La recensione dei primi due episodi di Boris 4, la quarta attesissima stagione della serie culto con protagonisti tra gli altri Francesco Pannofino, Carolina Crescentini, Pietro Sermonti, Antonio Catania e Caterina Guzzanti, evento speciale di chiusura di Alice nella Città
La sezione Alice nella Città della 17ª Festa del Cinema di Roma si è chiusa col botto, ospitando l’anteprima dei primi due episodi di Boris 4: la serie culto con Francesco Pannofino, Carolina Crescentini, Pietro Sermonti, Antonio Catania e Caterina Guzzanti è tornata con la sua ironia tagliente e la spietatezza che tanto abbiamo apprezzato.
Undici anni dopo
Il mondo è cambiato e anche il mondo della televisione con esso. Ora ci sono le piattaforme, le reti generaliste non tirano più come una volta e i professionisti di “ieri” devono arrangiarsi e adattarsi ai cambiamenti. Tra loro ovviamente, non potevano non mancare i nostri amati protagonisti, chiamati ad una sfida se possibile ancora più impegnativa: portare in scena una serie sulla Vita di Gesù, tratta da un’idea di Stannis (Pietro Sermonti) che ritroviamo sposato con Corinna (Carolina Crescentini), e che non solo interpreterà il protagonista ma che produrrà la serie attraverso la sua SNIP (So Not Italian Production). Il set vedrà il ritorno di René (Francesco Pannofino) alla regia, Arianna (Caterina Guzzanti) come sua assistente, Duccio (Ninni Bruschetta) e Lorenzo (Carlo Ruggieri) alla fotografia, Biascica (Paolo Calabresi) come capo elettricista e, ovviamente, non potranno mancare gli storici produttori Lopez (Antonio Catania) e Sergio (Alberto Di Stasio) e i tre sceneggiatori fancazzisti (Valerio Aprea, Massimo De Lorenzo e Andrea Sartoretti).
Come dicevamo, però, il mondo è cambiato e i nostri si troveranno a dover sottostare alla professionalità e alla produttività di un’importante piattaforma internazionale rappresentata da Alessandro (Alessandro Tiberi), passato da schiavo a mezzo pezzo grosso di produzione. Tra algoritmi che decidono cosa funziona o no di una storia, regole di comportamento sul set, inclusività a tutti i costi e lo spauracchio del “lock” l’atmosfera sul set rischierà di essere, ancora una volta, esplosiva. Dai! Dai! Dai!
Tutto è cambiato per non cambiare granché
È chiaramente impossibile, con soli due episodi visti, capire esattamente quale direzione prenderà questa quarta stagione di Boris, ma la sensazione è che l’ironia tagliente, la spietatezza dello e nello sguardo e la voglia di mandare un po’ allegramente a quel paese tutto e tutti non si siano perse con la morte del mai dimenticato co-creatore e co-sceneggiatore Mattia Torre. I personaggi che avevamo imparato ad amare con le loro debolezze, i loro tic, le loro idiosincrasie sono ancora lì, invecchiati nell’aspetto ma non nello spirito. Certo, le cose sono un po’ diverse rispetto a quindici anni fa, perché il cinema e la televisione sono diversi. Il pubblico è diverso. Ora gli spettatori pretendono una certa qualità nella messa in scena, una certa raffinatezza nella scrittura e non perdonano più tanto facilmente lavori sciatti e malandati come Gli Occhi del Cuore o Caprera.
Anche gli stessi personaggi si sono resi sempre più conto di questo cambiamento epocale e tentano di abbracciarlo, ognuno a modo suo. Per ogni Biascica che proprio non ce la fa a capire perché non possa più chiamare “merda” un sottoposto, c’è un René che piano piano si adatta a questo nuovo modo di intendere il lavoro del regista, il suo lavoro. Nonostante questo però il muro dell’incomunicabilità con le nuovi generazioni rimane, ed è un muro spaventosamente alto. Loro sono dinosauri legati ad un mondo che non c’è più, non hanno gli strumenti per metabolizzare ed elaborare questo tipo di cambiamento e di linguaggio e questo contrasto viene evidenziato in maniera sottile, ma incisiva. Lo dimostra una scena alla fine del secondo episodio, quando un innocente ” dai dai dai” di René diventa qualcos’altro alle orecchie di un’ascoltatrice che parla un linguaggio differente.
Il politicamente scorretto
La cultura woke, il politicamente corretto e l’inclusività, sacrosanta quando necessaria, ma irritante quando forzata e innaturale. Sono tutti argomenti che nei primi due episodi di Boris 4 vengono ad un certo punto e per forza di cose affrontati, con la solita inconfondibile voglia di non prendersi troppo sul serio. Senza rivelare troppo, in una scena si discute sulla provenienza di alcuni degli apostoli di Gesù e sul fatto che sia opportuno o meno inserire il rappresentante di un’etnia piuttosto che di un’altra. Ecco, nelle mani di qualsiasi altro sceneggiatore questa scena sarebbe potuta diventare il pretesto per una filippica infinita sull’inclusività che non guarda in faccia la realtà storica, ma nelle mani degli storici Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico diventa un dialogo surreale e a suo modo potente che rovescia ogni tipo di pregiudizio portandolo su un piano puramente pratico e non ideologico. Di necessità virtù. per capirci. È un’operazione questa che Boris ha d’altronde sempre fatto, e che dimostra come in realtà il merito maggiore di questa serie sia sempre stato quello di essere adorabilmente e orgogliosamente pragmatica. Non c’è tempo per le recriminazioni, per le discussioni inutili e che lasciano il tempo che trovano, si deve portare a casa la giornata, sempre e comunque. Tutto il resto è solo politicamente (s)corretto.
Si può e si deve ridere di tutto
In Boris si è sempre riso di tutto e preso in giro (più o meno bonariamente) qualsiasi aspetto “oscuro” della contemporaneità di questo paese: la disoccupazione, il lavoro in nero, le connessioni tra potere politico e religioso, l’influenza della criminalità organizzata nello Stato, il caporalato, il nepotismo sfrenato, la morte dei sogni e delle speranze. In questi primi due episodi questi elementi sono stati messi un po’ in secondo piano per focalizzarci su alcuni di questi personaggi che abbiamo lasciato ormai undici anni fa. Li ritroviamo sicuramente un po’ cambiati sia nell’aspetto privato che professionale, ma con le stesse paranoie, le stesse paure e gli stessi amabili difetti di sempre. Stannis si barcamena tra il lavoro di produttore, quello di attore e un matrimonio un po’ traballante con Corinna, la quale sembra aver abbandonato le velleità da star della televisione in favore di un più sicuro lavoro da produttrice esecutiva. Le loro schermaglie sputano fuoco come sempre, ma al momento la loro relazione sembra un po’ bloccata e in attesa di qualcosa che deve accadere.
Stanis e Corinna a parte ed escludendo Alessandro, il cui nuovo lavoro per conto di un’importante piattaforma streaming internazionale gli fornisce un’aura nuova e tante possibilità inesplorate di sviluppo futuro, il resto dei personaggi principali non sembra aver subito grossi scossoni in questi ultimi undici anni (ce ne sarebbero altri due in realtà, ma l’imperativo no-spoiler rimane). Sono però sempre lì su quel set, tra quelle scenografie più o meno dozzinali, “aprendo” quelle luci sparate a mille, con la consapevolezza di dover cambiare per sopravvivere ma che non è nella loro natura farlo. Ridendo di tutto, anche tra le lacrime. Del tempo che passa, delle delusioni, dei fallimenti, persino della morte, come nella bellissima scena dell’addio ad Itala e di riflesso alla sua indimenticata interprete Roberta Fiorentini. Avrebbero potuto farci piangere, hanno preferito farci ridere. Ed è lì, in fondo, che sta tutta la differenza.
Boris 4. Una serie di Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Davide Marengo con Francesco Pannofino, Carolina Crescentini, Pietro Sermonti, Antonio Catania, Caterina Guzzanti, Alessandro Tiberi, Carlo Ruggieri, Alberto Di Stasio e Paolo Calabresi in uscita il 26 Ottobre in esclusiva su Disney +
Quattro stelle