La nostra recensione di Simone Veil – La donna del secolo, biopic sulla ministra e testimone dell’Olocausto francese diretto da Olivier Dahan con protagoniste Elsa Zylberstein e Rebecca Marder: la potenza della storia era già tutta lì, quindi perché calcare la mano così tanto?
Quello di Simone Veil – La donna del secolo è il racconto filmico biografico di una figura che ha attraversato gran parte del Novecento francese arrivando agli anni Duemila, e soprattutto ritagliandosi un ruolo di primissimo piano nel panorama politico, culturale e sociale d’Oltralpe. Una figura che da noi non è invece così conosciuta e che, grazie al regista Olivier Dahan e alle protagoniste Elsa Zylberstein e Rebecca Marder (che la interpreta da giovane), è ora possibile riscoprire partendo proprio dalla sua storia incredibile, dalla deportazione ad Auschwitz alla rapida ascesa politica, dalle tante battaglie sociali al suo privato di moglie e madre. Peccato solo che il film non sappia dosare la propria mano nel racconto.
Elle s’appelle Simone
Il destino di Simone Veil (Elsa Zylberstein/Rebecca Marder), la sua infanzia, le sue battaglie politiche, le sue tragedie, da Auschwitz ai vertici della politica europea. È il ritratto epico e intimo di una donna dal percorso straordinario che ha attraversato e plasmato la sua epoca, diffondendo un messaggio umanista che rimane ancora oggi di un’attualità ardente. Magistrata e prima presidente donna del Consiglio Superiore della Magistratura, diventa una statista negli anni ’70, prima come Ministro della salute e in seguito come europarlamentare e prima donna presidente del Parlamento europeo. La sua vita privata e la sua grande eredità ideale e civile sono uno specchio emblematico della nostra storia europea.
La straordinarietà di un racconto…
Che Olivier Dahan sia ormai a proprio agio nel raccontare le grandi donne di Francia è appurato. L’aspetto interessante di questa fine di trilogia, però, sta nell’aver scelto dopo Edith Piaf e Grace Kelly una figura d’Oltralpe poco conosciuta al resto del mondo, una paladina delle lotte sociali e dei diritti civili che non aveva nulla a che vedere con il mondo dello spettacolo e i suoi lustrini ma che con le due sopracitate condivideva il dolore di fantasmi troppo grandi per essere affrontati e vinti da sola. Ed è probabilmente per rendere conto di quei fantasmi che in Simone Veil – La donna del secolo a prevalere sulle tante linee temporali è proprio quella legata alla deportazione e alla prigionia ad Auschwitz.
Dahan sceglie una narrazione di tante sovrastrutture per provare a condensare in due ore e venti minuti quasi 90 anni di una vita oggettivamente straordinaria, cominciata con il più grande dei dolori e proseguita da sfide via via sempre più ardue, da una lotta integerrima e infinita per i diritti degli oppressi e degli ultimi, memore delle atrocità naziste e del loro lascito non solo psicologico e umano ma anche politico e sociale. Così la pellicola ci offre un ventaglio ampio della Simone Veil magistrato e ministra, appoggiandosi ad episodi di grande potenza espressiva come la visita privata ad un malato terminale di Aids o il grande lavoro dietro alla legalizzazione dell’aborto, senza però dimenticare la dimensione privata.
Quella in cui Dahan sembra voler cercare l’anima dilaniata di questa donna sopravvissuta all’orrore e che, in tutte le sequenze di Auschwitz, assume un connotato non solo di memoria ma anche di commemorazione e di monito per le generazioni presenti e future. Nonostante lo script cerchi di bilanciare entrambi i ritratti è fin troppo evidente come al regista de La vie en rose interessi più la sollecitazione emotiva del pubblico che quella intellettuale, appoggiandosi completamente sulle spalle di Elsa Zylberstein nel presente e di Rebecca Marder nel passato per far emergere il proprio nucleo drammaturgico grazie a sequenze dall’impatto garantito.
…che aveva bisogno di una mano più leggera
Ma se, parafrasando un celebre spot, a Dahan piace vincere facile è proprio la sua mano così pesante, inutilmente pomposa ed enfatica a rendere quei momenti più indigesti del previsto. Senza dubbio, invece, Simone Veil – La donna del secolo funziona molto meglio quando si immerge nel presente e nell’intimità di questa combattente, rifiutando la retorica e giocando sui non detti, sugli sguardi persi nel limpidissimo blu di una scogliera in riva al mare. Attimi in cui il film può finalmente respirare e in cui Elsa Zylberstein, che questa pellicola l’ha voluta fortemente, può lavorare in sottrazione con la potenza del sottotesto, di un accenno o di un sorriso a metà.
Anche il rapporto (tumultuoso) con l’amato marito Antoine si colora di un po’ più di leggerezza, specialmente nel finale, poiché nella seconda parte il film sceglie di abbandonare quasi del tutto la componente politica e di impegno civile (notevole la sequenza del discorso al Parlamento Europeo) per abbracciare il passato di Simone e la sua sopravvivenza all’Olocausto. Soltanto che avrebbe avuto bisogno di una mano molto meno pesante di quella del francese, con una maggior propensione all’equilibrio o comunque una minore volontà di spettacolarizzazione del conflitto esterno cercando invece, con più convinzione e più stile, di mostrare come quei demoni abbiano impattato sul presente.
Un presente in cui odio, fondamentalismo e divisioni sociali stanno germinando sempre più, totalmente ignari della lezione storica ed umana dei grandi protagonisti del secolo scorso e di quella della contemporaneità. Alle volte saper raccontare le storie giuste nel modo giusto fa tutta la differenza del mondo.
TITOLO | Simone Veil – La donna del secolo |
REGIA | Olivier Dahan |
ATTORI | Elsa Zylberstein, Rebecca Marder, Élodie Bouchez, Judith Chemla, Olivier Gourmet, Mathieu Spinosi, Philippe Lellouche, Bastien Bouillon, Lubna Azabal |
USCITA | 30 gennaio 2025 |
DISTRIBUZIONE | Wanted Cinema |
Tre stelle