e gli altri».
Altro tema focale è l’amore e Renato ci racconta di come vede il sentimento oggi: «L’amore necessita di tutela e deve esercitare la contaminazione verso gli altri. Il tragico esempio del ragazzo invidioso della felicità della coppia che ha massacrato, nella sua unicità, fa emergere quanto spesso questa nostra condizione debba essere difesa anche da questi attacchi. Ma è la società stessa che ci vuole privare, gli stessi social rendono le vite piatte e uniformi. Ognuno ha il suo universo. ama e pensa in modo diverso. Questa massificazione è il nemico che combatto da inizio di mia carriera».
Alla domanda su come l’arte può smuovere le coscienze, Renato risponde: «La musica, il teatro, il cinema, la letteratura, l’arte pittorica, figurativa, scultorea da soli la rivoluzione non riescono a portarla avanti ma è l’insieme di questi respiri a poter modificare le coscienze, renderle più forti e determinate. Sono stato ballerino, attore, ho recitato con lo stabile di Genova, sono state esperienze significative con una serie di avventure che mi hanno fortificato e mi hanno creato la convinzione che se queste realtà si sposano è un bene per la società. Che la cultura non dia da mangiare e che non sia determinante per vita di paese sono affermazioni gravissime. Se siamo salvi lo dobbiamo anche all’arte che ci consente il nutrimento dell’anima, del cuore e della testa»
In Zerosettanta vol.2 troviamo anche una dedica alle nipoti: «Ho svelato l’attaccamento verso le miei nipoti. Dare valenza alla parte privata ed affettiva di Renato è stato un fatto che non ho potuto evitare ma un passaggio obbligatorio. Avendo raccolto tutte le mie facce in questi tre album, ci sta anche questa carezza per Ada e Virginia».
Per quanto riguarda l’emancipazione di valori per i quali si è lottato molto nel decennio degli anni ’70, Zero parla della confusione odierna: «Ho subito frustrazione e aggressività sulla mia pelle da parte della società e devo dire che in questo momento è complicato osservare da che parte stia la ragione e il torto, la violenza e il riscatto perché c’è grande confusione. C’è tanto su cui riflettere, anche sui modi con cui affrontare questi frangenti. Partirei dalla scuola, dall’educazione civica cercando di imprimere la coscienza nelle generazioni future che da loro dipende la serenità e la durata del pianeta».
Ultimo punto trattato è stato quello della nostalgia, con un inno a lei rivolto in Grandi momenti: «Se ne fa un uso legittimo oggi, sa prendere il posto di paura perché è un ancora, un porto sicuro. Se la confrontiamo con vissuto ricco e rappresentativo di nostre conquiste, la paura diventa secondaria».
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