La nostra recensione de La signora Harris va a Parigi, l’irresistibile commedia di Anthony Fabian con una Lesley Manville in stato di grazia e una luciferina Isabelle Huppert, presentato in anteprima nazionale alla Festa del Cinema di Roma
La signora Harris va a Parigi di Anthony Fabian arriva alla 17ª Festa del Cinema di Roma con la sua adorabile protagonista interpretata da una splendida Lesley Manville, alla ricerca dell’abito perfetto di Dior nella città dell’amore, che dovrà vedersela con la tosta e apparentemente spietata Claudine di Isabelle Huppert.
Paris è sempre Paris
Londra, fine anni ’50. Ada Harris (Lesley Manville) è una donna delle pulizie che conduce una vita semplice dopo la morte del marito durante la seconda guerra mondiale. Un giorno, mentre sta pulendo l’appartamento di una ricca coppia aristocratica, nota nell’armadio un sontuoso abito di Dior e decide di volerne anche uno per lei, dato che nella vita ha sempre e solo dovuto fare sacrifici per sopravvivere e in special modo dopo essere rimasta vedova. Grazie alla sua amica Violet (Ellen Thomas) e all’affascinante e gentile Archie (Jason Isaacs) riuscirà finalmente a volare alla volta di Parigi per acquistare l’abito dei suoi sogni, ma nella città francese dovrà vedersela con Claudine Colbert, la terribile direttrice della maison, (Isabelle Huppert) e il resto della terribile aristocrazia parigina. Per fortuna sulla sua strada incontrerà Pamela (Rose Williams), una modella dal cuore d’oro e con una spiccata passione per la letteratura francese, il giovane contabile Andrè (Lucas Bravo) e il romantico marchese di Chassagne (Lambert Wilson) che l’aiuteranno a realizzare il suo sogno.
I sogni son desideri
Non lasciamo spazio ad interpretazioni ardite: La signora Harris va a Parigi è una favola a tutti gli effetti. Un feel good movie all’antica in cui sono i sentimenti positivi a prevalere sul cinismo e l’arrivismo spietato, e in cui una volta tanto è possibile credere nel potere salvifico dei sogni. Il tono del film sempre in equilibrio tra commedia all’inglese un po’ caustica (ma non troppo) e commedia romantica lo mette da subito in chiaro e, d’altronde, è difficile non farsi trascinare dalla dolcezza e dalla forza d’animo di Ada Harris. Un film che lavora coi sogni e sui sogni, rivendicando con forza il diritto di tutti a possedere qualcosa di bello o a desiderare qualcosa di più per la propria vita. Non a caso Ada sarà promotrice di uno sciopero vero e proprio da parte dei dipendenti della maison Dior, nel momento in cui quest’ultima rischia la chiusura, facendosi promotrice di un messaggio sociale non poco rivoluzionario specialmente per l’epoca.
Il bello a portata di tutti
Se tutti hanno diritto di sognare allora tutti hanno diritto al bello. La bellezza, l’armonia e la maestria di un vestito, di un’opera d’arte o di qualsiasi altra cosa possa portare conforto nelle nostre vite diventa allora l’arma che Ada deve impugnare con forza per far aprire gli occhi a tutti i personaggi del film e, in parte, anche a sé stessa. Ada è una donna forte e determinata e sa come badare a sé stessa, ma è anche una donna eccessivamente altruista che ha dovuto sempre sacrificare la propria felicità per quella altrui. Quest’avventura parigina sarà allora l’occasione perfetta per venire a patti con la propria vita e per chiedersi cosa voglia davvero; con lei anche tutti i personaggi che le ruotano attorno saranno in qualche modo costretti a guardarsi dentro e a maturare, perché la bellezza sta anche nel sapersi valorizzare per ciò che si è. E solo allora anche una “nullità” come Ada, una popolana che vive lavando i pavimenti altrui, potrà rendersi protagonista di una scalata vertiginosa ai vertici del mondo dell’alta moda francese. E magari di salvarlo, quel mondo.
Una fiaba che non si vergogna di sé stessa
Come già accennato all’inizio, questo film è una fiaba che non si vergogna affatto di esserlo e che anzi ne ricalca ogni singolo stilema. Come una moderna Cenerentola Ada calca le strade di Londra prima, e di Parigi poi, con la forza della tenacia, dell’ottimismo, della convinzione che anche nei momenti peggiori basta semplicemente credere nelle persone che si hanno accanto e nella forza del destino affinché le cose migliorino. Un’idea naive, forse, ma non per questo meno potente. Ada è la forza primaria della gentilezza, dell’armonia, dell’equilibrio, una forza che finisce per svelare tutte le facciate e i sorrisi di circostanza e di mettere alla berlina un mondo completamente opposto al suo. La costruzione scenica del film dalle scenografie, ai costumi, alla fotografia ricalca la positività (quasi) inscalfibile di Ada e il resto de La signora Harris va a Parigi, tra svolte un po’ telefonate e in cui è richiesta una forte sospensione dell’incredulità, va col pilota automatico. In fondo la forza di questa pellicola non vuole essere nella sua dirompenza o nel modo in cui infrange le regole, ma nel ricordarci ora più che mai che le illusioni fanno e vanno bene. Almeno nel buio di una sala.
La signora Harris va a Parigi. Regia di Anthony Fabian con Lesley Manville, Jason Isaacs, Isabelle Huppert, Rose Williams e Lucas Bravo, in uscita nelle sale il 17 novembre distribuito da Universal Pictures.
Quattro stelle